Nel dibattito sul futuro della mobilità, si fronteggiano due scuole di pensiero. La prima sostiene che l'unico modo per ridurre concretamente l'inquinamento prodotto dal settore dei trasporti sia l'abbandono totale del motore a combustione interna a favore dell'elettrico. La seconda, invece, crede nella possibilità di salvare l'endotermico modificando il carburante, ricorrendo a soluzioni chimiche in grado di ridurre o annullare le emissioni nocive.
È una discussione complessa e sfaccettata, che chiama in causa l'intero ciclo di vita di un veicolo: dalla produzione delle batterie fino alla generazione dell'energia elettrica necessaria per alimentarli (ma anche le wallbox per ricaricarle a casa, come quella che trovate qui). Ma per comprendere meglio uno degli snodi più caldi, è utile restringere il campo e concentrarsi sulle alternative alla benzina e al diesel. In particolare, su cosa siano davvero i biocarburanti e se possano rappresentare una via percorribile.
A guidarci in questa analisi è il chimico Nicola Armaroli, dirigente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Le sue risposte permettono di mettere in prospettiva i dati scientifici, liberandoli da ideologie e semplificazioni.
Cosa sono i biocarburanti?
Con il termine biocarburanti si indicano combustibili prodotti a partire da risorse biologiche, spesso vegetali. Al contrario dei derivati fossili, la loro origine è rinnovabile. Tuttavia, come spiega Armaroli, se la raffinazione del petrolio rappresenta ormai un processo industriale ampiamente collaudato, la produzione di biocarburanti è ancora lontana dall'aver raggiunto una maturità tecnologica. Si tratta infatti di una filiera ancora sperimentale e in fase di definizione, con costi alti, rese variabili e una struttura industriale poco consolidata.
Un errore frequente è quello di confondere i biocarburanti con gli eFuel, i carburanti sintetici ottenuti da processi industriali che combinano idrogeno verde e CO₂ catturata dall'atmosfera. I due concetti non vanno sovrapposti. I biocarburanti derivano da biomassa, mentre gli eFuel vengono prodotti in laboratorio con energia elettrica, preferibilmente da fonti rinnovabili.
Per quanto riguarda i biocarburanti, non dipendiamo da risorse naturali accumulatesi in ere geologiche lontane, come l'energia solare del periodo giurassico. Al contrario, li otteniamo dalla fotosintesi clorofilliana annuale, tramite la coltivazione di biomasse vegetali. Questa biomassa, che può provenire da diverse specie di piante adatte allo scopo, deve essere coltivata e, in molti casi, anche irrigata. Successivamente, è necessario lavorarla, trasportarla e trasformarla industrialmente.
Gli e-fuels, invece, sono oggi una realtà di laboratorio. Si tratta di combustibili liquidi prodotti direttamente attraverso processi elettrochimici.
La differenza tra le due soluzioni è sia tecnica che sostanziale e, di conseguenza, incide profondamente sul loro impatto ambientale e sul potenziale utilizzo futuro.
Perché non basta dire "alternativa al petrolio"
A prima vista, la disponibilità di carburanti alternativi potrebbe far pensare che l'auto a combustione abbia ancora molto da dire. Ma la questione è più articolata. I problemi legati ai biocarburanti si distribuiscono lungo tre direttrici fondamentali.
In primo luogo, la produzione di biocombustibili richiede filiere complesse, con forti implicazioni agricole. Alcune colture impattano pesantemente sull'ambiente, altre meno, ma nessuna è del tutto neutra. In secondo luogo, la combustione di questi carburanti non è priva di emissioni dannose: non si parla di inquinamento zero. Infine, la scarsa efficienza del motore endotermico – che spreca molta dell'energia prodotta – rende vano gran parte dei vantaggi ecologici dei biocarburanti.
Il principale problema dei motori a combustione interna è la loro scarsa efficienza, che si attesta in media intorno al 25%, scendendo spesso fino al 20%. Questo significa che per ogni 10 litri di carburante, sia esso gasolio di origine fossile o un biocarburante, circa 8 litri non contribuiscono a far muovere il veicolo, ma vengono invece dispersi sotto forma di calore, surriscaldando il motore, l'aria e l'ambiente circostante.
Se preferite ragionare in termini economici, il concetto non cambia: ogni 10 euro spesi per il carburante, 8 euro non serviranno a far avanzare la vostra auto.
Il caso italiano è emblematico della dipendenza dall'estero per i biocarburanti. I dati del GSE per il 2022 mostrano che l'Italia ha importato 717.000 tonnellate di biodiesel da Cina, Indonesia e Malaysia, mentre la produzione nazionale si è fermata a sole 81.000 tonnellate - nove volte di meno. "In Europa ci sono 50.000 km² di terreni dedicati alla produzione di biocombustibile per fare biocarburanti, l'Italia è a quota 300.000 tonnellate, quindi un sesto dell'Italia come superficie equivalente è dedicato a quello", sottolinea il ricercatore.
L'elettrico come alternativa più efficiente?
Nel confronto tra endotermico ed elettrico, Armaroli pone una domanda cruciale: cosa accadrebbe se le stesse risorse investite nello sviluppo dei biocarburanti fossero indirizzate verso l'elettrificazione? La risposta è netta. L'auto elettrica, alimentata con energia da fonti rinnovabili, mostra una superiorità tecnica difficile da ignorare. L'efficienza del motore elettrico, infatti, è enormemente superiore. E, sebbene anche l'elettrico comporti impatti ambientali, il bilancio complessivo sembra oggi pendere a suo favore.
E se invece di utilizzare queste risorse per i biocarburanti, le dedicassimo allo sviluppo dell'elettrico? Che impatto avremmo sul territorio se, anziché coltivare sorgo, colza o altre piante per questo scopo, installassimo dei pannelli fotovoltaici a terra per ricaricare veicoli elettrici a batteria?
In questo scenario, utilizzeremmo il 97% in meno di terreno. Ci basterebbe, infatti, appena il 3% dei 50.000 km² attualmente necessari per la produzione di biocarburanti per alimentare l'intero parco auto elettriche con energia solare, caricando direttamente le loro batterie.
Il caso degli eFuel riaccende le speranze dei sostenitori dell'endotermico. In teoria, si tratta di una soluzione elegante: ricavare combustibile sintetico a partire da CO₂ e idrogeno ottenuto con elettricità verde. Ma in pratica, siamo ancora lontani da una produzione su larga scala. I costi sono elevatissimi, le rese limitate, la tecnologia ancora in fase prototipale.
Per produrre idrogeno elettricamente sono necessari gli elettrolizzatori, una tecnologia già disponibile che può essere alimentata con energia rinnovabile. Tuttavia, attualmente il costo di produzione dell'idrogeno verde è, a livello globale e a seconda delle regioni, circa cinque volte superiore a quello del petrolio.
Siamo ancora più indietro, invece, per quanto riguarda la produzione elettrochimica della CO₂. Da un punto di vista termodinamico e cinetico, questo processo è estremamente complesso perché richiede un numero molto maggiore di elettroni per essere ridotta.
Rendere accessibile e conveniente l'eFuel richiederebbe investimenti mastodontici e una pianificazione industriale globale. Oggi, semplicemente, non ci siamo. "Tecnicamente è fattibile, nel senso che nulla vieterebbe di attuarlo, ammette Armaroli, ma aggiunge una previsione realistica: "Noi sappiamo fare gli eFuel su piccola scala, credo che difficilmente vedremo gli eFuel prodotti su scala industriale prima del 2050."
Anche l'elettrico ha i suoi problemi
Chiaramente, nemmeno l'elettrico è privo di punti critici. Le batterie richiedono materiali rari e una filiera estrattiva spesso controversa. Ma lo stesso si può dire per il petrolio. Secondo Armaroli, il tema non è tanto scegliere tra bene e male, quanto tra il meno peggio. L'obiettivo diventa allora valutare il peso relativo degli impatti. E in questo bilancio, l'elettrico – nonostante tutto – sembra offrire maggiori possibilità di decarbonizzazione rispetto alle alternative fossili o bio.
Il problema legato all'estrazione dei materiali per le batterie è stato enormemente ingigantito. Ogni anno, infatti, per alimentare il sistema dei trasporti su strada, estraiamo 2,5 miliardi di tonnellate di petrolio, una quantità migliaia di volte superiore a quella dei metalli necessari per le batterie.
In confronto, estraiamo circa 4.000 volte meno metalli per costruire le batterie che alimentano l'attuale quota di auto elettriche, che rappresenta circa il 20% del mercato.
Ma c'è un aspetto ancora più rilevante nel confronto. Il professor Armaroli ha sottolineato un punto fondamentale: mentre un'auto nuova utilizzerà la stessa batteria per circa dieci anni, la produzione di combustibili fossili continua senza sosta. "Nel frattempo," spiega, "si estrarranno 2,5 miliardi di tonnellate di petrolio ogni anno, arrivando a un totale di 25 miliardi di tonnellate in un decennio".
"L'estrazione di minerali per le batterie si fa una sola volta," ha aggiunto, "perché questi materiali possono essere riciclati. Al contrario, l'anidride carbonica non si ricicla mai: viene immessa continuamente nell'atmosfera, dove si accumula".
Guardando al futuro, è evidente che la questione non si esaurisce nel confronto tra benzina ed elettroni. In gioco c'è una trasformazione più profonda: cambiare il modo in cui ci muoviamo, non solo i mezzi con cui lo facciamo. L'elettrificazione sarà forse parte della soluzione, ma richiederà anche un ripensamento del concetto stesso di mobilità privata. Pensare di replicare lo status quo attuale con auto elettriche invece che a combustione è una visione miope. Il cambiamento, se avverrà, sarà più radicale.
Nelle aree urbane, l'obiettivo primario è la transizione verso la mobilità pubblica e condivisa. È fondamentale agire concretamente, non limitarsi a parlarne.
Detto questo, la mobilità individuale continuerà ad avere un ruolo cruciale, soprattutto in un Paese come l'Italia, caratterizzato da migliaia di comuni sparsi su tutto il territorio. L'automobile non scomparirà, ma dovremo avere meno veicoli in circolazione, e quelli che ci saranno dovranno essere rigorosamente elettrici.
Il futuro delle batterie
Una delle frontiere più promettenti, in questo senso, è rappresentata dallo sviluppo di nuove tecnologie per le batterie. Superare il litio, ridurre l'impatto dell'estrazione, allungare la durata dei cicli di vita: sono queste le sfide della prossima generazione. Ed è qui che si gioca, probabilmente, la vera possibilità di rendere sostenibile l'elettrico su larga scala.
In queste settimane, sembra che le solite grandi aziende cinesi, che hanno un vantaggio di circa dieci anni sulla concorrenza, stiano mettendo sul mercato le batterie al sodio. Questo minerale è ovunque: il cloruro di sodio è il sale che si trova nell'acqua di mare, il che significa che qualsiasi paese bagnato dal mare ne ha in abbondanza. Di conseguenza, il problema del reperimento dei materiali verrebbe meno.
Dal punto di vista della densità energetica, poiché lo ione di sodio è fisicamente più grande di quello di litio, le batterie al sodio saranno sempre leggermente più grandi e avranno una densità energetica inferiore. Le prime applicazioni, quindi, saranno probabilmente per lo stoccaggio di energia rinnovabile, come quella solare. Se un container per lo stoccaggio è il 20% più grande, in pratica non fa una grande differenza.
Un futuro diverso è possibile, ma non senza ricerca, tempo e scelte politiche lungimiranti.
I biocarburanti rappresenteranno una quota limitata della nostra produzione, ma saranno comunque fondamentali. Dovremmo però indirizzarli verso quei settori in cui mancano soluzioni alternative per il trasporto.
Sto parlando in particolare del trasporto navale e aereo. È lì che i biocarburanti devono essere utilizzati, perché è difficile immaginare di poter spostare container da Shanghai a Genova con navi alimentate a idrogeno.
Questo è l'approccio razionale: utilizzare le tecnologie per il loro valore specifico, nel contesto in cui ha senso farlo. Dobbiamo indirizzare le nostre scarse risorse economiche, umane e territoriali dove possono avere un impatto reale. Questa è la vera transizione energetica: compiere scelte precise, non affidarsi a sentimenti o a un'idea di "neutralità". Non c'è nulla di neutrale in tutto questo; ci sono decisioni chiare da prendere, e servono il coraggio e la lucidità tecnico-scientifica per farlo.
La questione del futuro dell'automobile non ha ancora una risposta definitiva. Biocarburanti, eFuel, elettrico: ogni soluzione porta con sé promesse e problemi. Ciò che conta è guardare i numeri, ascoltare la scienza, pesare gli impatti. Solo così si può evitare di cedere a narrazioni ideologiche e scegliere, con consapevolezza, la strada da percorrere: perché il motore del cambiamento non sarà il carburante, ma l'informazione.
speriamo veramente che troveranno il modo (non inquinante ovviamente) di produrre biocarburanti ecologici, per le auto termiche. E mantengano comunque le elettriche per chi le desidera, ma sempre a patto di riuscire a estrarre i componenti rari che servono, senza lo sfruttamento di persone e/o bambini!