Nelle aziende italiane si è assistito negli ultimi due anni a una corsa frenetica verso l'intelligenza artificiale che ha prodotto più fallimenti che successi. Il miraggio dell'innovazione tecnologica ha spinto molte organizzazioni a inseguire progetti dall'effetto wow, soluzioni spettacolari sulla carta che si sono rivelate un buco nell'acqua nei bilanci aziendali. Un report dell'MIT pubblicato ad agosto scorso ha certificato una realtà impietosa: il 95% dei progetti di intelligenza artificiale non porta alcun valore concreto, trasformandosi addirittura in perdite economiche. Eppure esistono strategie precise per evitare questi naufragi tecnologici e trasformare davvero l'AI in uno strumento di crescita aziendale.
La questione fondamentale riguarda l'approccio strategico all'implementazione dell'intelligenza artificiale. Alessio Biasutti, AI & Data Automation Sale Leader di Arsenalia, individua nella mancanza di obiettivi chiari il primo grande ostacolo. Le aziende arrivano spesso con l'ambizione di applicare l'AI ovunque contemporaneamente, senza definire priorità realistiche né comprendere quali progetti siano effettivamente realizzabili. La tecnologia oggi permette di fare molte cose, ma non tutto, e soprattutto non tutto insieme.
La soluzione passa attraverso la creazione di una figura di coordinamento dedicata, che sia un Chief Artificial Intelligence Officer o un AI Manager con mandato forte. Questa figura deve possedere l'autorità per orchestrare dipartimenti diversi: risorse umane, legal, IT, business e operations. L'intelligenza artificiale non può essere confinata in un singolo reparto perché è intrinsecamente multidisciplinare. Senza questo coordinamento centralizzato, i progetti rischiano di frammentarsi in iniziative isolate destinate al fallimento.
"Il concetto di quick win rappresenta la strategia più efficace per le aziende che vogliono approcciare l'AI con prudenza" dice Alessio. Si tratta di individuare progetti di valore realizzabili in tempi brevi, tra i tre e i sei mesi, con uno sforzo ragionevole. Questo approccio permette di ottenere risultati misurabili rapidamente, creando quella confidenza nella tecnologia che è prerequisito per investimenti più sostanziali. Le aziende che hanno iniziato con questa metodologia tre anni fa oggi hanno progetti in produzione che generano valore tangibile e sono già alla seconda o terza iterazione.
L'errore della prima fase di adozione dell'AI generativa è stato proprio l'inseguimento dello spettacolo tecnologico. Progetti nati per meravigliare ma privi di sostanza, sviluppati senza il coinvolgimento del business, senza capire dove realmente esistessero perdite di efficienza o freni alla crescita. L'intelligenza artificiale funziona come moltiplicatore per la crescita solo quando viene applicata a problemi concreti identificati da chi governa i processi aziendali quotidianamente.
Per diventare un'azienda AI-driven serve affrontare quattro pilastri fondamentali: migliorare la produttività della popolazione aziendale, potenziare l'engagement verso i clienti, ottimizzare i processi interni e governare efficacemente la tecnologia. Attualmente i progetti più diffusi riguardano gli strumenti di produttività, quelli che permettono di scrivere documenti più velocemente, creare presentazioni migliori, fare il recap dei meeting. Ma l'adozione di questi strumenti non è solo questione di formazione tecnica.
Il vero ostacolo è culturale e richiede un cambio di mentalità radicale. Le persone devono abituarsi a chiedersi "posso fare questa cosa con l'intelligenza artificiale?" prima ancora di iniziare un'attività. Una formazione tradizionale in aula non funziona perché dopo un mese nessuno ricorda più le procedure insegnate. La metodologia più efficace prevede l'identificazione di champion interni, dipendenti per ogni dipartimento che già credono nella tecnologia e la utilizzano con successo. Questi campioni diventano evangelisti informali, mostrando concretamente ai colleghi come riescono a essere più produttivi, innescando un passaparola naturale.
L'intelligenza artificiale oggi permette di non partire più dal foglio bianco, fornendo bozze che poi richiedono l'apporto creativo umano per diventare documenti finali adeguati. Gli strumenti attuali fanno molte cose bene ma non tutto perfettamente. Non siamo ancora nella fase dell'AI generale che risponde a qualunque domanda in modo impeccabile, ma se interrogate correttamente queste tecnologie possono aiutare significativamente nel lavoro quotidiano. L'importante è sapere cosa aspettarsi e come estrarre il meglio dalla tecnologia disponibile.
La gestione del carico di lavoro rappresenta una trappola concreta da evitare. Esiste il rischio che i manager interpretino l'aumento di produttività come opportunità per incrementare il volume di attività assegnate ai dipendenti. Questa illusione può rivelarsi controproducente quando l'AI produce risultati che richiedono comunque revisione umana, finendo per aumentare il carico complessivo anziché alleggerirlo. Serve attenzione nel bilanciare le aspettative con le reali capacità degli strumenti, evitando di creare situazioni paradossali che demotivano il personale.
I progetti che funzionano sono quelli dove il business è coinvolto fin dall'inizio, dove esistono processi da ottimizzare che spesso attraversano più dipartimenti. "L'incontro tra competenze di business e expertise tecnologica permette di realizzare progetti sostenibili e governabili, che si integrano nei processi aziendali come qualsiasi altra applicazione gestionale" continua Biasutti. Le aziende che hanno recuperato dopo fallimenti iniziali lo hanno fatto tornando al concreto, creando roadmap sostenibili attraverso workshop e design thinking, mantenendo ambizioni grandi ma spezzettandole in obiettivi intermedi raggiungibili. Solo così l'intelligenza artificiale smette di essere una promessa astratta per diventare finalmente reale.