La nuova frontiera dell'IA, lo sappiamo, è rappresentata dai sistemi agentici, capaci non solo di suggerire frammenti di codice ma di pianificare modifiche complesse, eseguirle attraverso sequenze articolate di passaggi e perfezionarle sulla base del feedback ricevuto. Eppure, nonostante l'entusiasmo diffuso attorno a questi "agenti AI che programmano", la maggior parte delle implementazioni aziendali continua a deludere le aspettative. Il problema non risiede più nella potenza dei modelli linguistici, ma in qualcosa di più sottile e strutturale: il contesto operativo in cui questi sistemi vengono inseriti.
Secondo quanto emerso da studi recenti, il vero collo di bottiglia è rappresentato dalla mancanza di ingegneria del contesto, ovvero la capacità di fornire agli agenti AI una comprensione strutturata della base di codice su cui operano. Quando un sistema autonomo non ha accesso alle informazioni rilevanti come la storia delle modifiche, le convenzioni architetturali, il grafo delle dipendenze e la suite di test, tende a generare output che appaiono corretti in superficie ma risultano disconnessi dalla realtà del progetto. Le aziende si trovano quindi a dover affrontare non tanto una sfida tecnologica quanto un vero e proprio problema di progettazione sistemica: non hanno ancora costruito l'ambiente adeguato in cui questi agenti possano operare efficacemente.
La ricerca scientifica ha iniziato a formalizzare cosa significhi concretamente un comportamento agente nel contesto della programmazione. Studi recenti sul "dynamic action re-sampling" dimostrano che consentire agli agenti di ramificare le proprie decisioni, riconsiderarle e rivederle migliora significativamente i risultati in basi di codice ampie e interdipendenti. Piattaforme come GitHub hanno risposto costruendo ambienti dedicati all'orchestrazione degli agenti, come Copilot Agent e Agent HQ, progettati per supportare la collaborazione multi-agente all'interno di pipeline aziendali reali. Tuttavia, i primi risultati sul campo raccontano una storia cauta che merita attenzione.
Uno studio controllato randomizzato condotto quest'anno ha rivelato un dato sorprendente: gli sviluppatori che utilizzavano assistenza AI in flussi di lavoro rimasti invariati completavano le attività più lentamente rispetto ai colleghi senza supporto artificiale. La causa principale era da ricercare nel tempo dedicato alla verifica, alla correzione degli errori e alla confusione riguardo alle intenzioni del codice generato. La lezione è chiara: l'autonomia senza orchestrazione raramente produce efficienza. Introdurre strumenti agentici senza ripensare il workflow e l'ambiente operativo può paradossalmente far diminuire la produttività invece di potenziarla.
I team che stanno ottenendo risultati significativi trattano il contesto come una vera e propria superficie ingegneristica da progettare con cura. Creano strumenti per acquisire istantanee, compattare e versionare la memoria di lavoro dell'agente: quali informazioni persistono tra un'iterazione e l'altra, quali vengono scartate, quali riassunte e quali collegate anziché incorporate direttamente. Trasformano la specifica in un artefatto di prima classe, qualcosa di revisionabile, testabile e gestito formalmente, non una semplice cronologia di conversazioni. Questo approccio riflette una tendenza più ampia che alcuni ricercatori descrivono come "le specifiche stanno diventando la nuova fonte di verità".
Ma l'ingegneria del contesto da sola non basta. Come sottolineato dal rapporto McKinsey del 2025 dedicato all'AI agentica, i guadagni di produttività non derivano dal sovrapporre l'intelligenza artificiale ai processi esistenti, ma dal ripensare il processo stesso. Quando i team inseriscono semplicemente un agente in un flusso di lavoro immutato, creano attriti: gli ingegneri finiscono per dedicare più tempo alla verifica del codice scritto dall'AI di quanto ne avrebbero impiegato a scriverlo direttamente. Gli agenti possono amplificare solo ciò che è già strutturato: basi di codice ben testate, modulari, con chiara attribuzione di responsabilità e documentazione adeguata. Senza queste fondamenta, l'autonomia si trasforma rapidamente in caos.
La sicurezza e la governance richiedono anch'esse un cambio di mentalità. Il codice generato dall'AI introduce nuove forme di rischio: dipendenze non verificate, sottili violazioni di licenze, moduli non documentati che sfuggono alla revisione tra pari. Le organizzazioni più mature stanno integrando l'attività agente direttamente nelle loro pipeline CI/CD, trattando gli agenti come contributori autonomi il cui lavoro deve superare gli stessi controlli di analisi statica, registrazione degli audit e gate di approvazione riservati a qualsiasi sviluppatore umano. L'obiettivo non è permettere all'AI di "scrivere tutto", ma garantire che quando agisce lo faccia all'interno di guardrail definiti.
Per i leader tecnologici, il percorso inizia dalla preparazione piuttosto che dall'entusiasmo acritico. I monoliti con suite di test sparse raramente generano benefici netti; gli agenti prosperano dove i test sono autorevoli e possono guidare il perfezionamento iterativo. Questo è esattamente il ciclo che ricercatori come quelli di Anthropic evidenziano per gli agenti di programmazione. È consigliabile avviare progetti pilota in domini strettamente delimitati come la generazione di test, la modernizzazione di sistemi legacy o refactoring isolati, trattando ogni deployment come un esperimento con metriche esplicite: tasso di difetti sfuggiti, tempo di ciclo delle pull request, tasso di fallimento delle modifiche, scoperte di sicurezza risolte.
Man mano che l'utilizzo cresce, diventa fondamentale trattare gli agenti come infrastruttura di dati. Ogni istantanea di contesto, iterazione di test, log di azione e revisione del codice diventa una forma di dati strutturati che devono essere archiviati, indicizzati e riutilizzati. Con la proliferazione di questi agenti, le aziende si troveranno a gestire un livello di dati completamente nuovo: uno che cattura non solo ciò che è stato costruito, ma come è stato ragionato. Questa trasformazione converte i log ingegneristici in un grafo di conoscenza fatto di intenzioni, decisioni e validazioni. Nel tempo, le organizzazioni capaci di interrogare e ripercorrere questa memoria contestuale supereranno quelle che continuano a trattare il codice come testo statico.
Il prossimo anno determinerà probabilmente se la programmazione agente diventerà un pilastro dello sviluppo aziendale o un'altra promessa gonfiata. La differenza dipenderà dall'ingegneria del contesto: quanto intelligentemente i team progetteranno il substrato informativo su cui i loro agenti si affidano. Le piattaforme stanno convergendo verso soluzioni di orchestrazione e guardrail, mentre la ricerca continua a migliorare il controllo del contesto al momento dell'inferenza. I vincitori dei prossimi dodici-ventiquattro mesi non saranno le squadre con il modello più appariscente, ma quelle che ingegnerizzano il contesto come un asset strategico e trattano il workflow come il vero prodotto. Fatto questo, l'autonomia si moltiplica, altrimenti la coda di revisione cresce esponenzialmente.