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Robot umanoidi fatti in Italia, si parte con 70 milioni di euro

Generative Bionics (IIT) ottiene 70 milioni per creare robot umanoidi industriali italiani. La sfida è passare dai giocattoli Emiglio a robot collaborativi, come Neo, trasformando la ricerca in realtà produttiva.

Avatar di Pasquale Viscanti e Giacinto Fiore

a cura di Pasquale Viscanti e Giacinto Fiore

IA Spiegata Semplice @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 16/12/2025 alle 10:22
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C’è stato un momento, negli anni Novanta, in cui tutti noi – ma proprio tutti – abbiamo pensato di chiedere a Babbo Natale: Emiglio, ve lo ricordate? Lo spot martellava le nostre menti con la potenza di un mantra nazionale: "Emiglio è meglio!" E noi ci credevamo davvero. Era il robot che rispondeva ai comandi, che portava in giro la merenda, che sembrava uscito da un futuro che non capivamo, ma che volevamo a tutti i costi. Ecco, la newsletter di oggi parla di robot. Ma non di giocattoli: di robot veri. Di robot che camminano, lavorano, apprendono… e che, per restare in tema, parlano anche itagliano rigorosamente con il digramma "gl" per restare in tema, perché arrivano proprio da qui, dal nostro Paese.
Emiglio

Emiglio Robot venne lanciato nel 1994 al prezzo di circa 300 mila lire, non poco per un giocattolo. In rete si evince che con gli anni e qualche offerta poteva essere trovato anche a circa 200 mila lire, ma rimaneva un lusso che non tutte le famiglie erano disposte a concedere ai propri piccoli. Qui il video dello spot.

Robot umanoidi Made in Italy: Generative Bionics chiude un round da 70 milioni

Non capita spesso, in Italia, di leggere la parola "robot umanoidi" nella stessa frase con "70 milioni di euro di investimento". E invece eccoci qui: Generative Bionics, spin-off dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), ha appena chiuso un round da 70 milioni guidato dal Fondo Artificial Intelligence di CDP Venture Capital insieme ad un gruppo di investitori internazionali. Un numero che, ammettiamolo, di solito vediamo associato ai round della Silicon Valley, non a un progetto nato tra Genova e Milano.

L’entusiasmo, da parte nostra, è inevitabile. Perché questa non è solo "una startup che fa robot": è il tentativo concreto di costruire in Italia una filiera industriale degli umanoidi, con ingegneri, fabbriche, brevetti, design, ricerca e soprattutto una visione: portare sui luoghi di lavoro robot capaci di collaborare con l’uomo in attività fisiche complesse.

Ma partiamo dall’inizio. Generative Bionics non è una startup qualsiasi: è il risultato di oltre vent’anni di ricerca in robotica umanoide portata avanti all’IIT, da cui arrivano i fondatori e gran parte del team tecnico. Il CEO è Daniele Pucci, affiancato da Alessio Del Bue, Marco Maggiali e Andrea Pagnin, tutti con un passato nei programmi di ricerca che hanno prodotto i robot iCub, ergoCub e iRonCub.

Come vi anticipavamo, l’operazione non porta solo capitali, porta persone: circa 70 ingegneri provenienti dall’IIT entrano nella divisione tecnica della startup, affiancati da specialisti in certificazione, industrializzazione e produzione di sistemi umanoidi. Il round servirà ad accelerare lo sviluppo prodotto, l’addestramento di sistemi di Physical AI, la validazione industriale e – punto simbolicamente potentissimo – la costruzione della prima fabbrica italiana di robot umanoidi. La visione è chiara: portare sul mercato umanoidi progettati per lavorare accanto alle persone in compiti ripetitivi, rischiosi o ad alta intensità fisica, partendo da manifattura e logistica e arrivando, nel tempo, anche alla sanità e al retail. Il tutto con particolare attenzione alla sicurezza, all’integrazione negli spazi condivisi e al design "umano-centrico".

Questa operazione ha un valore che va oltre: è la scommessa che l’Italia possa giocare una partita globale sfruttando le proprie competenze scientifiche e industriali. È la storia di una ricerca pubblica, durata decenni, che si trasforma in un campione industriale europeo nel settore degli umanoidi.

Generative Bionics round da 70 milioni

La società, fondata nel 2024 da Daniele Pucci insieme ad Alessio Del Bue, Marco Maggiali e Andrea Pagnin, è oggi il più grande spin-off accademico europeo pronto a entrare sul mercato globale. Qui la news.

Dalle prime gambe robotiche agli umanoidi: come siamo arrivati fin qui

Se ripensiamo alla storia degli umanoidi sembra davvero una serie TV lunga decenni. La prima stagione è quella pionieristica: negli anni Settanta nasce WABOT-1 in Giappone, un robot che cammina male, è rigido e lentissimo, ma dimostra che mettere due gambe a una macchina non è più solo fantascienza. È l’epoca in cui si festeggia ogni passo come un mezzo miracolo tecnico.

Poi arrivano gli anni Duemila e la trama si fa interessante: Honda presenta ASIMO, il robot che cammina bene, sale le scale, saluta i ministri. Non fa ancora nulla di veramente utile, ma nell’immaginario è il primo "omino" credibile.

La fase successiva è quella spettacolare. Atlas di Boston Dynamics fa salti, acrobazie, parkour: ogni video è un evento virale e mostra fin dove possiamo spingere l’hardware. Resta però una domanda sospesa: tutto questo a cosa servirà? La risposta arriva negli ultimi anni. Nel 2021 Tesla annuncia il Tesla Bot, poi Optimus, pensato per fare "i lavori che gli umani non vogliono fare"; in parallelo Digit di Agility entra nei magazzini, Figure AI mostra il suo umanoide in fabbrica, startup cinesi rincorrono con modelli sempre più agili.

Intanto, dietro le quinte, arriva la vera svolta: i foundation model per la robotica, come quelli di NVIDIA, che collegano linguaggio, visione e movimento. Un umanoide non è più solo un corpo ben progettato: è un sistema che ascolta comandi in linguaggio naturale, osserva l’ambiente con le sue "telecamere", pianifica i gesti, impara dagli errori. Ed è esattamente in questo punto della serie che ci troviamo oggi: tra Optimus che impara a lavorare in fabbrica, i robot italiani di Generative Bionics che si preparano a entrare in produzione, e Neo che bussa alla porta del salotto.

Nvidia CEO Jensen Huang

Il CEO di Nvidia Jensen Huang spiega perché punta tutto sulla robotica umanoide: ""Siamo in un mondo in cui, per scrivere un software per un computer, utilizziamo dati o esempi di addestramento, e il computer impara dagli esempi", ha affermato. "Beh, abbiamo il maggior numero di esempi di esseri umani che si muovono rispetto a qualsiasi altro tipo di dati".

Neo chi?

Neo è l’umanoide di 1X Technologies diventato famoso qualche mese fa. Sul sito ufficiale, Neo viene presentato come il primo robot umanoide "consumer-ready" pensato per la casa: un assistente che fa le faccende e offre aiuto personalizzato nella vita di tutti i giorni. Fisicamente Neo è alto più o meno come una persona, pesa circa trenta chili, ha un guscio esterno morbido in polimero e un "maglione" neutro che lo fa sembrare quasi un coinquilino un po’ minimalista.

È progettato per muoversi in silenzio, fa meno rumore di un frigorifero, e può sollevare pesi sorprendenti rispetto alla sua taglia: può portare oggetti quotidiani e arrivare, in condizioni controllate, a sollevare carichi fino a circa settanta chili. Il cuore del sistema è uno stack di intelligenza artificiale che combina sensori visivi, microfoni, un modello linguistico integrato e aggiornamenti cloud: in pratica, Neo ti ascolta, ti risponde, riconosce ciò che vede e memorizza abitudini e preferenze per adattarsi alla casa in cui vive.

Dal punto di vista economico, l’offerta attuale parla di un prezzo di circa 20.000 dollari, ma la parte più interessante, però, è come Neo impara. Il sito ufficiale spiega che per le faccende più semplici il robot agisce in autonomia, ma per i compiti complessi entra in gioco un "1X Expert": un operatore umano che può collegarsi da remoto, vedere attraverso i sensori del robot, guidarlo in tempo reale e, mentre svolge il lavoro, insegnargli nuovi comportamenti (un po’ inquietante vero?).

È un modello esplicito di human-in-the-loop: oggi Neo fa una parte del lavoro, l’umano fa il resto; domani, grazie a questi dati, la bilancia dovrebbe spostarsi sempre di più verso l’autonomia. Le prime prove indipendenti, come quella di Joanna Stern per il Wall Street Journal, confermano proprio questo: Neo può lavare i piatti, pulire la cucina, piegare la biancheria, ma una buona parte delle sue azioni è ancora guidata da un operatore umano in realtà virtuale. Il risultato è affascinante e un po’ straniante: sembra un robot all’80%, con dentro un 20% di persona che gli dà una mano a capire come vivere in casa nostra.

Noe il robot domestico

Palo Alto, California, 28 ottobre 2025 – 1X è orgogliosa di annunciare il lancio di NEO, il primo robot umanoide al mondo pronto all'uso, progettato per trasformare la vita in casa. NEO automatizza le faccende quotidiane e offre assistenza personalizzata, consentendo alle persone di dedicare più tempo alle cose che contano. Qui la news del lancio.

Sipario e Conclusioni

A questo punto, la domanda torna al punto da cui siamo partiti. Da bambini volevamo Emiglio, lo aspettavamo sotto l’albero, lo vedevamo negli spot e lo immaginavamo come un amico che avrebbe reso tutto più divertente. Oggi gli Emiglio del presente sono molto più sofisticati: camminano davvero, sollevano pesi, ascoltano, parlano, imparano, si aggiornano via software. Alcuni, come quelli che nasceranno in Italia, potrebbero affiancarci in fabbrica o in magazzino; altri, come Neo, potrebbero stare in corridoio ad aspettare che gli chiediamo di rifarci il letto.

La vera domanda è se gli adulti di oggi hanno ancora quella curiosità dei bambini di allora. Siamo pronti a vedere un umanoide che attraversa il nostro salotto come se fosse la cosa più normale del mondo? Siamo disposti ad affidargli una parte delle nostre routine quotidiane, dei nostri spazi, dei nostri oggetti?

Emiglio, alla fine, era un gioco che potevamo riporre nell’armadio. I nuovi Emiglio evoluti non sono più giocattoli: saranno (forse) presenze stabili nelle nostre vite. Siamo pronti a fare loro spazio in casa?

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