Doctor Strange nel Multiverso della Follia, recensione: uno, nessuno, centomila

Doctor Strange nel Multiverso della Follia: rimpianti, possibilità e speranze nel nuovo capitolo del Marvel Cinematic Universe.

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a cura di Manuel Enrico

Non si può fare a meno di pensare che il buon Stephen Strange avesse ragione nell’affermare che ‘il multiverso è un concetto di cui sappiamo spaventosamente poco’. Nell’ammonire il giovane Parker in Spider-Man: No Way Home, in realtà Strange stava anche preparando noi spettatori a quanto ci sarebbe stato presentato in Doctor Strange nel Multiverso della Follia, il nuovo capitolo del Marvel Cinematic Universe in cui lo stregone interpretato da Benedict Cumberbatch si ritrova ad affrontare le conseguenze del suo infausto incantesimo. Film a lungo atteso, anticipato da una calda stagione di anticipazioni, voci di corridoi e trappole per fan, tra annunci di grandi camei e teorie che vedevano nel multiverso l’elemento di rottura con la continuity del Marvel Cinematic Universe.

Soprattutto, arrivando dopo Spider-Man: No Way Home, che ha dato una prima visione del multiverso sul grande schermo, mostrandoci allo stesso tempo uno Strange dai toni gigioneschi e lontani dalla caratura di quello che dovrebbe esser il nuovo punto di riferimento degli eroi marveliani.

Uno scivolone all’interno di un film che, focalizzato sull’Arrampicamuri, ha puntato a offrirci la vera origin story di Spider-Man nel Marvel Cinematic Universe, regalandosi momenti di appassionante fan service e al contempo a proiettando Strange in una dimensione narrativa più articolata e drammatica. Memori di quanto visto in Loki, dove il multiverso ha fatto la sua trionfale apparizione, e dall’episodio E se….il Dottor Strange avesse perso il cuore invece delle mani? della serie animata Marvel What if….?, era lecito aspettarsi che finalmente la complessità del personaggio interpretato da Cumberbatch vestisse finalmente il suo nuovo ruolo.

Doctor Strange nel Multiverso della Follia: responsabilità e rimpianti

Alla scomparsa di Capitan America e di Iron Man, si è palesato il problema di non avere un personaggio capace di ereditarne il ruolo di guida, che non fosse solamente una scelta di character, ma anche di interprete carismatico, capace di trasmettere quello che è da sempre è un mantra della Casa delle Idee: da grandi poteri, derivano grandi responsabilità. Riavvolgendo la vita cinematografica di Strange, la responsabilità nata dalla conoscenza è la sua condanna, una maledizione che in Avengers: Endgame lo ha spinto a spingere silenziosamente Tony Stark verso un destino ineluttabile.

Immaginate il peso sopportato da Strange nel dover sollevare il dito per indicare a Stark, nel momento cruciale, quell’unica possibilità per salvare il mondo. Strange è la mente brillante che è stata spezzata e riforgiata, il razionale che si scontra e poi accetta l’immateriale e il mistico, comprendendo come il suo percorso sia costellato di rinunce e sacrifici. Ogni decisione scelta influenza la sua vita, infinte possibilità che diventano potenziali rimpianti, memorie di occasioni perdute sacrificate per un bene più un grande, ma se fosse una semplice azione, come un incantesimo lanciato malamente per la troppa confidenza nel proprio potere, a costringerlo a dover fare i conti con le strade non prese?

Doctor Strange nel Multiverso della Follia vuole essere la risposta a questo interrogativo, ma non solo. Pur essendo lo Stregone Supremo marveliano il main character del titolo, non dimentichiamo la presenza di una figura drammatica e vivida come Wanda Maximoff, la Scarlet Witch interpretata da Elizabeth Olsen. Donna dall’esistenza travagliata, fatta di perdite e incomprensioni, dotata di un potere incredibile che non le ha comunque impedito di soffrire duramente. La morte del fratello in Avengers: Age of Ultron, l’incomprensione del mondo e la dolorosa perdita dell’amato Visione in Avengers: Endgame, sino all’illusorio idillio familiare di WandaVision hanno piagato la sua anima, e uno spirito così sofferente e amareggiato come affronterà le lusinghe del multiverso?

I presupposti per una storia intima e dai risvolti amari sono stati serviti alla perfezione a Michael Waldron, sceneggiatore, e Sam Raimi, nume tutelare del cinema dei supereroi. Quando Raimi si è seduto sulla sedia del regista di Doctor Strange nel Multiverso della Follia si è subito ipotizzata una sua personale visione dell’horror e della graffiante ritrattistica di personaggi inquieti e caratterizzati da lati oscuri, tanto che si era parlato del primo horror movie Marvel.

Un ritorno al cinema supereroico accompagnato non solo da alte aspettative, ma anche da timori che il multiverso e la possibilità di potere giocare con il ricco pantheon marveliano potesse sfuggire di mano e sfociare nel fanservice, sacrificando la solidità della trama di quello che dovrebbe esser una delle pietre angolari della Fase Quattro del Marvel Cinematic Universe. Timori e aspettative che, usciti dalla sala dopo la proiezione di queste due ore di avventure a spasso nel multiverso, possiamo finalmente affrontare.

Se il precedente capitolo di Strange si era focalizzato su una visione più psichedelica del mondo magico marveliano, Raimi riveste la storia di Michael Waldron con un tocco più dark e graffiante, che non ammalia solo lo sguardo, ma vuole dare pieno risalto all’essenza di Doctor Strange nel Multiverso della Follia: la tormentata anima dei due protagonisti.

Stephen Strange e Wanda Maximoff sono due figure più simili di quanto immaginiamo. L’ex Stregone Supremo ha rinunciato ai propri desideri per divenire il protettore mistico del nostro mondo, soffocando l’amore per la sua Christine e arrogandosi al contempo una divertente arroganza con cui sublima il suo mai sopito senso di superiorità. Le conseguenze di Avengers: Endgame più che di Spider-Man: No Way Home sono le vere leve emotive di quanto vivrà Strange, che si ritroverà a vivere una traversia interiore che diverrà, come detto dallo stesso Cumberbatch durante l’incontro con la stampa, una superlativa autoterapia, che gli insegnerà a come non si possa esser schiavi del controllo, ma accettare che a volte non si possa dominare gli eventi, ma seguire l’onda del momento.

Una presa di coscienza che si contrappone alla più drammatica cura dedicata a Scarlet Witch. Dopo WandaVision ci si è interrogati sull’evoluzione del personaggio di Elizabeth Olsen, la figura più ferita e travagliata del Marvel Cinematic Universe. Senza scadere in fastidiosi spoiler, il trattamento riservato a Wanda in Doctor Strange nel Multiverso della Follia è dirompente e drammatica, complice una magnifica Elizabeth Olsen, che completa la sua evoluzione interiore, straziante e vivida. La sua interazione con Strange è una catarsi per entrambi, che vede nel multiverso uno strumento terapeutico, che all’interno del contesto complessivo del MCU rimane quasi marginale in questo capitolo, meno centrale di quanto ci si sarebbe potuto aspettare.

La nuova identità del Marvel Cinematic Universe

Inutile negare l’evidenza: la vera incognita era Sam Raimi. La grammatica del Marvel Cinematic Universe era quanto di più lontano si potesse immaginare dall’essenza di Raimi, legata a una narrativa orrorifica che difficilmente si assocerebbe al contesto più lieve e visivamente meno violento del MCU. Eppure, per questo inquietantemente intimo capitolo della Fase Quattro, lo stile di Raimi è stato semplicemente perfetto. Non solo per enfatizzare un approccio dark dalla natura particolarmente intima, ma per le sue peculiarità stilistiche, dove l’equilibrio tra comicità slapstick e definizione emotiva dei personaggi ha trovato una sintesi visiva avvincente nei suoi tradizionali movimenti di camera.

Chi apprezza la filmografia di Raimi non si sentirà minimamente tradito dallo spettacolo visivo, ritrovando i vezzi stilistici del regista che trovano nella dimensione del Marvel Cinematic Universe una propria identità. Divertente, emozionante e sorprendente, l’avventura di Strange nel multiverso richiede una minima conoscenza della continuity del Marvel Cinematic Universe, ma per sua concezione, fortemente focalizzata su Strange e Wanda, può esser compreso e goduto anche da conoscitori casuali del mondo marveliano sul grande schermo, grazie alla vis narrativa di Raimi, capace di farci emozionare puntando la nostra attenzione su momenti di introspezione dei personaggi principali. Una costruzione narrativa appassionante, non priva di alcune crepe nei momenti sbagliati, ma che tiene sempre lo spettatore sul filo della tensione, che può contare sulla colonna sonora di Danny Elfman, compositore con cui Raimi ha una sinergia professionale impeccabile

Doctor Strange nel Multiverso della Follia, all’uscita dalla sala, ci saluta con una serie di emozioni travolgenti, racchiuse in una storia godibile anche con una minima conoscenza del Marvel Cinematic Universe, regalando al contempo ai Veri Credenti del Marvel Universe fumettistico una serie di easter egg che, per quanto annunciati negli scorsi giorni tramite trailer e leak, hanno comunque regalato grandi emozioni. Il nuovo slancio narrativo nato dal finale di Avengers: Endgame sta proiettando il Marvel Cinematic Universe verso una narrazione più sperimentale, come visto con WandaVision e Moon Knight, in cui la verve di Raimi si è presentata come una nuova interpretazione che speriamo non rimanga un caso isolato.