Immagine di Not All Robots – I migliori amici dell’uomo [Recensione]
Cultura Pop

Not All Robots – I migliori amici dell’uomo [Recensione]

Not All Robots – I migliori amici dell’uomo, quando i robot soffrono come gli umani secondo Mark Russell e Mike Deodato Jr.

Avatar di Manuel Enrico

a cura di Manuel Enrico

In sintesi

Not All Robots – I migliori amici dell’uomo, quando i robot soffrono come gli umani

La difficile convivenza tra vita artificiale e organica esiste da ben prima della nascita della fantascienza, un dato che dovrebbe consolare i robot, che da sempre sono visti come i potenziali nemici dell’umanità. Non è un caso che Asimov, uno dei massimi esponenti della rivoluzione robotica nella sci-fi letteraria, abbia cercato di abbattere la sindrome di Frankenstein, come viene definito questo contrasto tra sintetico e organico, presentando lungo tutta la sua carriera storie in cui robot e umani mostrano una possibile convivenza. Eppure, leggendo Not All Robots – I migliori amici dell’uomo viene da pensare che la lezione di Asimov non sia stata del tutto compresa, almeno da Mark Russell, autore della sceneggiatura della miniserie in cinque numeri presentata da Panini Comics in volume.

Per quanto non manchino esempi successivi ad Asimov di figure robotiche positive, come Data di Star Trek o i numerosi droidi che popolano la galassia di Star Wars, è innegabile che nel nostro inconscio permane una sfiducia verso il sintetico. Una tendenza che, nella narrazione fantascientifica si è palesata in diversi modi, non mancando di trovare spazio anche sul grande schermo, da Blade Runner a Terminator, senza dimenticare gli esser artificiali di Alien. Pur mantenendo questo timore verso questi nostri simulacri robotici, la sensibilità dei diversi autori si è comunque spostata dalla rigida contrapposizione buoni/cattivi, analizzando in modo differente il ruolo stesso di queste creature artificiali.

Not All Robots – I migliori amici dell’uomo, quando i robot soffrono come gli umani

A questi ultimi autori appartiene anche Mark Russell, che con Not All Robots – I migliori amici dell’uomo è andato oltre la facile costruzione di un mondo in cui carne e metallo sembrano andare in contrasto, preferendo dare anche i robot una connotazione insolitamente umana, lavorando di cesello su quella che da sempre è una della paure umane legata alla funzione dell’automazione: l’esser sostituiti. Una delle più feroci critiche mosse dagli autori della sci-fi tradizionale alla figura del robot è la sua apparente volontà di dominio, il sentirsi superiore a noi organici, maturando la convinzione di esser destinato a soppiantarci, o quantomeno dominarci. Che si tratti del cinema sci-fi anni ’50 o dei racconti di una certa fantascienza letteraria, il pericolo robotico ha incarnato questa insicurezza tipica umana, legata soprattutto all’evoluzione tecnologica che priva la forza lavoro organica della propria importanza, quasi una forma di luddismo in costante evoluzione.

La felice intuizione di Mark Russell è andare oltre a questa tradizionale contrapposizione, ribaltando completamente i dogmi tipici del genere. Nella sua visione, anche i robot possono maturare una coscienza collettiva che li porta a maturare un senso di insoddisfazione per la propria vita, con una certa propensione al patimento di una precarietà, interiore e lavorativa, che crea una continuità emotiva con le fragilità della controparte umana. Un’umanità apparentemente sottomessa, spesso volontariamente, che si è rassegnata al ruolo di presenza di contorno nelle esistenze dei robot, che hanno soppiantato la società umana creandone una versione robotica che, nonostante le presunte velleità di superiorità, presenta le medesime pecche.

Not All Robots – I migliori amici dell’uomo riesce nell’intento di riscrivere il rapporto uomo-robot tanto caro alla letteratura di genere, offrendo un diverso punto di vista emotivo. Prendendo come campione di questa società distopica la famiglia Walters, dipendente dall’operato del proprio robot Rasoiobot per vivere, abbiamo modo di analizzare una società idealizzata che incarna, invece, l’oscura sublimazione di una visione dissacrante dell’umanità. Non illudiamoci che i Walters siano i soli a rappresentare alcuni dei malesseri contemporanei, considerato che Russell è particolarmente abile nell’effettuare un trasnfer in cui, ironicamente, sembrano proprio i robot le incarnazioni di alcuni dei tratti più deprecabili dell’umana condizione. Rasoiobot è, a tutti gli effetti, il prototipo dell’uomo intrappolato in una vita che sente ingrata, fatta di insoddisfazione familiare, dove non si sente compreso e apprezzato, e di vessazioni sul lavoro, dove gli ingranaggi impietosi della mentalità industriale lo vedono non come individuo, ma come semplice numero.

Con una vena di dissacrante ironia, Russell costruisce sulla figura di Rasoiobot una narrazione acida e impietosa, che si percepisce subito come finalizzata alla progressiva estremizzazione del malessere interiore del robot. La rabbia repressa e la sua progressiva desensibilizzazione verso il suo ruolo familiare vengono presentati tramite la palese avversione della famiglia Walters, eccezion fatta per il marito, che pare invece aver sviluppato una sorta di venerazione per il robot domestico. Una separazione interna agli umani di casa che porta a conseguenze estreme, in cui la ribellione e il rimpianto per una vita che, per quanto stigmatizzata dalla nuova società, ha il fascino di un’epoca più libera, più umana.

Russell confeziona una storia dal piglio emotivo avvolgente, dissacrante, che si sviluppa forse troppo rapidamente all’interno dei cinque numeri che compongono questa miniserie. La rapidità, pur privando alcuni passaggi di una maggior definizione, non priva però il lettore della giusta cifra emotiva per comprendere le tensioni che animano i diversi personaggi, con dialoghi graffianti, in cui la sofferta intolleranza di alcuni si scontra con la urticante accettazione di uno status quo che si teme al punto di accoglierlo come unico modo per non cedere alla follia di una vita altrimenti fuori controllo.

Una curiosa metafora delle pecche della società contemporanea

Sul piano narrativo, Not All Robots – I migliori amici dell’uomo rappresenta una gradevole variazione sul tema del rapporto uomo-macchina, cercando un uguale carisma anche sul piano visivo, affidandosi a Mike Deodato Jr. Pur riconoscendo all’artista la sua familiare precisione, va tuttavia ammesso che sono diverse le tavole in cui la plasticità dei personaggi risulta quasi dissonante rispetto all’interezza della lettura, con una sensazione di evidente separazione tra immagine e racconto. L’oramai consueto utilizzo della gabbia, vincolato a una composizione identificativa dell’operato di Deodato, offre un senso di claustrofobica ristrettezza che tende a privare il racconto visivo di ulteriori dettagli che avrebbero reso ancora più completo il racconto di Russell.

Per il mercato italiano, Panini Comics ha pubblicato l’intera miniserie di Not All Robots in un volume cartonato in linea con la prassi dell’editore, offrendo un packaging semplice ma funzionale. L’assenza di redazionali o contenuti critici che avrebbero potuto aiutare maggiormente la comprensione di alcuni dettagli sociali poco noti al pubblico nostrano, vagamente accennati tramite piccole note direttamente inserite nella pagine, è uno dei punti a sfavore di questa pubblicazione, che presenta come unico extra una contenuta gallery di bozzetti di lavorazione.

Voto Recensione di Not All Robots - I migliori amici dell'uomo



Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • - Interessante variazione del tema uomo-macchina

  • - Trama intelligente

  • - Edizione completa della miniserie

Contro

  • - Disegni non sempre convincenti

  • - Alcuni passaggi risultano troppo rapidi

Commento

Sul piano narrativo, Not All Robots – I migliori amici dell’uomo rappresenta una gradevole variazione sul tema del rapporto uomo-macchina, cercando un uguale carisma anche sul piano visivo, affidandosi a Mike Deodato Jr. Pur riconoscendo all’artista la sua familiare precisione, va tuttavia ammesso che sono diverse le tavole in cui la plasticità dei personaggi risulta quasi dissonante rispetto all’interezza della lettura, con una sensazione di evidente separazione tra immagine e racconto. L’oramai consueto utilizzo della gabbia, vincolato a una composizione identificativa dell’operato di Deodato, offre un senso di claustrofobica ristrettezza che tende a privare il racconto visivo di ulteriori dettagli che avrebbero reso ancora più completo il racconto di Russell.

Informazioni sul prodotto

Immagine di Not All Robots - I migliori amici dell'uomo

Not All Robots - I migliori amici dell'uomo