Alien: primo contatto con gli xenomorfi

Come è nato Alien, il letale xenomorfo protagonista di una delle più amate saghe del cinema di fantascienza? Ecco le sue origini

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a cura di Manuel Enrico

Quando nel 1979 Ridley Scott portò al cinema il primo capitolo della saga degli xenomorfi, Alien, probabilmente non si aspettava un successo tale da renderlo uno dei nomi più rappresentativi del cinema fantascienza, un riconoscimento nuovamente meritato anni dopo per il suo indimenticabile Blade Runner. Per anni si è dibattuto se Alien sia un film horror, un film di fantascienza o una riuscita sintesi delle due tipologie di film. La risposta, come spesso accade, si annida nelle sue origini.

La nascita di Alien è un percorso piuttosto lungo, legato non tanto al nome del regista, ma alla figura dello sceneggiatore Dan O’Bannon, che impiegò diversi anni a portare a compimento un suo personale progetto: realizzare un film horror dal sapore fantascientifico.

 Le origini degli xenomorfi

Negli anni ’50 i film di fantascienza erano un genere molto popolare, che cercava di stupire gli appassionati ricorrendo anche ad un’idea violenta e orrorifica dell’alieno. In quel periodo, le linee guida erano un equilibrio tra le classiche suggestioni della fantascienza, come l’esplorazione di pianeti remoti, scienza impazzita e alieni minacciosi. Classici come Il pianeta proibito, L’Esperimento del Dottor K o L’astronave atomica del dottor Quatermass erano tentativi di sviluppare film che sapessero instillare anche il terrore nello spettatore.

Dan O’Bannon era un appassionato di questi film, spesso catalogati come B-movie, e una delle sue prime esperienze come sceneggiatore fu realizzare un film su questa impostazione, Darkstar. Uscito nel 1974, nelle idee di O’Bannon Darkstar avrebbe dovuto una commedia fantascientifica grottesca, che non fu particolarmente apprezzata dal pubblico, ma venne vista da un altro personaggio altrettanto visionario: Alejandro Jodorowsky.

Conclusa l’esperienza di Darkstar, O’Bannon aveva iniziato a lavorare ad un’altra idea: Memory. In questa sceneggiatura, un gruppo di astronauti interrompevano il loro viaggio perché intercettavano un misterioso segnale alieno proveniente da un pianeta sperduto, spingendoli a scendere sulla superficie alla ricerca di cosa avesse trasmesso il segnale. O’Bannon non andò oltre perché venne contattato con un’offerta irresistibile: volare a Parigi per fare parte del team artistico voluto da Alejandro Jodorowsky per realizzare una trasposizione di Dune.

Jodorowsky rimase stupito dalle idee di O’Bannon e lo considerò un elemento essenziale per il suo progetto. Come si sa, il film non vide la luce, ma ebbe il merito di mettere nella stessa stanza per lungo tempo personalità eclettiche come O’Bannon, il disegnatore francese Jean Giraud (meglio noto come Moebius), Ron Cobb (co-autore di Darkstar) e il folle artista svizzero H.R. Giger. In questa atmosfera nacquero alcune pietre miliari, come il fumetto The Long Tomorrow (storia di O’Bannon e disegni di Moebius), ma soprattutto nacquero legami che negli anni seguenti portarono alla nascita di piccoli tesori come L’Incal (storia di Jodowosky e disegni di Moebius) ed ebbero anche un ruolo importante per la nascita di Alien.

Terminata l’esperienza con il fallimentare Dune di Jodorowsky, O’Bannon ritornò alla sua idea di realizzare un film che unisse horror e fantascienza. A rinfocolare questo suo pallino fu proprio la convivenza parigina con la squadra di Dune, soprattutto il talento visionario di H.R. Giger e la passione per la fantascienza di Chris Foss. In particolare, le inquietanti opere dello svizzero Giger esercitarono un certo fascino su O’ Bannon

“I suoi dipinti ebbero un forte impatto su di me, non avevo mai visto nulla di così orrende e al contempo affascinante come i suoi lavori. E alla fine mi ritrovai a scrivere uno script su un mostro di Giger”

Questa idea prese vita durante il suo soggiorno a Los Angeles, doveva viveva assieme a Ronald Shusett, che era alle prese con l’elaborazione di un progetto personale da anni (che diventerà poi Atto di Forza). I due rimettono mano al vecchio script di O’Bannon, Memory, cercando di portarlo a compimento. Shusett consigliò a O’Bannon di recuperare un’altra sua vecchia idea, che vedeva dei gremlins infiltrarsi in un bombardiere della Seconda Guerra Mondiale, adattandola al contesto di Memory. O’Bannon ascoltò il suggerimento, affezionandosi a questa particolare storia al punto da riproporla poi anche all’interno dell’estroso prodotto di animazione Heavy Metal del 1981.

In questa fase, il progetto cambia nome. In un primo momento, O’Bannon sceglie come nuovo nome Star Beast, ma non si ritiene soddisfatto e in breve la sceneggiatura prende un nuovo nome, Alien, scelta fatta in base al fatto che nella sceneggiatura quel termine compare con incredibile frequenza. A rendere definitivo il titolo è il doppio significato del termine, valido sia come sostantivo, con cui si riferisce alla creatura, che come aggettivo, che indica un qualcosa di sconosciuto.

Deciso titolo e ruolo dell’alieno, serviva un modo credibile per portare a bordo la creatura. L’illuminazione venne a Shussett, che raccontò come si arrivò all’intuizione su come l’alieno si infilasse all’interno dell’astronave umana

“Dan puntualizzò il problema: dovevamo trovare un modo in cui portare l’alieno sull’astronave in modo nuovo. Non avevo di come farlo, ero convinto che se avessimo trovato come farlo intrufolare a bordo, avremmo trovato la quadra del film. Nel pieno della notte, mi svegliai e dissi 'Dan, credo di avere auto un’idea: l’alieno si avvinghia a uno dell’equipaggio, gli salta sulla faccia e lo insemina'. E Dan mi disse 'Dio, ce lo abbiamo, abbiamo l’intero film!'”

Chiarire come l’alieno sarebbe arrivato a bordo era sicuramente un aspetto importante di Alien, ma il film doveva contemplare molto di più. O’Bannon doveva ampliare l’idea iniziale per dare corpo alla sua creatura, e nel farlo si lasciò influenzare molto dalla tradizione fantascientifica, al punto che la sceneggiatura finale di Alien fu oggetto di alcune pesanti critiche di scarsa originalità. Cosa che lo stesso O’Bannon non nascose arrivando a dire

“Non ho rubato Alien a nessuno, lo ho rubato a tutti”

Tralasciando le parti che erano derivazioni di suoi precedenti lavori, molte idee confluite in Alien era mutuate dall’epoca d’oro dei film di fantascienza degli anni ’50 e ’60. Ci fu un aspetto che generò parecchia attenzione, una volta uscito il film: come si riproduceva l’alieno. Secondo lo scrittore A.E. van Vogt l’idea non era frutto di un’intuizione notturna di Shusett, ma era sta presa dal suo Crociera dell’infinito (1950), in cui un alieno depositava le proprie uova all’interno degli umani, che venivano poi divorati quando l’embrione schiudeva l’uovo. Van Voght intentò anche una causa per plagio, che si risolse con un patteggiamento prima di giungere in tribunale.

Quale che fosse l’origine reale della trama di Alien, nel 1976 la sceneggiatura di O’Bannon e Shusset aveva già le caratteristiche principali di quello che divenne poi il film. Era già presente l’idea dello xenomorfo, c’erano il relitto dell’astronave e la figura dello Space Jockey.

Inizialmente, però, gli alieni avrebbero dovuto essere una razza avanzata, ma dotata di un complesso sistema riproduttivio e di crescita, che richiedeva la presenza di un ospite. Si era pensato di dare una connotazione religiosa a questo aspetto, immaginando una piramide in cui avveniva la fecondazione, come un rituale. Gli umani, come il futuro Ingegnere, erano gli ospiti in cui sarebbero stati impiantati gli embrioni durante il rituale. A far decadere questa impostazione fu, sostanzialmente, il budget limitato.

Dopo avere ultimato la stesura della sceneggiatura di Alien, O’Bannon e Shusset si misero in cerca di una major intenzionata a produrre il film. Dopo parecchie pore sbattute in faccia i due finirono alla Brandywine, una sussidiaria di 20th Century Fox, dove furono seguiti da David Giller e Walter Hill. E nonostante l’insoddisfazione di O’Bannon, che temeva di esser estromesso dalle decisioni importanti sulla trama, fu una vera fortuna per Alien. A Hill e Giller si deve l’introduzione della figura dell’androide Ash e alla sottotrama legata alla Weyland-Yutani.

Una volta completate le otto revisioni della sceneggiatura, arrivò luce verde dalla 20th Century Fox, che volevano realizzare quanto prima il film. Come racconta uno dei fondatori di Brandywin, Gordon Carroll:

“Volevano cavalcare il successo di Star Wars, e volevano farlo rapidamente, ma l’unica sceneggiatura con un’astronave che avevano pronta sulla scrivania era Alien”

Con queste idee in mente, venne stanziato un finanziamento di 4,2 milioni di dollari per la realizzazione, con la proposta a Walter Hill di dirigere il film, deludendo O’Bannon che era sicuro di sedersi sulla sedia del regista. Dopo aver scartato diversi candidati, la scelta ricadde su Ridley Scott, che accettò immediatamente. Scott realizzò subito degli storyboard, e li mostrò alla 20th Century Fox che rimase talmente colpita da raddoppiare il budget. Scott non nascose alla produzione che pur trattandosi di un film di fantascienza il suo obiettivo era quello di valorizzare maggiormente l’aspetto horror.

Creare Alien

Il vero protagonista di Alien è innegabilmente lo xenomorfo. Quando si avviò il progetto, O’Bannon presentò a Scott il mondo visionario di H. R. Giger, una conoscenza che colpì il regista e che volle l’artista svizzero nella sua squadra per Alien.

Per realizzare lo xenomorfo nel suo stadio finale, Giger fece diverse prove, ma il risultato finale fu una scultura in plastilina in cui erano inserite vertebre di serpente e pezzi meccanici presi da una vecchia Rolls-Royce. La testa fu realizzata dall’italiano Carlo Rambaldi, apprezzato per il suo lavoro in Incontri ravvicinati del terzo tipo e che una manciata di anni dopo avrebbe creato E.T. Rambaldi lavorò cercando di mantenere inalterata l’impostazione di Giger, inserendo all’interno della testa dell’alieno una serie di meccanismi e parti mobili che ne rendessero possibili movenze credibili e ferine.

L’idea del sangue alieno venne invece a Ron Cobb, che era stato assunto per disegnare la componente umana del mondo di Alien, dalla Nostromo alle attrezzature dell’equipaggio. Dan O’Bannon stava cercando un modo per non rendere invulnerabile l’alieno in maniera già vista e di renderlo comunque letale per l’equipaggio

“Ero fermo al punto in cui portavano l’alieno a bordo, volevo evitare il classico clichè dei proiettili che gli rimbalzavano addosso, del mostro indistruttibile, volevo che la creatura fosse in ogni aspetto una vero animale, quindi se gli spari deve morire. Il problema era, nella seconda parte del film, come mai non gli sparassero, non lo schiacciassero, o lo pugnalassero, e siccome non trovavo una soluzione, mi rivolsi a Cobb per un’idea”

All’epoca, Cobb stava già realizzando gli interni della Nostromo, dando una visione di utilità e di concretezza all’astronave. Il look ‘umano’ di Alien è industriale, sporco e spartano ma alcune regole essenziali erano rispettate, in particolare l’importanza della sicurezza.  Cobb aveva un’idea chiara in mente

“Si deve trovare un modo per sigillare la nave, sarebbe tremendo avere anche una piccola perdita, non vorresti mai che l’ossigeno finisca nello spazio! Bisogna avere portelli a tenuta stagna"

Da questa idea presero vita anche gli ambienti angusti della Nostromo, che complicarono ulteriormente il lavoro di O’Bannon, preoccupato ancora di non trovare una motivazione per cui l’alieno corresse per i corridoi senza che l’equipaggio lo abbattesse. Durante una conversazione, Cobb se ne uscì con una domanda

“Che ne dici se avesse il sangue acido? E potesse corrodere il metallo?”

Questa intuizione di Cobb diede a O’Bannon la risposta ai suoi problemi. Venne deciso che gli xenomorfi avessero il sangue acido, in modo tale che non potesse essere ucciso in modo canonico, ma si costrinse l’equipaggio a trovare nuovi modi per eliminarlo senza rimanere feriti o compromettere la sicurezza della nave.

All’interno del costume dell’alieno non c’era un attore, ma un artista di strada che Scott aveva conosciuto durante un viaggio di nome Bolaji Badejo. Il ragazzo era alto più di due metri e aveva braccia particolarmente lunghe, che lo rendevano ideale per muovere il costume dell’alieno. Scott fece prendere a Badejo lezioni di Tai Chi, per imparare a minimizzare i movimenti e calarlo ancora di più nella parte dell’Alien.

Rimaneva ancora da creare gli altri due stadi dello xenomorfo: il facehugger, il ragnesco essere che insemina gli ospiti, e il chestburster, ossia la prima fase vitale dell’alieno.

Il facehugger e la sua appendice erano realizzati con gli intestini di una pecora. Era la prima creatura che Giger realizzò, partendo dall’idea di realizzare un essere piccolo e che apparentemente si muovesse su dita umane. Per la scena in cui veniva analizzato il facehugger si utilizzarono intestini di pesce e molluschi.

Il chestburster fu realizzato con minore difficoltà utilizzando una marionetta azionata da sotto il tavolo.

L’universo di Alien

La fantascienza cinematografica del periodo era caratterizzata da una massiccia presenza di effetti speciali che creavano mondi incredibili. Per Alien si voleva realizzare un qualcosa di totalmente diverso, dimostrando come si potesse creare un intenso racconto emotivo tramite un lavoro di caratterizzazione del mondo in cui si muovevano i personaggi. Per Ron Cobb questa era essenziale

“Non apprezzo i film superficiali che si affidano totalmente ai loro effetti speciali, e ovviamente i film di fantascienza lo fanno spesso. Ho sempre pensato ci fosse un’altra strada per fare film: molto impegno dovrebbe essere impiegato verso la realizzazione delle astronavi, dei viaggi spaziali o di qualunque aspetto fantascientifico la tua storia tratti. Renderlo il più verosimile possibile, ma sempre come sfondo. In quel modo, la storia e i personaggi emergono e allora diventano reali”

Non a caso, i tre set che ricostruivano i ponti della Nostromo erano realizzati con schermi di computer a bassa risoluzione e materiale industriale riciclato, in modo da dare un senso di tecnologia futuribile ma datata. L’idea era di creare un distacco dalla fantascienza luminosa e lucente della sci-fi del periodo, avvicinandosi ad una visione di futuro ‘da riciclo’, sulla falsa riga di Star Wars. La Nostromo era un ambiente perfetto: è un cargo, e il suo equipaggio era in pratica un manipolo di camionisti spaziali. Si voleva enfatizzare l’aspetto di una tecnologia vecchia, utilizzata da un gruppo di lavoratori non specializzati e privi di una particolare preparazione, senza inserire scienziati o uomini d’azione.

 Cobb ideò anche tutta una serie di adesivi e indicazioni che trasmettessero il senso di una struttura corporativa, facendo comparire anche il logo della Weyland-Yutani, nonostante per tutto il film non venga nominata direttamente, ma ci si riferisca solamente come ‘la compagnia’.

A Giger toccò il compito di realizzare gli ambienti legati allo xenomorfo. L’artista creò location che fossero una sintesi di organico e meccanico. La sfida maggiore fu ricreare il set con lo space jockey, i cui costi spaventarono la 20th Century Fox, che voleva tagliare la scena. Scott convinse la produzione dell’importanza della scena, e ammortizzò i costi costruendo una sola parte e rendendo mobile la postazione del pilota alieno, in modo da poterlo ruotare in base alle esigenze, mentre Giger colorò con l’aereografo il set e l’alieno.

Giger aveva ricreato anche il nido dell’alieno nella Nostromo, utilizzato per una scena tagliata dalla versione finale del film. Ripley, verso la fine, avrebbe dovuto trovare Dallas e Brett avvolti in un bozzolo organico che li stava lentamente mutando in uova, mostrando quindi il ciclo vitale completo degli xenomorfi. Scott, però, alla fine taglio la scena per lasciare il mistero sull’evoluzione degli alieni, anche se questo cut venne inserito nella versione di Alien del 2003.

In cerca di un equipaggio

Al momento del casting per l’equipaggio della Nostromo, Scott comprese di avere un enorme vantaggio: servivano pochissimi attori! La componente umana di Alien, in effetti, è minima, il che consentiva a Scott di poter disporre di un buon budget per assumere anche attori di una certa importanza. Shussett aveva inoltre utilizzato una tecnica di caratterizzazione dei personaggi che non chiariva il loro sesso, in modo da adattare i diversi ruoli indifferentemente ad attori e attrici.

La sua prima idea era di avere Harrison Ford per il ruolo del capitano della Nostromo. Ford rifiutò per il timore di legare il suo nome solo a film di fantascienza, scrupolo che Scott gli fece passare quando lo ricontattò in seguito per essere il protagonista di Blade Runner. E il ruolo di Dallas venne affidato a Tom Skerritt.

Scott si lasciò tentare da una delle tendenze del periodo nei film horror la Final Girl, ossia la sopravvissuta. Negli horror si assiste spesso alle traversie di una figura femminile che dopo avere subito la situazione, alla fine trova il coraggio di reagire e ribaltare le aspettative. Scott riscrive questa concezione, mostrandoci una donna, Ellen Ripley, capace di essere salda ed energica sin dall’inizio, sicura anche nel mostrarsi contraria alle idee dei colleghi, senza patirne il confronto.

Per questo ruolo serviva un’attrice di valore. Inizialmente la parte era stata affidata a Meryl Streep, ma l’attrice dovette rinunciare alla morte del compagno, John Cazale. Nonostante per la parte si fosse presentata anche Veronica Cartwright, la scelta ricadde su una collega più giovane, Sigourney Weaver, che pur non avendo la stessa esperienza mostrava buone capacità. Ironicamente, la Cartwright venne richiamata sul set, ma a sorpresa della stessa attrice non come Ripley ma nel ruolo di una sua compagnia di equipaggio, Lambert.

Scott decise di cercare quanto più realismo possibile dai propri attori, arrivando al punto di utilizzare delle tecniche poco ortodosse. Per creare una tensione palpabile tra Ripley e Paker, interpretato da Yaphet Kotto, Scott chiese all’attore di colore di essere sgarbato con la Weaver anche al di fuori delle riprese, facendole battute e importunandola.

Non pago di questo, per la scena madre del chestburster, Scott raccontò solo all’interprete di Kane, John Hurt, cosa sarebbe realmente accaduto. Nel momento in cui si girò la scena, nessuno a parte Hurt si immaginava cosa sarebbe realmente successo, e gli schizzi di sangue e interiora (che erano reali, trattandosi di frattaglie di bue) sorpresero gli attori, soprattutto la Cartwright che venne colpita in piena da un copioso schizzo di sangue.

Scott ideò anche alcuni accorgimenti per realizzare le scene più celebri del film. Quando Kane si avvicina all'uovo alieno, il guscio era stato realizzato in un materiale semitraspare, di modo che si potesse vedere il facehugger che si muoveva all'interno. In realtà, quello che si vedere è la mano dello stesso Scott, avvolta in un guanto che si agitava in una nebbiolina.

Meno sicura fu l'idea di mostrare all'interno dei caschi degli astronauti la condensa dei caschi. John Hurt e Veronica Cartwright si trovarono a dover combattere con un difetto delle loro tute, che facevano raccogliere all'interno dei caschi una fastidiosa nebbiolina che rischiava di soffocare i due attori. Fortunatamente, la cosa si risolse rapidamente prima che ci fossero conseguenze gravi per gli attori

Altra aggiunta importante voluta da Scott era la presenza di Jonesy, il gatto. La presenza del felino è intelligente, nei momenti di massima tensione improvvisamente appare lui, creando dei jump scares mai banali e di effetto. Ma nemmeno il peloso membro dell’equipaggio della Nostromo è rimasto al riparo dai magheggi di Scott. Nella scena dell’incontro con l’alieno, il gatto si trovava in realtà di fronte a un vetro trasparente, rimasto fuori scena, dietro cui c’era un grosso cane, tutto studiato per ottenere una reazione credibile alla presenza dello xenomorfo!

L’eredità di Alien

Il successo di Alien fu enorme. In un periodo in cui si stava riscrivendo la fantascienza cinematografica, lo xenomorfo era una visione differente e più cupa dell’avventura umana nello spazio. In una manciata di anni al cinema arrivarono Star Wars, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, Alien, Blade Runner, Star Trek-the Motion Picture e E.T. La forza di Alien era il tentare un approccio diverso, spinto non tanto da uno sfoggio di effetti speciali e grandi scenografie, ma basato principalmente sull’approccio emotivo dello spettatore.

I corridoi angusti della Nostromo era un ambiente ideale per una storia claustrofobica, fatta di tensione costante enfatizzata da scenografie disturbanti ed esaltata da un sottotesto di sci-fi sporca, materiale e in cui emergono sottotrame (come quella della Compagnia) che arricchiscono la narrazione, avvicinandola ad una dimensione più realistica e con cui lo spettatore può identificarsi.

A più di quarant’anni dalla sua uscita al cinema (25 maggio 1979), Alien mantiene inalterato il suo fascino, ampliato da altri film che ne hanno approfondito il mondo, come Aliens – Scontro Finale, altri meno riusciti e alcuni, firmati dallo stesso Scott, che stanno cercando di ampliare le base narrativa della saga, come Prometheus e Covenant.

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