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Un Uomo Tranquillo, recensione del nuovo film con Liam Neeson

Remake di "In ordine di sparizione", filmato nel 2014 da Hans Petter Moland, Un Uomo Tranquillo è ad opera dello stesso regista, che ha riportato su suolo americano la trama (e le intenzioni) del suo gradevole crime movie in stile norvegese.

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Avatar di Raffaele Giasi

a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Pubblicato il 22/02/2019 alle 18:18

Remake di un film (In ordine di sparizione) che lo stesso regista, Hans Petter Moland, aveva diretto nel 2014, Un Uomo Tranquillo ha ben poco a che vedere, come pensava qualcuno, con il cult della commedia ad opera di John Ford (The Quiet Man con John Wayne, anno 1952), sebbene i richiami all'Irlanda in più punti ci siano, ma vai a sapere se è un caso o una citazione.

Se non si parla, quindi, di un remake o di un tributo alla commedia di Ford, è curioso costatare che Un Uomo Tranquillo non sembri avere, paradossalmente, neanche attinenza con sé stesso... o quanto meno col suo stesso trailer che, almeno a guardarlo, sembrerebbe suggerire una trafila ormai ben nota per l'attore Liam Neeson.

Già perché a guardare il trailer di Un Uomo Tranquillo, parrebbe di trovarsi alle prese con un dramma animato da un certo spirito da action movie, in cui le influenze di film come “Taken” sembrerebbero sprecarsi in quella che è, fondamentalmente, una caccia all'uomo da parte dell'ennesimo padre di famiglia dall'indole vendicativa e violenta.

Il film è sì una storia che mette al centro la vendetta, e una lunga sequela di omicidi, ma se vi aspettate un ritmo nello stile della serie “Io vi troverò”, o anche qualcosa di vagamente simile potreste rimanere tremendamente delusi.

Guarda su

La storia è quella di Nels Coxman (Liam Neeson), un autista di spazzaneve che si guadagna la giornata sgombrando le strade attorno alla fittizia cittadina di Kehoe, nel cuore delle gelide montagne del Colorado. Coxman è un cittadino modello, un padre amorevole ma impegnato nel lavoro, e soprattutto un uomo che, almeno all'apparenza, non farebbe del male a nessuno. Quando però suo figlio viene trovato morto a causa di una overdose di eroina, causando l'implosione del suo piccolo nucleo familiare, Coxman mette da parte ogni timidezza trasformandosi in uno freddo e spietato vendicatore.

Scoperto da un amico di suo figlio, tale Dante, che i responsabili sono i membri della gang del “Vichingo”, boss della droga locale, Coxman comincia dal basso il suo cammino di vendetta, rintracciando prima l'esecutore materiale della morte del suo ragazzo, sino a risalire la catena di comando, scatenando nel mentre un'altra storia parallela di sangue, droga e vendetta.

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A sentire la trama di Un Uomo Tranquillo non dovreste percepire particolari guizzi. Sembra si tratti di una crime story come tante se ne sono narrate, ed è così. La differenza che il film cerca disperatamente, cercando di emulare quello che è palesemente lo stile di Tarantino, è quella narrazione “dall'interno” che mette al centro della vicenda non solo il risoluto e vendicativo padre di famiglia, ma anche i criminali, le loro inclinazioni, i loro vizi, le loro eccentricità.

Non a caso, il film originale di Moland era ammantato di una certa dose di ironia, che in qualche misura si era dimostrata interessante per il pubblico nord-europeo, complice per altro una messa in scena che faceva proprio della Norvegia e dei suoi paesaggi innevati, il fulcro dell'attenzione dello spettatore. Spostando la messa in scena sul suolo americano, e cercando una coniugazione hollywoodiana al film che riprenda le fila dai maestri del moderno gangster movie, il film semplicemente collassa su sé stesso.

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C'è sì la neve, potente e terribile, ma tanto per restare in tema il film non ha, ad esempio, quello charme e quell'inquietudine che si potrebbe riscontrare invece nel più cupo e soffocante “I Segreti di Wind River”, in cui le tematiche, in fin dei conti, sono simili ma meglio distribuite, per quanto prive di tutto il sottotesto da gangster movie.

Anche l'ironia, che nel film originale manteneva una certa dignità, in questa edizione americana è quasi paradossale, spesso inutile se non incomprensibile, e si manifesta in momenti in cui vorrebbe (o dovrebbe) creare una qualche forma di disagio nello spettatore, la qual cosa riesce praticamente solo un paio di volte, una delle quali nel finale, risultando più che disturbante, incomprensibile.

Guarda su

Un peccato, perché in quella voglia di emulare per forza Tarantino, e più spesso i Coen, il regista sacrifica sull'altare un attore eccezionale come Liam Neeson, che più che finire vittima dell'emulazione di sé stesso (insomma, quel ruolo da Bryan Mills di “Io Vi Troverò” che gli si è incollato un po' troppo addosso) finisce semplicemente al di fuori degli interessi della macchina da presa. L'attore è spesso defilato, del tutto privo di introspezione, spesso sacrificato per far spazio a sottotrame di cui, in fin dei conti, non importa quasi nulla allo spettatore.

Un Uomo Tranquillo vorrebbe essere, insomma, un film ironico, tagliente, efferato ma anche profondamente “cool”. Ovviamente non riesce ad essere nulla di tutto ciò, o meglio: ha dei momenti in cui è sinceramente convincente in questo o quell'aspetto della messa in scena, ma poi si perde nella già succitata emulazione. In questo modo ne risulta un film con poca personalità (non che non ne abbia in assoluto), ma soprattutto un'occasione persa per portare al pubblico internazionale un film di genere, quello del “crime scandinavo”. Che magari non sarà un genere a sé, ma che sia al cinema che in letteratura ha portato alla nascita di prodotti straordinari: cervellotici, cupi, di carattere, e contraddistinti dall'assiderante messa in scena in una neve fredda, spietata, che non lascia speranze. Così, invece, Un Uomo Tranquillo è l'ennesima copia di qualcosa già visto, con qualche battutina e poco più.

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Non un brutto film in senso assoluto - c'è di peggio a questo mondo e su questo non ci son dubbi -, ma un film che non è praticamente mai in stato di grazia. La sua ricerca di un umorismo grottesco non è mai calzante, e i suoi momenti d'azione vengono spesso messi da parte in virtù della ricerca di un'introspezione che, quando non è forzata, è sostanzialmente inutile. L'idea è che Moland si sia ispirato ai lavori di Tarantino e dei Coen, ma il norvegese manca dello stile di entrambi, e si perde in quello che è un costante scimmiottamento di vari generi che, in buona sostanza, si conclude con un nulla di fatto.

La presentazione del film come un action movie di vendetta sullo stile della serie Taken, e la stessa presenza di un Liam Neeson quanto mai schivo nei confronti della telecamera (e di qualunque approfondimento psicologico) rendono il tutto ancora meno digeribile, contribuendo alla probabile delusione dello spettatore finale. Come detto non è un film brutto e senza speranza, ed anzi in certi frangenti si lascia guardare anche piacevolmente (complice quella fascinazione, ormai consacratasi da anni, per i paesaggi nevosi della parte più profondamente a nord del nostro pianeta), ma salvo qualche momento sporadico, tutto il resto è un mero collage di buone intenzioni e scarsi risultati.

Se amate il thriller e volete sperimentare il talento di un autore norvegese, allora puntate gli occhi sui libri di Jo Nesbø, straordinario autore di thriller già celebre per opere come Il Cacciatore di Teste, Il Confessore e soprattutto L'uomo di neve.
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