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Telecom Italia aggredita dalle major discografiche

Telecom è stata costretta a chiudere Next Music, la sua piattaforma gratuita di streaming musicale

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Avatar di Dario D'Elia

a cura di Dario D'Elia

Pubblicato il 09/09/2009 alle 07:03 - Aggiornato il 15/03/2015 alle 01:11

Telecom Italia è stata obbligata a chiudere Next Music, la sua nuova piattaforma gratuita di streaming musicale. Le filiali italiane delle major discografiche, appena tornate dalle vacanze, hanno scatenato la cavalleria per irregolarità nella gestione delle licenze.

In pratica, Telecom Italia aveva stipulato un accordo sperimentale con il fornitore di contenuti Grooveshark – primo responsabile della gestione dei diritti. Al momento della scadenza dei termini licenziatari pare che le major si siano scatenate.

"I nostri artisti ne sono stati danneggiati e i consumatori fuorviati", ha dichiarato Marco Alboni, dirigente EMI a La Repubblica. Enzo Mazza, presidente Fimi (Federazione dell'industria musicale italiana) sostiene di aver avvistato a tempo debito Telecom Italia dell'irregolarità.

"Telecom Italia potrebbe fare un accordo con Spotify per portarlo in Italia. Invece di prendere un servizio non autorizzato", ha dichiarato Mazza.

Il responsabile relazioni esterne di Fimi, proprio l'altro giorno, in riferimento al nostro articolo su Spotify ha deciso di intervenire con una mail. "…tengo a precisare che non c'è alcuna rigidità da parte della Fimi mi sembra che sia proprio il contrario. Le case discografiche negli ultimi anni hanno stretto accordi con Youtube, cavalcato l'onda dei social network, insomma non sono rimasti certamente immobili dinnanzi allo sviluppo dei nuovi modelli di business", ha scritto Daniele Salvaggio.

Effettivamente, l'altro ieri, ironizzavo sul fatto che Spotify stranamente non è accessibile in Italia. Quasi contemporaneamente Mazza ammetteva a La Stampa che il servizio potrebbe essere attivato nel nostro paese entro Natale. "Anch'io lo ritengo uno dei modelli più interessanti e spero vivamente che parta anche in Italia al più presto. Lo streaming video (YouTube) ad esempio nel nostro Paese ha superato il p2p e sono certo che un fenomeno come Spotify, con le sue caratteristiche di social network con streaming audio troverebbe terreno fertile".

A questo punto mi vengono in mente tante domande. Quale sarà il prezzo che Spotify dovrà pagare per sbarcare in Italia? Il modello di business basato sulla pubblicità sarà all'altezza?

Sono veritiere le lamentele di alcuni utenti che hanno già ravvisato un aumento spropositato di jingle?

E ultima domanda, ma certamente non meno importante: il fatto che la Fimi sia sostenitrice della dottrina Sarkozy e della legge Hadopi non rende il suo approccio al P2P illegale un po' intransigente (e quindi rigido)?

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