Un'analisi approfondita condotta su oltre 150 studi clinici randomizzati rivela come gli antidepressivi possano generare effetti collaterali fisici profondamente diversi tra loro, dalle oscillazioni di peso ai cambiamenti della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca. La ricerca, coordinata da Toby Pillinger del King's College di Londra, solleva interrogativi importanti sulla necessità di personalizzare maggiormente le prescrizioni di questi farmaci, particolarmente diffusi nei paesi occidentali. Il team scientifico ha esaminato dati relativi a 30 diversi antidepressivi, confrontandone gli effetti con quelli di placebo in trattamenti di circa otto settimane.
I risultati dello studio mostrano variazioni sorprendenti tra le diverse molecole. La maprotilina, ad esempio, è stata associata a un aumento medio di peso di circa 1,8 chilogrammi, mentre l'agomelatina ha prodotto l'effetto opposto, con una perdita media di 2,4 chili. Ancora più marcate le differenze sull'apparato cardiovascolare: la fluvoxamina ha rallentato il battito cardiaco di 8 battiti al minuto in media, mentre la nortriptilina lo ha accelerato di ben 13 battiti al minuto.
Sul fronte della pressione arteriosa, le variazioni documentate hanno implicazioni cliniche rilevanti. La nortriptilina ha ridotto la pressione sistolica tra 3 e 7 millimetri di mercurio, mentre la doxepina l'ha aumentata di quasi 5 mmHg. Come sottolinea Oliver Howes, collega di Pillinger al King's College, ogni millimetro di mercurio di aumento della pressione in pazienti ipertesi incrementa del 1% il rischio di ictus. Altri farmaci, tra cui paroxetina, duloxetina e venlafaxina, sono stati associati a incrementi dei livelli di colesterolo nel sangue.
La questione assume particolare rilevanza considerando la diffusione massiccia di questi farmaci: circa una persona su dieci in Europa e Stati Uniti assume antidepressivi per condizioni come depressione e ansia. Solo in Inghilterra, lo scorso anno sono state prescritte oltre 92 milioni di dosi, con l'85% concentrate su sei molecole principali: sertralina, mirtazapina, fluoxetina, amitriptilina, citalopram e venlafaxina. Quattro di queste hanno mostrato un profilo relativamente favorevole, ma l'amitriptilina è risultata associata ad aumenti di peso, frequenza cardiaca e pressione, mentre la venlafaxina ha fatto registrare incrementi su tutti e tre i parametri oltre che sul colesterolo.
Il punto di forza della ricerca, secondo Pillinger, risiede nella metodologia: essendo tutti gli studi controllati con placebo e randomizzati, le differenze riscontrate possono essere attribuite con ragionevole certezza ai farmaci specifici. Tuttavia, lo studio ha anche confutato alcune preoccupazioni precedenti: nonostante ricerche osservazionali avessero sollevato dubbi su possibili alterazioni degli elettroliti come il sodio, con potenziali ripercussioni sul ritmo cardiaco, questa analisi non ha riscontrato problematiche significative.
Mahyar Etminan, epidemiologo presso la società di consulenza Epilytics di Vancouver, giudica questi dati particolarmente preziosi per medici e pazienti. Lo studioso immagina applicazioni pratiche immediate, come un'app che suggerisca al clinico quale antidepressivo evitare in base alle condizioni del paziente, ad esempio in presenza di colesterolo alto o problemi cardiovascolari. Il team di Pillinger sta già sviluppando uno strumento digitale con un menu a tendina degli effetti collaterali più comuni di ciascun antidepressivo, per guidare i medici verso una prescrizione più personalizzata e, in alcuni casi, per sfruttare certi effetti come benefici, ad esempio quando una perdita di peso sarebbe vantaggiosa.
Non mancano però le voci critiche. John Ioannidis dell'Università di Stanford solleva dubbi metodologici, evidenziando che i risultati potrebbero essere distorti se fossero stati inclusi solo studi che riportavano effetti collaterali, tralasciando ricerche che non ne hanno trovati. Inoltre, Ioannidis sottolinea come la maggior parte delle persone assuma antidepressivi per periodi ben superiori alle otto settimane analizzate, talvolta per anni, rendendo necessari studi a lungo termine per valutare la rilevanza clinica reale di questi effetti.
Pillinger riconosce che esiste sempre un rischio di distorsione, ma si dichiara relativamente fiducioso che la sua équipe abbia raccolto la maggior parte dei dati disponibili. Il ricercatore ammette la necessità di analisi su studi a lungo termine, un progetto su cui il suo team sta già lavorando, e riconosce che circa il 75% dei partecipanti agli studi analizzati erano di origine caucasica. Tuttavia, ritiene che i pattern individuati emergeranno anche in ricerche a lungo termine e saranno probabilmente applicabili ad altri gruppi etnici. Studi precedenti suggeriscono infatti che alcuni antidepressivi, come la venlafaxina, sono associati ad aumenti pressori persistenti nel tempo, e l'aumento di peso rapido tende a mantenersi.
Oliver Howes tiene però a precisare un messaggio fondamentale per i pazienti: chi assume antidepressivi e teme gli effetti collaterali non deve interrompere autonomamente il trattamento, poiché questi farmaci possono essere molto efficaci. La decisione deve essere individuale, ponderando il profilo di rischio personale e i benefici terapeutici, e qualsiasi preoccupazione va discussa con il proprio medico. Si tratta di una questione delicata che richiede un approccio personalizzato, riflettendo l'unicità di ogni paziente e della sua condizione clinica.