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La dieta keto mantiene giovane il cervello

Ricercatori studiano la dieta chetogenica come possibile protezione dall'Alzheimer in soggetti con predisposizione genetica APOE4, con risultati positivi.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor

Pubblicato il 22/10/2025 alle 08:35

La notizia in un minuto

  • La dieta chetogenica potrebbe proteggere dal declino cognitivo chi possiede il gene APOE4, producendo chetoni come fonte energetica alternativa al glucosio per il cervello
  • Lo studio rivela differenze sorprendenti legate al sesso biologico: le femmine con APOE4 mostrano un microbioma intestinale più sano e maggiore energia cerebrale, mentre i maschi non manifestano gli stessi benefici
  • La ricerca evidenzia l'importanza della nutrizione di precisione personalizzata e degli interventi preventivi precoci, da implementare molto prima dei 65 anni quando i sintomi dell'Alzheimer diventano irreversibili
Riassunto generato con l'IA. Potrebbe non essere accurato.

La salute del cervello potrebbe dipendere molto più di quanto immaginiamo dalle scelte alimentari quotidiane. Nell'ambito delle neuroscienze, un filone di ricerca particolarmente promettente sta esplorando come un regime alimentare ricco di grassi e povero di carboidrati possa rappresentare una forma di protezione contro il declino cognitivo, specialmente per chi presenta una predisposizione genetica all'Alzheimer. Si tratta della dieta chetogenica, un approccio nutrizionale che privilegia alimenti come pesce, carne, verdure non amidacee, bacche, frutta secca, uova e latticini ad alto contenuto di grassi.

Il punto cruciale riguarda il modo in cui il cervello ottiene l'energia necessaria al suo funzionamento. Normalmente, l'organo converte il glucosio derivante dai carboidrati in carburante cellulare. Tuttavia, le persone portatrici del gene APOE4, considerato il fattore di rischio genetico più significativo per lo sviluppo dell'Alzheimer a esordio tardivo, mostrano difficoltà in questo processo metabolico. Come spiega Kira Ivanich, dottoranda alla University of Missouri, questa inefficienza è particolarmente marcata nelle donne e può portare a un progressivo deterioramento cognitivo nel tempo.

La soluzione potrebbe risiedere in un cambio di combustibile: la dieta chetogenica induce l'organismo a produrre chetoni, molecole che fungono da fonte energetica alternativa per il cervello. Questo meccanismo potrebbe preservare la salute delle cellule cerebrali e ridurre la probabilità di sviluppare patologie neurodegenerative. L'aspetto innovativo della ricerca condotta presso l'università del Missouri risiede nella dimostrazione che questo beneficio non è uniforme per tutti.

Lo studio, realizzato utilizzando modelli murini, ha evidenziato differenze sorprendenti legate al sesso biologico. Le femmine portatrici del gene APOE4 che seguivano un regime chetogenico hanno sviluppato un microbioma intestinale più sano e mostrato livelli energetici cerebrali superiori rispetto a quelle alimentate con una dieta ricca di carboidrati. Al contrario, i maschi non hanno manifestato gli stessi miglioramenti, suggerendo che il genere potrebbe essere un fattore determinante nell'efficacia di questo approccio nutrizionale.

Il momento per preservare la salute cerebrale è molto prima dei 65 anni

Questi risultati aprono la strada a quello che viene definito "nutrizione di precisione", un paradigma che personalizza le strategie alimentari in base alle caratteristiche biologiche individuali. Ai-Ling Lin, professoressa presso la School of Medicine che guida la ricerca insieme alla sua dottoranda, sottolinea come sia necessario superare l'idea che una soluzione unica possa funzionare per tutti. L'età, il sesso, il patrimonio genetico e la composizione del microbioma intestinale sono tutti elementi che dovrebbero essere presi in considerazione nella definizione di un piano nutrizionale ottimale.

La tempistica degli interventi rappresenta un altro aspetto fondamentale. Poiché i sintomi dell'Alzheimer, generalmente irreversibili una volta manifestatisi, compaiono tipicamente dopo i 65 anni, le strategie preventive dovrebbero essere implementate molto prima. La professoressa Lin evidenzia come la loro ricerca possa offrire speranza a molte persone attraverso interventi precoci, quando il cervello è ancora in grado di beneficiare pienamente dei cambiamenti metabolici indotti dalla dieta.

L'infrastruttura tecnologica gioca un ruolo decisivo nell'avanzamento di queste ricerche. Il Roy Blunt NextGen Precision Health building, dove Lin e Ivanich conducono i loro esperimenti, ospita attrezzature di imaging all'avanguardia e integra spazi dedicati sia alla ricerca preclinica che agli studi clinici. Questa concentrazione di risorse consente all'università di accelerare il passaggio dalle sperimentazioni su modelli animali agli studi sull'essere umano, un processo che altrove richiederebbe il coinvolgimento di strutture esterne.

Per Ivanich, la motivazione alla base del suo lavoro affonda radici personali. Quando sua nonna ha sviluppato l'Alzheimer, si è acceso in lei l'interesse per questo campo di studi. La possibilità di contribuire concretamente alla preservazione della salute cerebrale delle persone rappresenta per lei una profonda gratificazione professionale. La scelta di condurre il dottorato in un'università che coniuga eccellenza nella ricerca e dimensione comunitaria si è rivelata, secondo le sue parole, quella giusta.

L'approccio collaborativo caratterizza l'intero progetto. Lin sottolinea come il lavoro di squadra, definito "team science", permetta di ottenere risultati di impatto molto superiore rispetto a quanto potrebbero raggiungere singoli ricercatori operando isolatamente. L'ambiente favorevole alla collaborazione e le strutture avanzate disponibili presso l'università sono stati elementi determinanti nella decisione della professoressa di unirsi al team del Missouri.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Journal of Neurochemistry con il titolo "Ketogenic diet modulates gut microbiota-brain metabolite axis in a sex-and genotype-specific manner in APOE4 mice", rappresenta un tassello importante nella comprensione dei meccanismi attraverso cui alimentazione, genetica e salute cerebrale si intersecano. La ricerca conferma che l'asse intestino-cervello, mediato dal microbioma, costituisce un bersaglio terapeutico promettente per interventi nutrizionali mirati alla prevenzione del declino cognitivo.

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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