Il confine tra le diverse condizioni psichiatriche potrebbe essere molto più sfumato di quanto i manuali diagnostici abbiano finora suggerito. Un'analisi genetica senza precedenti, condotta su oltre un milione di persone con diagnosi di disturbi mentali e neurodivergenze, ha rivelato che quattordici condizioni comunemente considerate distinte condividono in realtà una base genetica comune, raggruppandosi in soli cinque cluster genetici fondamentali. La scoperta, che rappresenta il più ampio studio mai realizzato in questo campo, potrebbe costringere la comunità scientifica a ripensare radicalmente l'approccio diagnostico alla salute mentale.
Quando i biologi hanno iniziato a identificare le varianti genetiche associate a un maggior rischio di sviluppare disturbi psichiatrici, si aspettavano di trovare profili genetici distinti per ciascuna condizione. Invece, è emerso progressivamente un quadro caratterizzato da sovrapposizioni estese e inaspettate. Alcuni ricercatori hanno persino ipotizzato l'esistenza di un unico fattore causale alla base di tutte le condizioni psichiatriche, denominato "p-factor". La nuova ricerca, condotta dal team di Andrew Grotzinger dell'Università del Colorado Boulder, suggerisce che la verità si collochi in una posizione intermedia tra questi due estremi.
L'analisi ha rivelato una sovrapposizione particolarmente elevata tra schizofrenia e disturbo bipolare, da un lato, e tra depressione maggiore, disturbo post-traumatico da stress e disturbi d'ansia, dall'altro. Le varianti genetiche legate a schizofrenia e bipolarismo si concentrano prevalentemente in geni attivi nei neuroni eccitatori, quelli che aumentano la probabilità che altri neuroni si attivino. Al contrario, le varianti associate a depressione, PTSD e ansia interessano principalmente geni espressi negli oligodendrociti, le cellule responsabili della produzione delle guaine mieliniche che avvolgono i nervi.
Gli altri tre gruppi identificati dal team comprendono: ADHD e autismo; disturbo ossessivo-compulsivo, anoressia nervosa e sindrome di Tourette; infine, disturbi da uso di sostanze e dipendenza da nicotina. Relativamente poche varianti genetiche risultano associate esclusivamente a una singola condizione, mentre la maggior parte tende a distribuirsi attraverso questi raggruppamenti. Alcune varianti sono risultate collegate a tutte e quattordici le condizioni esaminate, ma secondo Grotzinger queste sono coinvolte in processi biologici fondamentali che, quando alterati, causano una vasta gamma di problemi ben oltre le malattie mentali, senza fornire quindi sostegno significativo all'ipotesi del p-factor.
I risultati potrebbero spiegare un dato clinico finora poco compreso: due terzi delle persone che ricevono una diagnosi psichiatrica nel corso della vita ne ricevono più di una. "Per i milioni di persone che vengono diagnosticate con multiple condizioni psichiatriche, questo studio indica che non hanno necessariamente disturbi multipli e distinti in corso", afferma Grotzinger. Le persone possono sentirsi sbagliate in molti modi, ma potrebbe esserci invece una sola causa alla radice. Questa prospettiva rappresenta un cambiamento significativo per i pazienti, che spesso sperimentano stigma e confusione di fronte a diagnosi multiple.
La scoperta solleva interrogativi profondi sulla validità degli attuali criteri diagnostici utilizzati in psichiatria. Grotzinger propone un'analogia illuminante: se un paziente si presenta dal medico con naso che cola, tosse e mal di gola, non vorrebbe ricevere tre diagnosi separate, ma piuttosto una singola diagnosi di raffreddore. "Stiamo dando etichette separate a cose che biologicamente non sono molto separabili", osserva il ricercatore, pur riconoscendo che molti clinici potrebbero obiettare che, nonostante le minime differenze genetiche, queste condizioni richiedono trattamenti differenziati.
Avshalom Caspi della Duke University in North Carolina definisce lo studio "impressionante", sottolineando come molti disturbi mentali non siano entità separate ma condividano percorsi comuni che influenzano lo sviluppo neurologico, la cognizione e le emozioni. Terrie Moffitt, anch'essa alla Duke, va oltre, affermando che i ricercatori non dovrebbero più studiare le condizioni in isolamento e che gli enti finanziatori dovrebbero essere più cauti nel concedere fondi a ricerche focalizzate su un singolo disturbo, per evitare sprechi di risorse. Tuttavia, Moffitt critica anche il fatto che lo studio si basi su dati raccolti con metodologie ormai superate, suggerendo la necessità di studi longitudinali più estesi per ottenere dati più accurati per le analisi genetiche.
Lo studio presenta alcune limitazioni significative che gli stessi autori riconoscono. In primo luogo, l'analisi si è concentrata prevalentemente su persone di origine europea, poiché dati sufficienti da altri gruppi etnici non erano disponibili. Questa lacuna rappresenta un problema importante per la generalizzabilità dei risultati. Inoltre, Grotzinger avverte che le conoscenze attuali sugli effetti specifici di queste varianti genetiche sono ancora troppo limitate per applicazioni pratiche, come lo screening embrionale durante procedure di fecondazione in vitro, questione che solleverebbe anche complessi dilemmi etici. "Stiamo cominciando ad arrivare lì, ma non sappiamo esattamente cosa facciano questi geni", ammette il ricercatore.
La ricerca apre prospettive inedite per il futuro della psichiatria, suggerendo che potrebbe non esistere un'unica diagnosi "corretta" per ogni persona. Grotzinger osserva come i clinici tendano a trattare i manuali diagnostici "come testi religiosi", cercando una singola etichetta definitiva per ogni paziente. Il grado di sovrapposizione genetica emerso dallo studio indica invece che questa ricerca della diagnosi perfetta potrebbe essere fuorviante.