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Ecco come il kimchi rafforza il sistema immunitario

Uno studio sudcoreano svela attraverso il sequenziamento genetico su singola cellula come il kimchi modula il sistema immunitario a livello molecolare.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 18/12/2025 alle 08:20

La notizia in un minuto

  • Un nuovo studio sudcoreano utilizza sequenziamento genetico su singola cellula per mappare gli effetti del kimchi sul sistema immunitario, rivelando che agisce come un modulatore di precisione che bilancia protezione e controllo delle difese
  • La ricerca dimostra che il kimchi fermentato con colture starter potenzia le cellule presentanti l'antigene e i linfociti T CD4+, producendo effetti immunomodulatori più marcati rispetto alla fermentazione spontanea
  • I risultati potrebbero portare allo sviluppo di alimenti funzionali standardizzati per ottimizzare la risposta vaccinale e prevenire patologie autoimmuni e allergiche

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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Nella ricerca sui probiotici e sugli alimenti funzionali, un nuovo studio condotto dall'istituto governativo sudcoreano World Institute of Kimchi introduce un approccio innovativo per comprendere come i cibi fermentati interagiscano con il sistema immunitario umano. Utilizzando tecnologie di sequenziamento genetico su singola cellula, i ricercatori hanno mappato per la prima volta gli effetti immunomodulatori del kimchi a livello molecolare, rivelando un meccanismo d'azione più sofisticato di quanto ipotizzato finora. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica npj Science of Food (impact factor 7.8), rappresenta un significativo avanzamento metodologico nello studio degli alimenti fermentati e delle loro applicazioni cliniche, particolarmente rilevante in un periodo di crescente attenzione verso il rafforzamento delle difese respiratorie stagionali.

Il trial clinico, durato dodici settimane, ha coinvolto trentanove adulti in sovrappeso suddivisi in tre gruppi di tredici partecipanti ciascuno. Un gruppo ha ricevuto un placebo, mentre gli altri due hanno assunto quotidianamente polvere di kimchi ottenuta attraverso due differenti processi: fermentazione naturale spontanea e fermentazione guidata con colture starter selezionate. Al termine dell'intervento, il team guidato dal dottor Woo Jae Lee ha isolato le cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) dei partecipanti, sottoponendole ad analisi trascrittomica su singola cellula (scRNA-seq), una tecnica avanzata che permette di monitorare l'attività genica individuale di migliaia di cellule immunitarie simultaneamente, identificando variazioni funzionali altrimenti invisibili ai metodi diagnostici convenzionali.

I risultati hanno evidenziato modifiche precise nel comportamento di specifiche popolazioni cellulari del sistema immunitario. Le cellule presentanti l'antigene (APC), fondamentali per il riconoscimento di patogeni batterici e virali, hanno mostrato un'attività potenziata nei soggetti che avevano consumato kimchi. Parallelamente, i linfociti T CD4+ hanno sviluppato una differenziazione bilanciata verso sottotipi sia protettivi che regolatori, suggerendo una risposta immunitaria calibrata piuttosto che semplicemente amplificata. Questo equilibrio rappresenta un aspetto cruciale: mentre molti interventi nutrizionali si limitano a stimolare genericamente le difese, il kimchi sembrerebbe funzionare come un modulatore di precisione, rafforzando le capacità difensive quando necessario e contemporaneamente prevenendo reazioni immunitarie eccessive o inappropriate che potrebbero causare infiammazione cronica.

Il kimchi non si limita ad attivare le difese immunitarie, ma agisce come un regolatore di precisione che bilancia protezione e controllo

Un aspetto particolarmente interessante emerso dallo studio riguarda l'influenza del metodo di fermentazione sui benefici immunologici. Sebbene entrambe le tipologie di kimchi abbiano dimostrato proprietà immunomodulatorie, la versione fermentata con colture starter ha prodotto effetti più marcati: il riconoscimento antigenico è risultato più efficiente e la riduzione della segnalazione immunitaria superflua più pronunciata. Secondo i ricercatori del World Institute of Kimchi, ente di ricerca governativo operante sotto il Ministero della Scienza e delle Tecnologie dell'Informazione della Corea del Sud, questa scoperta apre prospettive concrete per lo sviluppo di tecnologie di fermentazione controllata finalizzate a ottimizzare specifiche proprietà funzionali degli alimenti tradizionali, trasformandoli in veri e propri strumenti terapeutici standardizzati.

La ricerca si inserisce nel filone emergente degli studi sui microbiomi e sui loro metaboliti bioattivi, che stanno rivoluzionando la comprensione del rapporto tra alimentazione e salute immunitaria. I batteri lattici presenti nel kimchi, prevalentemente appartenenti ai generi Lactobacillus e Leuconostoc, producono durante la fermentazione una complessa gamma di composti bioattivi tra cui acidi organici, batteriocine, esopolisaccaridi e vitamine del gruppo B, che potrebbero agire sinergicamente sulle cellule immunitarie attraverso meccanismi ancora da chiarire completamente. La metodologia basata sull'analisi trascrittomica su singola cellula rappresenta uno strumento potente per decifrare queste interazioni molecolari, permettendo di distinguere tra effetti diretti dei metaboliti microbici e risposte adattative del sistema immunitario.

Le implicazioni pratiche dello studio si estendono potenzialmente oltre la semplice promozione del consumo di kimchi. Come sottolineato dal dottor Lee, i risultati potrebbero supportare lo sviluppo di alimenti funzionali standardizzati, l'ottimizzazione della risposta vaccinale e la prevenzione di patologie legate a disfunzioni immunitarie, dall'autoimmunità alle allergie croniche. Tuttavia, è importante contestualizzare questi risultati: lo studio ha coinvolto un campione relativamente limitato di partecipanti con sovrappeso, e sarà necessaria la replicazione su popolazioni più ampie e diversificate per confermare la generalizzabilità dei benefici. Inoltre, la durata di dodici settimane, pur significativa per un trial nutrizionale, non permette di valutare effetti a lungo termine o la persistenza dei cambiamenti immunitari dopo la sospensione dell'intervento.

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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