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Il segreto delle sinapsi rivelato da un lampo elettrico

Un impulso elettrico e un congelamento istantaneo rivelano come le sinapsi comunicano, aprendo nuovi scenari nello studio del Parkinson.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 02/12/2025 alle 08:35

La notizia in un minuto

  • Una tecnica innovativa chiamata "zap-and-freeze" permette di congelare eventi sinaptici che avvengono in millisecondi, rendendo osservabili per la prima volta processi cruciali nella comunicazione tra neuroni nel tessuto cerebrale vivente
  • La metodologia ha rivelato che i meccanismi di riciclo delle vescicole sinaptiche sono identici tra topi ed esseri umani, confermando la validità dei modelli animali per studiare le malattie neurodegenerative
  • L'applicazione futura su pazienti con morbo di Parkinson potrebbe chiarire le cause biologiche delle forme non ereditarie della malattia, aprendo la strada a terapie mirate contro le disfunzioni sinaptiche

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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La comunicazione tra neuroni avviene in frazioni di secondo attraverso strutture microscopiche chiamate sinapsi, giunzioni così piccole e rapide da rendere estremamente complessa la loro osservazione diretta. Un gruppo di ricerca della Johns Hopkins Medicine ha ora messo a punto una tecnica innovativa che permette di "congelare" questi eventi ultraveloci nel tessuto cerebrale vivente, aprendo nuove possibilità per comprendere le basi biologiche del morbo di Parkinson nelle sue forme non ereditarie. Il metodo, denominato "zap-and-freeze" e validato sia su topi che su tessuto cerebrale umano, potrebbe rivoluzionare lo studio delle malattie neurodegenerative che originano da disfunzioni sinaptiche.

La tecnica sviluppata dal team guidato da Shigeki Watanabe, professore associato di biologia cellulare alla Johns Hopkins Medicine, si basa su un principio apparentemente semplice ma tecnicamente sofisticato: uno stimolo elettrico brevissimo attiva il tessuto cerebrale, seguito immediatamente da un congelamento rapidissimo che preserva le strutture cellulari esattamente nella posizione in cui si trovavano durante l'attività. Le immagini vengono poi acquisite tramite microscopia elettronica, permettendo di visualizzare eventi che normalmente sfuggono all'osservazione. I risultati, pubblicati il 24 novembre sulla rivista scientifica Neuron con il supporto dei National Institutes of Health, rappresentano un'evoluzione significativa rispetto ai primi esperimenti condotti con questa metodologia nel 2020.

Nel cervello in condizioni fisiologiche, le vescicole sinaptiche funzionano come minuscoli contenitori che trasportano messaggeri chimici da un neurone all'altro. Questo scambio è fondamentale per l'apprendimento, la formazione della memoria e l'elaborazione delle informazioni. Durante la trasmissione sinaptica, le vescicole si fondono con la membrana cellulare rilasciando neurotrasmettitori, poi vengono recuperate e riciclate attraverso un processo chiamato endocitosi. La velocità con cui questi eventi si susseguono – nell'ordine dei millisecondi – ha reso finora difficoltoso studiarli nei dettagli, soprattutto nel tessuto vivente.

Per validare l'efficacia del metodo zap-and-freeze, i ricercatori hanno prima condotto esperimenti su topi geneticamente modificati, documentando il ruolo di una proteina chiamata intersectina nel mantenere le vescicole sinaptiche in posizioni specifiche fino al momento del rilascio. Successivamente, in collaborazione con Jens Eilers e Kristina Lippmann dell'Università di Lipsia in Germania, hanno confermato l'affidabilità della tecnica osservando la segnalazione del calcio, l'elemento scatenante che induce i neuroni a rilasciare neurotrasmettitori.

La proteina Dynamin1xA, essenziale per il riciclo ultrarapido delle membrane sinaptiche, è stata identificata nelle stesse posizioni sia nei topi che negli esseri umani

Il passo successivo ha rappresentato una sfida ancora più ambiziosa: applicare la metodologia a campioni di tessuto cerebrale umano vivente. Il team ha analizzato tessuto corticale ottenuto, previo consenso, da sei pazienti sottoposti a interventi chirurgici per epilessia presso il Johns Hopkins Hospital, procedure necessarie per rimuovere lesioni ippocampali. Gli esperimenti hanno rivelato che i meccanismi di riciclo delle vescicole osservati nei neuroni umani sono identici a quelli documentati nei topi, confermando che i modelli murini rappresentano un riferimento valido per lo studio della biologia cerebrale umana.

La scoperta assume particolare rilevanza per la comprensione del morbo di Parkinson, specialmente nelle sue forme sporadiche che, secondo la Parkinson's Foundation, costituiscono la maggioranza delle diagnosi. A differenza delle varianti ereditarie, queste forme della malattia coinvolgono disruzioni nelle sinapsi, le cui cause biologiche sottostanti rimangono in gran parte sconosciute. Watanabe sottolinea che comprendere le somiglianze e le differenze tra forme ereditarie e non ereditarie della condizione potrebbe guidare lo sviluppo di terapie mirate per questo disturbo neurodegenerativo.

L'identificazione della proteina Dynamin1xA nei siti di endocitosi rappresenta un elemento chiave dello studio. Questa molecola, necessaria per il riciclo ultrarapido delle membrane sinaptiche, è risultata presente in entrambe le specie, suggerendo che i meccanismi molecolari di base sono conservati evolutivamente. Tale conservazione rafforza la validità scientifica dell'utilizzo di modelli animali per indagare processi patologici umani e identifica potenziali bersagli terapeutici da esplorare nelle malattie che compromettono la funzionalità sinaptica.

Le prospettive future della ricerca prevedono l'applicazione del metodo zap-and-freeze a campioni di tessuto cerebrale prelevati, con consenso informato, da individui affetti da morbo di Parkinson durante procedure di stimolazione cerebrale profonda. L'obiettivo è osservare direttamente come la dinamica delle vescicole sinaptiche differisca nei neuroni colpiti dalla malattia rispetto a quelli sani, fornendo informazioni preziose sui meccanismi patologici alla base della neurodegenerazione. Lo studio ha ricevuto finanziamenti dai National Institutes of Health, dall'Howard Hughes Medical Institute, dalla Chan Zuckerberg Initiative e da numerose altre istituzioni scientifiche, con un team internazionale che ha coinvolto ricercatori della Johns Hopkins Medicine e dell'Università di Lipsia.

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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