L'innovazione biotecnologica ha fatto un passo significativo verso la medicina personalizzata attraverso la manipolazione diretta del microbioma intestinale. Dei ricercatori dell'Università di Stanford sono riusciti a modificare geneticamente batteri già presenti nell'intestino umano per trasformarli in veri e propri "farmaci viventi", capaci di prevenire la formazione dei calcoli renali. Questo approccio rivoluzionario potrebbe aprire la strada a nuove terapie per una vasta gamma di patologie, dalle malattie infiammatorie intestinali fino al cancro del colon.
La sfida della colonizzazione batterica
Il problema principale degli approcci precedenti risiedeva nella difficoltà dei batteri introdotti dall'esterno di stabilirsi permanentemente nell'intestino crasso. I probiotici tradizionali e i ceppi batterici modificati geneticamente faticavano a competere con i microorganismi già residenti, risultando spesso inefficaci nel lungo termine. Weston Whitaker e il suo team hanno quindi optato per una strategia completamente diversa: invece di introdurre nuovi batteri, hanno modificato il Phocaeicola vulgatus, un batterio già abbondantemente presente nella flora intestinale della maggior parte delle persone.
L'approccio si è rivelato particolarmente ingegnoso. I ricercatori hanno apportato tre modifiche genetiche strategiche al batterio: la prima gli ha conferito la capacità di scomporre gli ossalati presenti negli alimenti, composti che contribuiscono alla formazione dei calcoli renali. La seconda modifica ha permesso al microorganismo di digerire il porfiran, un carboidrato presente nelle alghe rosse che la maggior parte degli altri batteri intestinali non riesce a utilizzare.
Un sistema di controllo biologico integrato
La terza e più sofisticata modifica ha reso un gene essenziale per la sopravvivenza del batterio dipendente dalla presenza di porfiran. Questo ha permesso ai ricercatori di creare un vero e proprio sistema di controllo biologico: aggiungendo questo carboidrato alla dieta si favorisce la crescita del batterio modificato, mentre limitandone l'assunzione se ne può controllare o eliminare la presenza.
I risultati sperimentali hanno dimostrato l'efficacia dell'approccio sia negli animali che nell'uomo. Nei test condotti su 12 ratti alimentati con una dieta ricca di ossalati, quelli trattati con i batteri modificati hanno mostrato una riduzione del 47% dei livelli di ossalati nelle urine rispetto al gruppo di controllo. Il successo è stato confermato anche nella sperimentazione umana, condotta su nove persone affette da iperossaluria enterica, una condizione che causa calcoli renali ricorrenti.
Prime evidenze cliniche promettenti
Durante il trial clinico, i partecipanti hanno assunto quotidianamente 10 grammi di porfiran per 28 giorni. I risultati hanno evidenziato una riduzione media del 27% dei livelli urinari di ossalati rispetto a un gruppo di controllo non trattato. Sebbene la differenza non sia risultata statisticamente significativa a causa del campione limitato, Whitaker sottolinea che precedenti studi clinici suggeriscono come una riduzione del 20% degli ossalati sia sufficiente per alleviare i sintomi.
Gli effetti collaterali registrati sono stati prevalentemente di natura gastrointestinale e di entità lieve, includendo dolori addominali e diarrea. Tuttavia, è emersa una questione più complessa: l'analisi genetica ha rivelato che otto settimane dopo la sospensione del trattamento, solo quattro partecipanti conservavano ancora batteri capaci di digerire il porfiran.
Il trasferimento genetico orizzontale: sfida e opportunità
L’osservazione suggerisce che i batteri modificati hanno scambiato geni con i microbi già presenti nell’intestino, un processo chiamato trasferimento genetico orizzontale. Anche se questo non rappresenta un pericolo immediato per la salute, sarà importante monitorarlo con attenzione nelle fasi future della ricerca.
Christoph Thaiss, dell’Università di Stanford ma non coinvolto direttamente nello studio, definisce questo approccio “una vera svolta”. Lo studio dimostra infatti che è possibile creare batteri intestinali con effetti terapeutici mirati e farli stabilire in modo efficace nell’intestino, aprendo nuove possibilità per il trattamento di molte malattie.
Verso una nuova era della medicina microbiomica
Gli effetti di questa ricerca vanno ben oltre il trattamento dei calcoli renali. Come spiega Whitaker, il microbioma intestinale è legato a molte malattie, tra cui diabete, problemi al cuore e tumori. Tuttavia, non è ancora chiaro quali parti della flora batterica abbiano un ruolo diretto nel causare o prevenire queste patologie.
Capire meglio questi legami complessi è la sfida principale per poter usare davvero il microbioma come strumento di cura. L’obiettivo è riuscire a trasformarlo in una terapia su misura, capace di adattarsi alle necessità di ogni singolo paziente e di offrire trattamenti precisi e personalizzati per molte malattie diverse.