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Nuova cura rallenta il cancro alla prostata

Un nuovo farmaco combinato con la terapia standard ritarda la progressione del cancro alla prostata in pazienti con mutazioni BRCA.

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Avatar di Antonello Buzzi

a cura di Antonello Buzzi

Senior Editor @Tom's Hardware Italia

Pubblicato il 22/10/2025 alle 08:15

La notizia in un minuto

  • Lo studio AMPLITUDE dimostra che niraparib combinato con terapia standard riduce del 37% il rischio di progressione del tumore prostatico metastatico in pazienti con mutazioni nei geni di riparazione del DNA, percentuale che sale al 48% per portatori di mutazioni BRCA1 o BRCA2
  • I pazienti trattati con la terapia combinata hanno impiegato il doppio del tempo prima di manifestare peggioramento sintomatico significativo, con solo il 16% che ha mostrato progressione grave contro il 34% del gruppo placebo
  • Il trattamento presenta effetti collaterali significativi come anemia e ipertensione, con il 25% dei pazienti che ha richiesto trasfusioni, rendendo necessaria un'attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio tramite test genomici alla diagnosi

Riassunto generato con l’IA. Potrebbe non essere accurato.

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Una ricerca internazionale ha dimostrato che pazienti affetti da forme aggressive di tumore alla prostata con particolari alterazioni genetiche potrebbero rallentare considerevolmente la progressione della malattia attraverso una terapia combinata. Lo studio clinico AMPLITUDE di fase III, coordinato da un gruppo di ricercatori dell'University College London e pubblicato su Nature Medicine, ha esaminato l'efficacia dell'aggiunta di niraparib al trattamento standard attualmente in uso. I risultati aprono nuove prospettive per circa un quarto degli uomini con carcinoma prostatico avanzato che presenta mutazioni specifiche nei geni coinvolti nella riparazione del DNA.

Il focus della ricerca si è concentrato su una vulnerabilità molecolare precisa: i pazienti coinvolti presentavano tutti mutazioni nei geni responsabili della riparazione ricombinante omologa, un meccanismo fondamentale che permette alle cellule di riparare i danni al proprio materiale genetico. Quando questo sistema difensivo non funziona correttamente, le cellule tumorali possono moltiplicarsi e diffondersi con maggiore velocità. Tra i geni interessati figurano BRCA1, BRCA2, CHEK2 e PALB2, gli stessi che in ambito oncologico sono già noti per il loro ruolo in altri tipi di tumori, come quello al seno e all'ovaio.

Il trial ha coinvolto 696 uomini provenienti da 32 paesi diversi, con un'età mediana di 68 anni, tutti con tumore prostatico metastatico che stavano per iniziare il primo trattamento. La metà dei partecipanti ha ricevuto la combinazione di niraparib e abiraterone acetato con prednisone, mentre l'altra metà ha assunto solo la terapia standard con placebo. Lo studio è stato condotto con metodologia doppio cieco, garantendo che né i pazienti né i medici sapessero chi ricevesse il farmaco attivo.

I risultati emersi dopo un periodo mediano di osservazione di circa due anni e mezzo hanno evidenziato vantaggi clinici rilevanti. La terapia combinata ha ridotto del 37% il rischio complessivo di progressione della malattia, percentuale che sale al 48% nei pazienti portatori di mutazioni nei geni BRCA1 o BRCA2, che rappresentavano oltre la metà dei partecipanti allo studio. Un dato particolarmente significativo riguarda il tempo di peggioramento dei sintomi: i pazienti trattati con niraparib hanno impiegato il doppio del tempo prima di manifestare un deterioramento clinico significativo.

Solo il 16% dei pazienti con niraparib ha mostrato progressione sintomatica grave, contro il 34% del gruppo placebo

Il professor Gerhardt Attard dell'UCL Cancer Institute, che ha guidato lo studio, ha sottolineato l'importanza di questi risultati per una popolazione specifica di pazienti. Secondo il ricercatore, sebbene i trattamenti standard siano efficaci per la maggioranza degli uomini con carcinoma prostatico avanzato, esiste un gruppo significativo di pazienti con alterazioni nei geni HRR che beneficia in misura limitata delle terapie convenzionali e sperimenta recidive rapide con decorso aggressivo. La possibilità di ritardare la riprogressione del tumore attraverso niraparib potrebbe tradursi in un prolungamento significativo dell'aspettativa di vita.

Attard ha inoltre evidenziato come questi risultati supportino l'adozione diffusa di test genomici al momento della diagnosi, permettendo di identificare i pazienti che potrebbero trarre il massimo beneficio da trattamenti mirati. Per i tumori con mutazioni nei geni HRR eleggibili, dove niraparib è stato approvato, i medici dovrebbero valutare attentamente il rapporto tra rischi degli effetti collaterali e benefici chiari nel ritardare la crescita tumorale e il peggioramento sintomatico.

La questione degli effetti collaterali rappresenta un aspetto da considerare attentamente nella valutazione complessiva del trattamento. Il gruppo trattato con niraparib ha registrato una maggiore incidenza di anemia e ipertensione arteriosa, con il 25% dei pazienti che ha necessitato di trasfusioni di sangue. Si sono verificati anche più decessi correlati al trattamento nel gruppo niraparib rispetto al placebo, 14 contro 7, sebbene i tassi complessivi di interruzione della terapia siano rimasti contenuti. Nonostante queste criticità, il farmaco è stato generalmente tollerato dalla maggior parte dei partecipanti.

Il contesto epidemiologico rende ancora più rilevante questa ricerca: a livello globale circa 1,5 milioni di uomini ricevono ogni anno una diagnosi di tumore alla prostata. Nel Regno Unito si tratta del cancro più diffuso tra la popolazione maschile, con oltre 56.000 nuove diagnosi annuali e circa 12.000 decessi. In Italia i numeri sono paragonabili, rendendo urgente l'individuazione di strategie terapeutiche più efficaci per le forme più aggressive della malattia.

Vale la pena notare che nel contesto britannico il niraparib è già approvato per alcune tipologie di tumori, ma non ancora per il carcinoma prostatico. Il National Institute for Clinical Excellence ha dichiarato di essere in attesa di ulteriori informazioni prima di poter formulare una decisione definitiva. Gli autori dello studio sottolineano la necessità di proseguire la ricerca per confermare i benefici a lungo termine sulla sopravvivenza e per valutare l'impatto delle tecniche di imaging più recenti e di test genetici più estesi. Il trial AMPLITUDE è stato finanziato da Janssen Research & Development, parte del gruppo Johnson & Johnson.

Fonte dell'articolo: www.sciencedaily.com

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