I fondali oceanici custodiscono un segreto geologico che ha profonde implicazioni per la comprensione del ciclo del carbonio terrestre su scale temporali di milioni di anni. Campioni di roccia vulcanica prelevati a migliaia di metri sotto la superficie dell'Oceano Atlantico meridionale hanno rivelato che accumuli di detriti lavici frantumati, noti come brecce vulcaniche, agiscono come enormi spugne naturali capaci di intrappolare quantità straordinarie di anidride carbonica. Questa scoperta, guidata dall'Università di Southampton nell'ambito della Spedizione 390/393 dell'International Ocean Discovery Program, offre una nuova chiave di lettura dei meccanismi geologici che regolano la presenza di CO₂ nell'atmosfera terrestre attraverso le ere geologiche.
Il materiale analizzato si è formato circa 60 milioni di anni fa e rappresenta il risultato dell'erosione delle montagne sottomarine che costellano le dorsali medio-oceaniche, quelle gigantesche catene vulcaniche sommerse dove le placche tettoniche si separano generando nuova crosta oceanica. Questi accumuli di frammenti lavici porosi, simili ai ghiaioni che si formano sui pendii delle montagne continentali, creano depositi permeabili attraverso i quali l'acqua marina può fluire per milioni di anni. Durante questo processo, avvengono complesse reazioni chimiche tra l'acqua di mare e le rocce vulcaniche in raffreddamento, che portano alla precipitazione di carbonato di calcio e altri minerali all'interno dei pori e delle fratture del materiale.
La dottoressa Rosalind Coggon, Royal Society Research Fellow presso l'Università di Southampton e autrice principale dello studio, ha sottolineato come da tempo fosse noto che l'erosione sui fianchi delle montagne sottomarine producesse grandi volumi di detriti vulcanici. Tuttavia, fino a questa campagna di perforazione scientifica, non erano mai stati recuperati campioni di questo materiale dopo che aveva trascorso decine di milioni di anni trasportato attraverso i fondali oceanici dal movimento delle placche tettoniche. L'analisi delle carote estratte ha rivelato che questi depositi porosi e permeabili possiedono una capacità di stoccaggio della CO₂ di gran lunga superiore a quanto precedentemente stimato.
Il ciclo del carbonio a lungo termine della Terra dipende da un delicato equilibrio tra i processi che aggiungono e quelli che rimuovono anidride carbonica dall'atmosfera e dagli oceani su scale temporali di milioni di anni. L'attività vulcanica delle dorsali medio-oceaniche rilascia continuamente CO₂ dall'interno del pianeta verso l'oceano e l'atmosfera durante la formazione di nuova crosta basaltica. Parallelamente, l'acqua marina che circola attraverso le fratture della lava in raffreddamento innesca reazioni chimiche che trasferiscono elementi tra oceano e roccia, sottraendo anidride carbonica dall'acqua e fissandola permanentemente in forma minerale all'interno delle strutture rocciose.
La quantificazione precisa di questi flussi di carbonio rappresenta un tassello fondamentale per comprendere come il sistema Terra abbia mantenuto condizioni climatiche relativamente stabili nel corso delle ere geologiche. I bacini oceanici non sono semplici contenitori passivi di acqua marina, ma sistemi dinamici in cui le interazioni tra litosfera, idrosfera e atmosfera giocano un ruolo cruciale nella regolazione della composizione chimica del pianeta. Le reazioni tra acqua di mare e basalti oceanici sono state studiate approfonditamente nelle lave compatte, ma il contributo dei depositi di breccia era rimasto sostanzialmente inesplorato fino a questa ricerca.
L'importanza scientifica della scoperta risiede nel riconoscimento che le brecce vulcaniche, formate dall'erosione delle montagne sottomarine lungo le dorsali medio-oceaniche, costituiscono riserve geologiche di carbonio con capacità di stoccaggio di molto superiori a quelle delle formazioni laviche massive. Questi accumuli detritici, caratterizzati da elevata porosità e permeabilità, offrono una superficie di reazione enormemente maggiore rispetto alle colate laviche compatte, facilitando l'interazione tra acqua marina e materiale vulcanico e accelerando i processi di mineralizzazione del carbonio.
La campagna di perforazione che ha permesso questa scoperta fa parte di un programma internazionale di ricerca oceanografica che coinvolge scienziati e istituzioni di tutto il mondo nello studio sistematico dei fondali marini. Le tecniche di perforazione in acque profonde consentono di recuperare campioni di roccia intatta da diverse centinaia di metri sotto il fondale oceanico, offrendo una finestra diretta sui processi geologici che hanno plasmato la crosta terrestre nel corso di decine di milioni di anni. L'analisi geochimica di questi materiali permette di ricostruire con precisione i flussi di elementi tra i diversi comparti del sistema Terra e di quantificare l'efficienza dei meccanismi naturali di sequestro del carbonio.