La formazione della Terra e la sua dotazione d'acqua, elemento cruciale per lo sviluppo della vita, potrebbero essere il risultato di un evento cosmico violento avvenuto miliardi di anni fa: l'esplosione di una stella vicina durante le fasi primordiali del nostro sistema solare. Questa scoperta, che riconfigura la nostra comprensione dei processi di formazione planetaria, suggerisce inoltre che pianeti simili al nostro potrebbero essere molto più comuni nella galassia di quanto gli scienziati abbiano finora ipotizzato. La ricerca, pubblicata sulla rivista Science Advances, offre una nuova spiegazione alla presenza degli elementi radioattivi che hanno plasmato il destino della Terra primordiale.
Le analisi condotte su campioni di meteoriti antichissimi hanno rivelato che il sistema solare primordiale era ricco di elementi radioattivi a vita breve, capaci di generare enormi quantità di calore durante il loro rapido decadimento. Questo calore ha svolto un ruolo determinante: ha fatto evaporare grandi quantità d'acqua dalle rocce spaziali e dalle comete che si stavano aggregando per formare i pianeti rocciosi, compresa la Terra. Senza questo processo di "asciugatura controllata", il nostro pianeta avrebbe potuto accumulare troppa acqua, sommerso da oceani tanto profondi da impedire l'emergere di terre emerse e, probabilmente, lo sviluppo della vita come la conosciamo.
Il problema scientifico che ha a lungo tormentato gli astrofisici riguarda l'origine di questi elementi radioattivi. Le supernove, esplosioni stellari tra i fenomeni più energetici dell'universo, producono naturalmente tali elementi attraverso i processi di nucleosintesi che avvengono durante il collasso catastrofico di stelle massicce. Tuttavia, le simulazioni precedenti si sono scontrate con un paradosso: una supernova sufficientemente vicina da "contaminare" il sistema solare nascente con gli elementi necessari sarebbe stata anche abbastanza potente da distruggere completamente il fragile disco protoplanetario, impedendo la formazione stessa dei pianeti. Inoltre, i rapporti tra i diversi elementi radioattivi inferiti dalle meteoriti non corrispondevano a quelli previsti dai modelli di esplosioni stellari ravvicinate.
Ryo Sawada dell'Università di Tokyo e il suo team di ricerca hanno risolto questo enigma proponendo un meccanismo a due fasi che coinvolge una supernova posizionata a una distanza maggiore rispetto agli scenari precedentemente ipotizzati. Nel loro modello, un'esplosione stellare avvenuta a circa 3 anni luce dal sistema solare in formazione avrebbe fornito gli ingredienti radioattivi necessari senza distruggere il delicato processo di aggregazione planetaria. Nella prima fase, elementi radioattivi come alluminio-26 e manganese-53 sarebbero stati prodotti direttamente nell'esplosione e trasportati verso il nostro sistema dalle onde d'urto generate dalla supernova.
La seconda fase rappresenta l'innovazione cruciale dello studio: i raggi cosmici ad alta energia emessi dalla stella esplosa, seguendo le onde d'urto ma propagandosi più lentamente, avrebbero investito il disco di gas, polvere e rocce del sistema solare primordiale. Questi raggi cosmici, colpendo gli atomi già presenti nel disco protoplanetario, avrebbero innescato reazioni nucleari producendo gli elementi radioattivi mancanti nel puzzle, come berillio-10 e calcio-41. Come spiega Sawada, i modelli precedenti si concentravano esclusivamente sull'iniezione di materia dalla supernova, trascurando l'effetto delle particelle ad alta energia.
Le implicazioni di questa ricerca vanno ben oltre la comprensione della storia del nostro sistema solare. Poiché il meccanismo proposto funziona con una supernova più distante, aumenta drammaticamente la probabilità statistica che questo processo sia avvenuto anche altrove nella galassia. I ricercatori stimano che dal 10 al 50% delle stelle simili al Sole e dei loro sistemi planetari potrebbero essere stati "seminati" con elementi radioattivi attraverso questo meccanismo, producendo potenzialmente pianeti rocciosi con quantità d'acqua compatibili con lo sviluppo della vita. Nei modelli precedenti, che richiedevano supernove estremamente vicine, la probabilità di questo evento era paragonabile a una vincita alla lotteria cosmica.
Cosimo Inserra dell'Università di Cardiff, non coinvolto nello studio, sottolinea l'eleganza del modello proposto, che bilancia delicatamente forze distruttive e creative: "È necessario avere gli elementi giusti alla distanza giusta". Questa scoperta potrebbe avere applicazioni pratiche immediate nella ricerca di mondi abitabili. Le future missioni di osservazione, come il Habitable Worlds Observatory della NASA, potrebbero utilizzare questa conoscenza per identificare sistemi stellari che si trovavano nelle vicinanze di antiche supernove al momento della loro formazione, concentrando la ricerca di pianeti simili alla Terra su questi candidati privilegiati.
La ricerca apre nuove prospettive nella comprensione dell'abitabilità planetaria su scala galattica. Se la "ricetta" per formare un pianeta come la Terra non è un raro incidente cosmico ma piuttosto un processo universale che si ripete regolarmente nella Via Lattea, le probabilità di trovare vita extraterrestre aumentano considerevolmente. Gli studi futuri dovranno verificare questa ipotesi attraverso osservazioni dettagliate di sistemi stellari giovani e l'analisi dei resti di supernove nelle loro vicinanze, cercando correlazioni tra questi eventi esplosivi e le caratteristiche dei pianeti che si formano successivamente.