La ricerca sul diabete di tipo 1 ha compiuto un passo avanti significativo grazie a un approccio innovativo che combina il trapianto di cellule staminali ematopoietiche con il trasferimento di cellule pancreatiche produttrici di insulina. Un team di ricercatori della Stanford Medicine ha dimostrato che questa strategia, testata su modelli murini, non solo previene completamente l'insorgenza della malattia autoimmune, ma è anche in grado di invertirne gli effetti in animali già affetti da diabete conclamato. Il risultato più sorprendente è che i topi trattati hanno sviluppato un sistema immunitario ibrido, composto da cellule sia del donatore che del ricevente, capace di tollerare le cellule insulari trapiantate senza necessità di farmaci immunosoppressori per l'intera durata dello studio di sei mesi.
Il diabete di tipo 1 rappresenta una sfida complessa per la medicina perché non si tratta semplicemente di sostituire le cellule beta del pancreas distrutte dal sistema immunitario: è necessario "rieducare" le difese dell'organismo affinché smettano di attaccare queste cellule vitali. Il professor Seung K. Kim, direttore dello Stanford Diabetes Research Center e del Northern California Breakthrough T1D Center of Excellence, spiega che nei modelli murini utilizzati, così come negli esseri umani, la malattia è causata da un'aggressione spontanea del sistema immunitario contro le isole pancreatiche. Questo crea un duplice problema: le cellule trapiantate vengono riconosciute come estranee e contemporaneamente bersagliate da un sistema immunitario già "programmato" per distruggerle.
La metodologia sviluppata dal team di Stanford si basa su un protocollo di precondizionamento gentile che prepara l'organismo ricevente al trapianto. Invece delle aggressive terapie chemioterapiche e radianti tradizionalmente impiegate nei trapianti di midollo osseo per patologie oncologiche, i ricercatori hanno utilizzato anticorpi mirati al sistema immunitario e radiazioni a basso dosaggio, seguiti dal trapianto combinato di cellule staminali del sangue e cellule delle isole pancreatiche provenienti da un donatore immunologicamente non compatibile. La chiave del successo è stata l'aggiunta di un farmaco comunemente utilizzato per trattare le malattie autoimmuni al regime di precondizionamento identificato in uno studio precedente del 2022.
I risultati pubblicati sul Journal of Clinical Investigation il 18 novembre sono stati inequivocabili: nei topi che non avevano ancora sviluppato il diabete, tutti i 19 animali trattati sono stati completamente protetti dall'insorgenza della malattia. In un gruppo separato di topi con diabete di tipo 1 di lunga data, tutti i 9 soggetti sono stati completamente guariti dopo aver ricevuto il trapianto combinato. Nessuno degli animali ha sviluppato la malattia del trapianto contro l'ospite (graft-versus-host disease), una complicanza potenzialmente fatale in cui le cellule immunitarie del donatore attaccano i tessuti sani del ricevente.
La ricerca si inserisce in un filone di studi pionieristici condotti a Stanford dal compianto professor Samuel Strober e dalla professoressa Judith Shizuru, coautrice del nuovo studio. Questi ricercatori avevano già dimostrato che un trapianto di midollo osseo da donatore parzialmente compatibile poteva creare un sistema immunitario ibrido capace di accettare a lungo termine un trapianto di rene dallo stesso donatore. In alcuni pazienti, la funzionalità dell'organo trapiantato è rimasta stabile per decenni senza necessità di terapie antirigetto continue.
La professoressa Shizuru sottolinea che la vera innovazione consiste nell'aver sviluppato un metodo di precondizionamento molto meno aggressivo rispetto ai protocolli standard utilizzati per i trapianti di cellule staminali nel trattamento dei tumori del sangue. Questa strategia riduce l'attività del midollo osseo del ricevente quanto basta per permettere alle cellule staminali del donatore di attecchire e proliferare, minimizzando gli effetti collaterali gravi. Questo aspetto è cruciale quando si tratta di pazienti con patologie autoimmuni come il diabete di tipo 1, che pur essendo gravemente debilitanti non rappresentano una minaccia immediata per la vita.
Il meccanismo biologico alla base del successo terapeutico è particolarmente elegante: le cellule staminali del sangue donate "rieducano" il sistema immunitario del ricevente affinché accetti non solo le isole pancreatiche trapiantate, ma anche eviti di attaccare i tessuti sani, comprese le cellule beta residue. Simultaneamente, le cellule immunitarie derivate dal donatore apprendono a non aggredire i tessuti del ricevente, prevenendo la malattia del trapianto contro l'ospite. Preksha Bhagchandani, studente di medicina e primo autore dello studio, insieme al postdoc Stephan Ramos, ha svolto un lavoro meticoloso nell'ottimizzazione del protocollo farmacologico.
Nonostante i risultati promettenti nei modelli murini, permangono ostacoli significativi prima che questa strategia possa essere applicata su larga scala nell'uomo. Le isole pancreatiche possono attualmente essere ottenute solo da donatori deceduti, e le cellule staminali del sangue devono provenire dallo stesso individuo da cui vengono prelevate le isole. Inoltre, non è certo che il numero di cellule insulari tipicamente recuperabile da un singolo donatore sia sempre sufficiente per invertire un diabete di tipo 1 già stabilito, considerando che la massa di cellule beta necessaria per un controllo glicemico ottimale nell'uomo è considerevole.
I ricercatori stanno esplorando diverse soluzioni a queste limitazioni. Una possibilità particolarmente promettente consiste nella produzione di grandi quantità di cellule insulari in laboratorio a partire da cellule staminali pluripotenti umane, che potrebbero fornire una fonte praticamente illimitata di materiale per il trapianto. Un'altra linea di ricerca si concentra sullo sviluppo di metodi per aumentare la sopravvivenza e l'efficienza funzionale delle isole pancreatiche trapiantate, riducendo così il numero di cellule necessarie per ottenere un effetto terapeutico duraturo.
Le implicazioni di questa ricerca si estendono ben oltre il diabete di tipo 1. Kim, Shizuru e i loro collaboratori ritengono che la strategia di precondizionamento gentile sviluppata potrebbe aprire nuove possibilità terapeutiche per altre patologie autoimmuni come l'artrite reumatoide e il lupus, per disturbi ematologici non oncologici come l'anemia falciforme (per la quale i metodi attuali di trapianto di cellule staminali rimangono molto aggressivi), e per i trapianti di organi solidi da donatori non perfettamente compatibili. La possibilità di rimodulare il sistema immunitario in modo sicuro per permettere una sostituzione duratura di organi danneggiati rappresenta un obiettivo ambizioso della medicina rigenerativa.