L'acqua potabile estratta direttamente dall'aria che ci circonda potrebbe presto diventare una realtà quotidiana grazie a una tecnologia sviluppata al Massachusetts Institute of Technology. Un gruppo di ricercatori guidato dalla scienziata Svetlana Boriskina, del Dipartimento di Ingegneria Meccanica del MIT, ha messo a punto un sistema che utilizza vibrazioni ultrasoniche ad alta frequenza per liberare l'umidità intrappolata in materiali spugnosi progettati per catturare il vapore acqueo atmosferico. La scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Communications il 18 novembre, rappresenta un salto significativo rispetto ai metodi tradizionali che si affidano al lento processo di riscaldamento solare, aprendo prospettive concrete per l'approvvigionamento idrico nelle regioni più aride del pianeta.
La raccolta di acqua atmosferica (AWH, Atmospheric Water Harvesting) si basa su un principio apparentemente semplice: anche i deserti più secchi contengono tracce di umidità nell'aria, e materiali assorbenti appositamente progettati possono catturare queste microscopiche goccioline. Il problema nasce nella fase successiva, quando occorre estrarre l'acqua dai materiali che l'hanno catturata con tale efficacia da non volerla più rilasciare. Come spiega Boriskina, "qualsiasi materiale molto efficace nell'assorbire acqua non vuole separarsene", richiedendo grandi quantità di energia e tempi lunghi, spesso molte ore o addirittura giorni interi quando si utilizzano sistemi di evaporazione basati sul riscaldamento solare.
La svolta tecnologica è arrivata grazie all'incontro interdisciplinare tra competenze diverse. Ikra Iftekhar Shuvo, studente laureato in media arts and sciences e primo autore dello studio, stava lavorando con gli ultrasuoni per dispositivi medici indossabili quando ha iniziato a collaborare con il gruppo di Boriskina. Durante le discussioni è emersa l'intuizione che le onde acustiche ad altissima frequenza potessero accelerare drammaticamente il rilascio dell'acqua dai materiali assorbenti. "È scattato qualcosa: avevamo questo grande problema da risolvere, e improvvisamente Ikra sembrava avere lo strumento giusto per risolverlo", ricorda la scienziata.
Dal punto di vista fisico, gli ultrasuoni sono onde di pressione acustica che superano i 20 kilohertz (20.000 cicli al secondo), quindi invisibili e impercettibili all'orecchio umano. Il team ha scoperto che, alla giusta frequenza, queste vibrazioni possono rompere selettivamente i deboli legami che trattengono le molecole d'acqua intrappolate nel materiale assorbente. "Con gli ultrasuoni possiamo interrompere con precisione i legami deboli tra le molecole d'acqua e i siti dove sono trattenute", spiega Shuvo. "È come se l'acqua danzasse con le onde, e questo disturbo mirato crea un momento che libera le molecole d'acqua, facendole fuoriuscire in goccioline visibili".
L'attuatore ultrasonico progettato dal team presenta un design ingegnoso: al centro si trova un anello ceramico piatto che vibra quando viene applicata tensione elettrica, circondato da un secondo anello dotato di minuscoli ugelli. Quando le goccioline si liberano dal materiale grazie alle vibrazioni, cadono attraverso questi ugelli in contenitori di raccolta posizionati sopra e sotto l'anello vibrante. Nei test condotti in camera climatica con diversi livelli di umidità, il dispositivo ha liberato quantità sufficienti di acqua per asciugare completamente i campioni di materiale assorbente nel giro di pochi minuti, contro le decine di minuti o le ore necessarie con i sistemi termici convenzionali.
Un aspetto cruciale della ricerca riguarda l'efficienza energetica complessiva. Sebbene il dispositivo richieda elettricità per funzionare, i ricercatori propongono di alimentarlo con una piccola cella solare che fungerebbe anche da sensore per rilevare quando il materiale è completamente saturo di acqua. Il sistema potrebbe attivarsi automaticamente al raggiungimento di una soglia predefinita di accumulo, permettendo cicli multipli di cattura e rilascio nell'arco della giornata. Questa capacità di ciclare rapidamente rappresenta il vero vantaggio competitivo: "Si tratta di quanta acqua si può estrarre al giorno", sottolinea Boriskina. "Con gli ultrasuoni possiamo recuperare acqua velocemente e ripetere il ciclo più e più volte. Questo può tradursi in volumi considerevoli nell'arco di una giornata".
La versatilità del sistema costituisce un ulteriore punto di forza. Come evidenzia Boriskina, "la bellezza di questo dispositivo è che è completamente complementare e può essere aggiunto come componente a quasi qualsiasi materiale assorbente". La ricercatrice immagina applicazioni domestiche dove un materiale ad assorbimento rapido, abbinato a un attuatore ultrasonico delle dimensioni di una finestra, potrebbe fornire acqua potabile in modo continuo: quando il materiale raggiunge la saturazione, l'attuatore si attiverebbe brevemente usando energia da una cella fotovoltaica, libererebbe l'acqua raccolta e si ripristinerebbe per un nuovo ciclo.