Uno degli aspetti più devastanti dell'Alzheimer è la progressiva incapacità di riconoscere i volti familiari. Mentre i malati possono ancora ricordare oggetti o luoghi, i lineamenti di figli, coniugi e amici scivolano via nell'oblio, cancellando una dimensione fondamentale della nostra identità sociale. Ora, una scoperta della University of Virginia School of Medicine getta nuova luce sui meccanismi neurologici alla base di questo fenomeno: il deterioramento di particolari strutture protettive che avvolgono i neuroni, note come reti perineuronali, potrebbe essere il principale responsabile della perdita della memoria sociale. La ricerca, pubblicata sulla rivista Alzheimer's & Dementia, apre prospettive inattese per il trattamento, suggerendo che farmaci già in fase di sviluppo per patologie completamente diverse come tumori e artrite potrebbero trovare applicazione nella lotta contro questa forma di demenza.
Le reti perineuronali rappresentano una componente strutturale del cervello scoperta solo di recente dallo stesso gruppo di ricerca. Si tratta di complesse matrici extracellulari che circondano specifiche popolazioni di neuroni, formando una sorta di barriera protettiva essenziale per la corretta comunicazione neuronale. Queste strutture reticolari non sono semplici involucri passivi: svolgono un ruolo attivo nel consolidamento e nell'immagazzinamento dei ricordi, in particolare quelli che riguardano le interazioni sociali. "Abbiamo scoperto che il rivestimento reticolare noto come reti perineuronali protegge questi ricordi sociali", spiega Lata Chaunsali, tra gli autori dello studio, sottolineando come nella malattia di Alzheimer le persone abbiano difficoltà a ricordare familiari e amici proprio a causa della perdita di questa memoria sociale.
Per verificare questa ipotesi, i ricercatori hanno condotto esperimenti su modelli murini con reti perineuronali compromesse. I risultati hanno rivelato un pattern sorprendentemente specifico: i topi con queste strutture difettose perdevano la capacità di riconoscere altri topi con cui avevano precedentemente interagito, pur mantenendo intatta la memoria degli oggetti presenti nel loro ambiente. Questa dissociazione tra memoria sociale e memoria degli oggetti rispecchia fedelmente ciò che si osserva nei pazienti umani affetti da Alzheimer, dove tipicamente il riconoscimento dei volti familiari si deteriora prima della capacità di ricordare luoghi o cose.
La portata di questa scoperta assume contorni ancora più significativi considerando l'impatto globale della malattia. L'Alzheimer colpisce attualmente 55 milioni di persone in tutto il mondo, una cifra destinata a crescere del 35% nei prossimi cinque anni secondo le proiezioni epidemiologiche. In questo scenario, identificare un meccanismo molecolare preciso rappresenta un passo avanti cruciale verso terapie mirate. Come sottolinea Harald Sontheimer, autore senior dello studio, la scoperta è particolarmente promettente perché esistono già farmaci candidati che potrebbero agire su questo bersaglio terapeutico.
Il team di ricerca ha infatti testato una classe di farmaci denominati inibitori delle metalloproteinasi di matrice (MMP), molecole attualmente in fase di sperimentazione clinica per patologie oncologiche e reumatologiche. Questi composti hanno dimostrato di poter rallentare la degradazione delle reti perineuronali nei modelli animali. Nei topi trattati con inibitori delle MMP, la preservazione di queste strutture protettive si è accompagnata a una conservazione significativa della memoria sociale, suggerendo un nesso causale diretto tra l'integrità delle reti e la capacità di formare e mantenere ricordi di natura relazionale.
Nonostante l'entusiasmo generato da questi risultati preliminari, la comunità scientifica mantiene la necessaria cautela che caratterizza la ricerca biomedica responsabile. Gli esperimenti sono stati condotti esclusivamente su modelli murini, e il passaggio dalla ricerca preclinica alle applicazioni umane richiede un percorso lungo e rigoroso. "Sebbene disponiamo di farmaci in grado di ritardare la perdita delle reti perineuronali, sono necessarie ulteriori ricerche sulla sicurezza ed efficacia del nostro approccio prima che questo possa essere preso in considerazione negli esseri umani", precisa Sontheimer. La fase successiva prevederà studi approfonditi per determinare la dose terapeutica ottimale, identificare potenziali effetti collaterali e verificare se i meccanismi osservati nei topi si traducano effettivamente in benefici clinici per i pazienti.
Questa ricerca si inserisce in un filone di studi che negli ultimi anni ha progressivamente spostato l'attenzione dalla classica ipotesi delle placche amiloidi verso una comprensione più sfaccettata della neurodegenerazione. L'identificazione delle reti perineuronali come elemento chiave nella perdita selettiva della memoria sociale rappresenta un esempio di come la ricerca di base possa aprire prospettive terapeutiche inaspettate, suggerendo che la protezione di specifiche strutture cerebrali potrebbe essere altrettanto importante quanto la rimozione degli aggregati proteici patologici. Le implicazioni si estendono potenzialmente oltre l'Alzheimer, verso altre forme di demenza in cui la memoria sociale risulta compromessa, offrendo un nuovo paradigma per comprendere come il cervello codifichi e preservi la dimensione relazionale della nostra esistenza.