Il governo australiano ha approvato una legge nel 2024 che potrebbe cambiare per sempre il rapporto tra gli adolescenti e internet, ovvero il bandire l'accesso alle piattaforme social a tutte le persone sotto i 16 anni.
Entrata in vigore il 10 dicembre 2025, la nuova legge impedisce agli utenti sotto i 16 anni di creare nuovi profili su dieci delle principali piattaforme digitali, mentre quelli esistenti stanno venendo progressivamente disattivati.
Si tratta di una misura senza precedenti a livello mondiale, che sta attirando l'attenzione di numerosi governi alle prese con le stesse preoccupazioni sulla sicurezza dei minori online, sulla dipendenza che alcune piattaforme stanno generando negli utenti più giovani e su una serie di problematiche legate alla salute mentale.
Il provvedimento colpisce alcuni dei nomi più noti del panorama digitale: TikTok, Facebook, Instagram, X, YouTube, Snapchat, Threads, Reddit e le piattaforme di streaming Kick e Twitch. Praticamente tutti i social network più celebri e utilizzati.
Come funziona?
Il governo australiano ha stabilito tre criteri principali per determinare quali servizi rientrino nel divieto: la piattaforma deve avere come scopo principale, o significativo, quello di consentire l'interazione sociale online tra più utenti; deve permettere agli utenti di interagire tra loro e deve consentire la pubblicazione di contenuti di qualsivoglia tipologia.
La decisione del governo australiano si basa su una serie di dati allarmanti raccolti negli anni scorsi e pubblicati, ufficialmente, in un corposo dossier governativo rilasciato a inizio 2025. All'interno del documento viene rivelato che il 96% dei bambini australiani, tra i 10 e i 15 anni, utilizza i social media per oltre 6 ore al giorno e che sette su dieci vengono esposti costantemente a contenuti dannosi e inadeguati per la loro età.
L'indagine ha documentato l'esposizione a contenuti misogini e violenti, oltre a messaggi che promuovono erroneamente disturbi alimentari, favoriscono il suicidio o camuffano, all'interno di contenuti apparentemente per bambini, messaggi subliminali a sfondo sessuale. Un minore su sette ha inoltre riferito di aver subito molestie, o tentativi di adescamento, da parte di adulti e adolescenti, mentre più della metà ha dichiarato di essere stata vittima di cyberbullismo sia nelle sezioni dedicate ai commenti pubblici che tramite messaggi privati.
Il governo australiano ha manlevato da ogni responsabilità sia i giovani utenti che i genitori, indicando a più riprese come alcune piattaforme, ritenute inizialmente sicure in termini puramente contenutistici, in realtà presentino una moderazione talmente scarsa da non garantire alcun tipo di sicurezza per quanto riguarda i commenti o i contenuti con al loro interno messaggi subliminali o brevi immagini disturbanti.
La responsabilità dell'applicazione del divieto e quindi ricade interamente sulle aziende tecnologiche e le piattaforme che non rispetteranno la nuova normativa rischieranno multe fino a 49,5 milioni di dollari australiani (circa 29 milioni di Euro) per violazioni gravi o ripetute. Il governo, inoltre, ha richiesto alle società di adottare "misure ragionevoli" utilizzando molteplici tecnologie di verifica dell'età, che potrebbero includere documenti d'identità governativi, riconoscimento facciale, o vocale, o la cosiddetta "inferenza dell'età", che analizza comportamenti e interazioni online per stimare l'età di una persona.
Non sono stati imposti sistemi universali, permettendo a ogni azienda di utilizzare le tecnologie di verifica più efficaci per ottenere lo scopo o, in alternativa, di disattivare o sospendere gli account che risultano in possesso di persone sotto i 16 anni di età.
Fra critiche e approvazione
Le risposte sia da parte dei cittadini, che delle aziende, non sono tardate ad arrivare. L'ex dirigente di Facebook, Stephen Scheeler, ha sottolineato l'inefficacia delle sanzioni finanziarie, affermando che Meta impiega circa un'ora e 52 minuti per generare entrate pari a 50 milioni di dollari australiani, facendo intuire che, volendo, il colosso potrebbe sfidare la legge australiana senza grosse problematiche.
Reddit, un giorno prima dell'entrata in vigore del divieto, ha dichiarato che si conformerà ma ha espresso "profonde preoccupazioni" sulla legge che "mina il diritto di tutti alla libera espressione e alla privacy".
Alcuni esperti di sicurezza hanno mosso molteplici dubbi sui limiti tecnici delle attuali tecnologie di verifica dell'età, soprattutto in virtù del fatto che oltre a garantire libertà di scelta alle aziende, il rapporto governativo ammette come la valutazione facciale sia meno affidabile specialmente quando si tratta di adolescenti.
Il congresso medico australiano si è rivelato soddisfatto della nuova riforma di legge, confermando quello che numerosi studi su scala globale hanno già dimostrato a più riprese, ovvero che la fruizione costante di contenuti brevi (come gli shorts o i reel) sta lentamente, e drasticamente, riducendo la soglia dell'attenzione e della concentrazione nelle nuove generazioni. Portandole a non riuscire a rimanere attenti per più di una manciata di minuti sia durante una conversazione che nelle fasi di assimilazione di nuove informazioni.
Molti genitori si sono rivelati più che favorevoli al nuovo decreto di legge, ma quello che sorprende maggiormente è che anche molti studenti e adolescenti australiani, trovano corretto il nuovo divieto, citando a più riprese come i social network abbiano creato dipendenze in molti dei loro amici e, in alcuni casi, dei preoccupanti fenomeni di distaccamento dalla realtà.
Non mancano, ovviamente, anche dei pareri contrari (anche in questo caso provenienti da gruppi di genitori) che affermano che limitare l’accesso dei bambini a "quella parte di internet con la quale si relazionano maggiormente" rischia di spingerli verso angoli ancora meno regolamentati della rete e, soprattutto, mettono in dubbio anch'essi l’efficacia della tecnologia di verifica dell’età su cui si basa il divieto.
Se siete curiosi, la BBC ha realizzato una pagina dedicata proprio alla messa in vigore del decreto legge, dove si possono trovare numerose testimonianze da parte di più fronti per farsi un'idea di come sia stato accolto il divieto dai cittadini australiani.
Una riforma fallace
Il divieto australiano, a ogni modo, non è immune da criticità. Per esempio al suo interno non viene fatto alcun riferimento ai siti di incontri e a piattaforme come Roblox e Discord (che sovente sono al centro di critiche per la scarsa moderazione delle persone e dei contenuti reperibili al loro interno) e i chatbot basati sull'intelligenza artificiale, finiti anch'essi a più riprese sotto i riflettori per presunti casi di conversazioni inappropriate con minori o per aver incoraggiato comportamenti autolesionistici.
Anche YouTube Kids, Google Classroom e WhatsApp non rientrano nel divieto perché considerati non conformi ai criteri stabiliti e, cosa più preoccupante, i cittadini sotto i 16 anni potranno comunque visualizzare la maggior parte dei contenuti su piattaforme che non richiedono un account.
Le aziende reagirono con veemenza quando il divieto venne annunciato nel novembre 2024, sostenendo che sarebbe stato difficile da implementare, facile da aggirare, dispendioso in termini di tempo per gli utenti e rischioso per la privacy. YouTube, pochi giorni prima dell'entrata in vigore, ha definito le nuove leggi "affrettate", sostenendo che renderebbero i bambini meno sicuri poiché potranno ancora utilizzare la piattaforma senza account, eliminando di fatto "proprio tutti quei controlli parentali e quei filtri di sicurezza costruiti per proteggerli".
Meta, dal canto suo, ha iniziato a chiudere gli account degli adolescenti già dal 4 dicembre scorso, spiegando che chiunque venga escluso per errore potrà utilizzare un documento d'identità governativo o fornire un video selfie per dimostrare la propria età. Snapchat, invece, ha annunciato che gli utenti potranno verificarsi tramite conti bancari, documenti d'identità o selfie. Tuttavia, le piattaforme non possono affidarsi all'autocertificazione degli utenti o alla conferma da parte dei genitori.
Proprio grazie a Snapchat si è già mostrata la fallacia di questo sistema. L'azienda ha difatti implementato un software chiamato k-ID per verificare l'identità dei profili dei suoi utenti. Una ragazzina di 13 anni, sempre intervistata dalla BBC, ha spiegato come in 5 minuti abbia verificato il suo account utilizzando un vecchio documento della madre, garantendosi l'accesso senza limitazioni alla piattaforma.
Molti altri adolescenti hanno dichiarato di aver creato profili falsi prima della messa in vigore della legge e sebbene il governo abbia avvertito le società di identificare e rimuovere tali account, i temrini in merito a questa specifica violazione sono eccessivamente fumosi per essere applicati correttamente in termini legali.
Proprio la questione della protezione dei dati rappresenta un nodo cruciale. L'Australia ha vissuto una serie di violazioni di dati ad altissimo profilo in cui informazioni personali sensibili sono state rubate e pubblicate o vendute. Il governo ha assicurato che la legislazione incorpora "forti protezioni" per i dati personali, specificando che possono essere utilizzati solo per la verifica dell'età e devono essere successivamente distrutti, con "sanzioni severe" per le violazioni, ma ovviamente il dubbio permane e molti utenti si sono rivelati restii a verificarsi tramite questo sistema.
Inoltre c'è il discorso delle VPN, che analogamente a quanto successo nel Regno Unito dopo l'implementazione di regole simili sul controllo dell'età, riescno a bypassare facilmente tutti i controlli in essere.
Cosa succederà nel resto del Mondo?
Nel mentre che in Australia il ministro delle comunicazioni Annika Wells ha ammesso che il divieto potrebbe non essere "perfetto" e che "sembrerà un po' caotico durante l'implementazione ma verrà affinato nel corso dei mesi successivi", come ha reagito il resto del Mondo?
La Danimarca, per esempio, si è dimostrata molto favorevole e ha annunciato piani per vietare i social media ai minori di 15 anni nell'immediato futuro; la Norvegia, invece, starebbe valutando una proposta simile ma non vuole annunciare niente di ufficiale fino a che non sarà certa di aver esaminato ogni pro e contro di una proposta di legge di tale portata.
Un'indagine parlamentare francese ha raccomandato il divieto per i minori di 15 anni e un "coprifuoco" (definito da un tetto massimo di ore imposto dalle piattaforme ai profili dei minori) sui social media per i giovani tra i 15 e i 18 anni, in modo da contenere tutte le problematiche legate alla mancanza di attenzione, e alla dipendenza da smartphone, sempre più dilagante negli istituti scolastici.
In Spagna, il governo ha redatto una legge che richiederebbe l'autorizzazione dei tutori legali per l'accesso dei minori di 16 anni. Nel Regno Unito, dove sono già in vigore numerose norme per il controllo dell'età, sono state rinforzate le norme di sicurezza, che ora prevedono multe ingenti o addirittura il carcere per i dirigenti delle aziende che non implementano misure idonee per proteggere i giovani da contenuti illegali e dannosi.
In Italia, infine, per quanto nulla sia stato ancora dichiarato da parte del governo, alcune testate giornalistiche hanno voluto intervistare i cittadini e il 47% si è rivelato favorevole a implementare una riforma di legge analoga a quella australiana.
Ma tutto questo ha davvero senso?
Ora che tutti gli aspetti della vicenda sono stati snocciolati, rimane la domanda più gravosa a cui rispondere: educare i giovani a navigare consapevolmente i social sarebbe più efficace di un divieto totale? Da questo momento in poi vi rispondo in maniera totalmente soggettiva e vi dico che indubbiamente si, visto che allo stato attuale queste riforme di legge mi sembrano semplicemente un modo per pulirsi la coscienza con sistemi raffazzonati e che fanno sembrare le classi politiche "ancora più vetuste" di quello che sono.
Indubbiamente moltissime piattaforme hanno bisogno di una moderazione più severa, di un controllo dei contenuti più approfondito (e compiuto da esseri umani) per evitare spiacevoli situazioni come quelle che succedono regolarmente su YouTube Kids con shorts e video ricolmi di messaggi subliminali e contenuti per nulla idonei ai bambini. No, non ve lo dico per sentito dire, ma dopo aver visto assieme a mia figlia, proprio su YT Kids, un cartone animato con un criceto che veniva sventrato da degli elfi, capite bene che il problema esiste, ma bandire i social non rimane la soluzione.
Riforme come quella australiana, nascono dall'ignoranza di chi le crea. Non si documentano sui veri rischi delle piattaforme, andando magari a imporre alle singole aziende delle moderazioni più stringenti, ma si lavano la coscienza piazzando un limite d'età facilmente aggirabile e minacciando le aziende di multe talmente salate da poter essere pagate in un'ora e 52 minuti, come nel caso di Meta.
Magari la soluzione potrebbe essere imporre una moderazione più aggressiva, generare degli enti pubblici ai quali i cittadini possano segnalare eventuali problemi con le piattaforme in modo tale che possa intervenire il governo direttamente con le aziende per trovare delle soluzioni efficaci, pena sanzioni ed eventuali ban. Soluzioni indubbiamente più complesse e stratificate, che necessiterebbero una conoscenza dell'argomento approfondita e ingenti investimenti, ma per quanto utopiche, indubbiamente più efficaci e "sensate" di una semplice censura a tappeto, per giunta fallace sotto molteplici aspetti.
Manlevare i genitori, e lo dico da tale, non è la soluzione. Smartphone, tablet e device di ogni tipologia, non piovono dal cielo, vengono fisicamente regalati o messi nelle mani dei minori. Esistono controlli parentali che lavorano fin troppo bene, ma purtroppo come ogni cosa andrebbe applicata correttamente.
Il figlio di mia cugina, per farvi l'esempio più personale che possa venirmi in mente, ha avuto un periodo di dipendenza estrema dai social network, arrivando persino a nascondersi a casa dei suoi compagni di classe per poter guardare per ore i suoi youtuber preferiti o giocare a Roblox. La colpa è delle piattaforme? No. La colpa è della poca educazione dei genitori su come funzionano i device.
È bastato applicare a dovere il parental control, che su iOS e Android può limitare il tempo di utilizzo delle varie applicazioni e persino dell'intero device, e premunirsi che fosse a casa dopo l'orario scolastico per risolvere gradatamente il problema. Una soluzione disponibile per tutti, ma che in pochi si documentano su come utilizzarla correttamente, per porre un limite ai propri figli quando non ci si trova fisicamente con loro (perché alla fine, diciamoci la verità, lavoriamo tutti e non possiamo essere presenti 24/7 nella loro vita).
Controllare cosa guardano i nostri figli, conoscere i loro interessi, essere impopolari non facendogli portare lo smartphone a scuola, capire se ciò che stanno guardando, o se ciò a cui stanno giocando, sia idoneo per la loro età non è una scelta, è un nostro dovere. Non deve arrivare l'ente pubblico, il governo o quel che volete a imporre veti perché noi "non sappiamo compiere il nostro dovere da genitori".
Non vi piace? Lo capisco perfettamente. Ma ignorando che il problema siamo anche noi, e continuando a manlevare le nostre responsabilità ai governi e alle aziende, stiamo facendo esattamente quello che venne fatto a noi con i videogiochi, con la musica metal e con tutte quelle cose che, per pigrizia della generazione precedente alla nostra, venne etichettato come "sbagliato" e messo alla gogna mediatica o, peggio, rimosso dagli scaffali.
Togliere i social ai minori non è la soluzione, non serve a nulla e non servirà mai a nulla. É solamente una censura che riteniamo corretta perché "non tocca il nostro quotidiano" ma che si rivela tanto sbagliata come quelle che ogni giorno contestiamo da buoni leoni da tastiera. Tanto i nostri figli troveranno sempre un modo per accedervi (esattamente come noi trovavamo un modo per fumare di nascosto o per guardare i canali osé in tarda serata facendo credere a tutti che stavamo dormendo) solo che lo faranno di nascosto, senza possibilità che nessuno li controlli nemmeno in minima parte, generando situazioni molto più problematiche di quelle attuali. La domanda quindi è una sola: è realmente quello che vogliamo?