Intervista a Gianni Gaude, storico doppiatore di videogiochi (e non solo!)

GameDivision intervista Gianni Gaude: direttore del doppiaggio e voce di alcuni personaggi del mondo videoludico ma anche cinematografico.

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a cura di Michele Pintaudi

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Il mondo dei videogiochi è ricco, anzi, ricchissimo di personalità degne di nota. Alcuni li conosciamo praticamente tutti, tra autori dai caratteri anche molto particolari e figure a loro modo davvero iconiche. Altre potrebbero magari richiederci un minimo sforzo per arrivarci alla memoria, perlopiù perché si tratta di personaggi molto attivi dietro le quinte. Personaggi come Gianni Gaude, una delle più importanti voci e tra i più noti direttori del doppiaggio degli ultimi decenni in Italia.

Nato a Santena, nel torinese, nel 1956. Docente di dizione e comunicazione verbale e attuale Vicepresidente della Cooperativa O.D.S. (Operatori Doppiaggio e Spettacolo), della quale è socio da ormai più di trent’anni. La carriera di Gianni parla da sé, con un’infinità di collaborazioni e progetti che spaziano dal cinema alla televisione fino al mondo dei videogiochi. Qualche esempio? Gianni Gaude è la voce italiana del detective Scott Shelby in Heavy Rain, di Don Vito Corleone ne Il Padrino (titolo EA del 2006) e del Comandante Qwark in Ratchet & Clank… Ma non solo. Possiamo infatti riconoscere il suo tono inconfondibile in League of Legends, God of War, Horizon e in diversi capitoli della saga di Assassin’s Creed: ogni videogiocatore, insomma, ha sentito almeno una volta la voce di Gianni Gaude!

Noi di GameDivision abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con Gianni, parlando del suo enorme contributo anche all’interno del medium videoludico: ne è uscita un’intervista che oggi siamo orgogliosi di presentarvi, con qualche chicca davvero interessante per tutti gli amanti di un settore così particolare come quello del doppiaggio.

Intervista a Gianni Gaude

Tanti anni di carriera nel doppiaggio che ti hanno reso una delle voci più riconoscibili del settore, ma come e quando è cominciato tutto?

Tutto ebbe inizio nel 1975/76 con l'avvento dell'emittenza privata, che allora consisteva in radio pirata: di fatto, non si sapeva ancora quale fosse il livello di "legalità" di queste emittenti radiofoniche. Io ero impegnato in tutt'altro: avevo studiato e lavoravo nell'ambito dell'arredamento di interni, ma ho sempre avuto una grandissima passione per la musica. Questo mi ha portato a fare alcune esperienze come disk jockey, e anche a scuola ero conosciuto come colui che metteva i dischi... Con la nascita di queste radio si sviluppa anche un approccio del tipo "troviamo qualcuno che abbia dei dischi": le emittenti provate erano molto povere all'inizio, e si basavano quindi sulla discografia personale delle persone che vi lavoravano. Io potevo già contare su una bella collezione di album, alcuni ereditati da mio padre che era un grande cultore della musica jazz... Avevo insomma un discreto numero di dischi! Da questo punto di vista mi considero un perfezionista, e dopo qualche mese di lavoro in radio sentivo di poter migliorare davvero. Mi sono dunque iscritto a corsi di dizione e recitazione, cominciando a investire molto in questo tipo di contesti: allora chi si affacciava a questo mondo non aveva una formazione, e così facendo ho potuto in sostanza facilitarmi non poco. La mia voce divenne dunque abbastanza conosciuta nel settore, quantomeno nel torinese, e da lì è partita un'escalation verso tutti gli altri aspetti di questo mestiere. Ho incrociato subito molti colleghi e poco dopo la neonata cooperativa O.D.S., e così tutto è cominciato.  

‌E qual è il percorso che ti ha portato a lavorare nello specifico nel settore dei videogiochi?

Non c'è un percorso specifico, diciamo che avendo già esperienze continuative di doppiaggio gli ambienti di lavoro si sono "allargati" e aperti. Sono stato tra le prime voci in Italia a essere contattate dagli studi del settore: lavoravo molto su Milano in quel periodo, dov'erano attive le maggiori realtà legate a produzione e doppiaggio anche in ambito videoludico. Ho cominciato da lì, e posso dire di avere una bella carriera da quel punto di vista proprio perché è un settore in cui sono dentro sin dagli inizi.

Hai dato voce a tantissimi personaggi, da Scott Shelby a Vito Corleone fino al Capitano Qwark, ce n'è uno a cui sei particolarmente affezionato?

La mia non è presunzione, ma ho fatto talmente tanti videogiochi nella mia carriera da non riuscire a ricordarli tutti: a volte quasi scopro di aver fatto delle cose di cui non ho assolutamente alcun ricordo! Ci sono comunque almeno due ricordi forti, e il primo è il Capitano Qwark di Ratchet & Clank: è stato forse il primo personaggio davvero importante a cui ho dato la voce, con la direzione della collega Elisabetta Cesone, e il mio debutto con il suo "Qwarktastico!" fu divertentissimo. Altro ricordo è legato a Mafia, dove feci Vincenzo: l'esperienza andò benissimo, e la casa di produzione mi propose per il ruolo di Vito Corleone ne Il Padrino... Vinsi il casting e andai a fare il primo turno di doppiaggio, affiancato da un tutor di lingua siciliana. Un siciliano DOC, che correggeva la mia pronuncia di origine piemontese: è stato davvero molto, molto divertente.

‌É diverso doppiare un videogioco rispetto, ad esempio, a un film o una serie TV? E se sì, in che modo?

È un'esperienza totalmente diversa: doppiare un videogioco è praticamente recitazione, nella quale può mancare la percezione dei personaggi e come riferimento ti puoi trovare con una voce e null'altro. In sostanza non hai altro che la visione di un'onda sonora, sulla quali devi stare rispettando i tempi: fare lo stesso su un cartone animato o su film e serie è tutt'altra storia, perché hai di fatto la percezione del soggetto a cui stai dando la voce. Sono due professioni di generi differenti.

‌Non solo videogiochi comunque: sono un grande fan di South Park e apprezzo davvero molto il doppiaggio italiano. Ecco, quant'è difficile o magari anche divertente per un doppiatore passare da un tono di un certo tipo (ad esempio quello di Vito Corleone) a uno come quello di South Park?

Siamo ormai al 25° o 26° anno di lavoro su South Park, che è stato una vera svolta per la Cooperativa, e tra doppiatori e direttori siamo in sette persone a lavorarci. In originale la serie è fatta da quattro persone, due uomini e due donne: un'alternanza che nel doppiaggio troviamo con una politica "scorrettissima" con uomini che doppiano donne e viceversa, dando origine a un effetto volutamente sfasato che è perfetto per South Park. Un cult con contenuti davvero particolari, a volte è imbarazzante e a volte è estremamente geniale: ha una forza comunicativa di altissimo livello, ed è una parte molto importante della mia vita professionale. La O.D.S. è però particolarmente conosciuta per il doppiaggio di cinema d'autore, che a livello personale è qualcosa che preferisco di gran lunga fare.

Chiudo con una domanda un po' scontata che ti avranno fatto in centinaia: che consiglio puoi dare a chi vorrebbe fare il tuo mestiere?

Me lo chiedono in molti, e partirei dal fatto che la Cooperativa di cui sono socio (ormai dal 1985) ha una parte di formazione molto forte: ogni anno sono quasi 250 i ragazzi che frequentano i nostri corsi, e mi sento spesso domandare praticamente di tutto su come arrivare a questa professione.

C'è un corso o qualche lettura in particolare che ti senti di consigliare?

Non immaginare l'eventuale percorso come un'alternativa o un'integrazione di qualsiasi altra idea di lavoro: il doppiaggio non è condivisibile con altri lavori, perciò o si fa il doppiatore o si fa altro. Il secondo consiglio è di non lasciarsi attrarre da sirene affascinanti ma puntare su una formazione concreta, che preveda un piano di almeno 3/4 anni di studio partendo da basi tecniche fondamentali. Non è corretto pensare di iniziare un corso del genere per andare al microfono: si deve partire dall'idea di costruirsi una dizione perfetta, e da lì accrescere tutto l'impianto recitativo (teatro ma non solo) per poi arrivare a integrare tutti i caratteri specifici del mestiere del doppiaggio. Una volta giunti a questo punto è sempre utile fare stage di approfondimento, ma prima serve una grande forza di volontà e delle basi molto molto solide.

Gianni Gaude è dunque un vero e proprio emblema di quello che è stato ed è oggi il videogioco in Italia: una figura che ha contribuito direttamente, con la sua voce, a raccontare storie di ogni genere a migliaia e migliaia di videogiocatori. Se siete interessati al mondo del doppiaggio e volete toccare con mano questo settore così particolare, vi consigliamo di dare un'occhiata ai ricchi percorsi formativi offerti da O.D.S., che potete trovare a questo indirizzo. Ringraziando ancora Gianni per la sua enorme disponibilità, vi lasciamo invitandovi a dirci la vostra su uno dei temi toccati nell’intervista: quanto conta, per voi, la presenza del doppiaggio nella vostra lingua in un videogioco?