Seduto da qualche parte "fra le stelle", con quelli che sembrano gli interni di un'astronave decadente a fargli da sfondo, Leonard Boyarsky, cofondatore di Obsidian e Creative Director di The Outer Worlds 2, si è concesso a una lunga, quanto rilassata, chiacchierata in merito a questo ambizioso sequel.
Con Leonard si è parlato, ovviamente, di The Outer Worlds 2, di libertà narrativa, di sfide tecniche e di quella voglia insaziabile di spingeri oltre, creando mondi che reagiscano, realmente, alle interazioni dei giocatori.
Non vi neghiamo che ci è dispiaciuto dover aspettare fino a oggi per condividere questa piacevole chiacchierata, ma volevamo evitare ogni tipo di anticipazione in merito al gioco e lasciare che le prime recensioni (qui trovate la nostra), facessero da apripista a quello che, senza mezzi termini, sarà uno dei GDR di riferimento per i prossimi mesi.
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Andrea Maiellano
Ciao Leonard, è un piacere poter scambiare quattro chiacchiere con te. Prima di tutto, volevo chiederti una cosa: perché avete scelto la strada del sequel invece di creare qualcosa di completamente nuovo?
Leonard Boyarsky
Ci sono un paio di ragioni. La prima è che nella mia carriera non avevo mai realmente lavorato a un sequel di un gioco creato da me. Con Fallout 2 abbandonammo il progetto dopo tre mesi e non riuscii a finirlo personalmente. La seconda è che con il primo The Outer Worlds ci furono tante cose che non riuscimmo a realizzare come volevamo. Sono orgoglioso di ciò che abbiamo fatto con le risorse e il tempo a disposizione, e so che molte persone hanno apprezzato il gioco, ma avevamo l’ambizione di fare qualcosa di più grande... di molto più grande. Sia in termini di profondità che di interattività. Quando realizzi un titolo che dura una ventina d’ore, non puoi permetterti scelte che eliminino il 10% del contenuto in una singola run, motivo per il quale, questa volta volevamo ampliare l’universo e scavare più a fondo nel DNA che mi ha accompagnato in Interplay, Troika e, ora, Obsidian, ovvero nei concetti stessi di profondità e libertà assolute. The Outer Worlds 2 è stato, in questo senso, un vero e proprio atto d'amore.
Andrea Maiellano
Immagino che la sfida principale sia stata far sì che il sequel non sembrasse solamente un "more of the same”, ma che riuscisse allo stesso tempo a mantenere la genuinità del primo capitolo e a offrire qualcosa di inedito ai giocatori.
Leonard Boyarsky
Esatto. Ed è una delle parti più difficili del realizzare un sequel. La complessità di giochi come questo non diminuisce mai, anzi, cresce. Nei vecchi GDR isometrici non dovevamo preoccuparci delle animazioni o del doppiaggio per ogni linea di dialogo. Bastava riscrivere un testo per correggere un bug. Ora, invece, ogni singola modifica richiede tempo e coordinazione. La vera sfida rimane però la stessa: pensare a cosa succede se il giocatore decide di fare qualcosa che il gioco “non prevede”. Ad esempio, uccidere subito un NPC importante o distruggere un elemento chiave. Ironia della sorte, le restrizioni del primo titolo si sono rivelate un dono per questo sequel. Sapevamo già cosa dovevamo fare per espandere il mondo senza farlo sembrare un semplice “more of the same”. La difficoltà maggiore per me è stata addestrare un nuovo gruppo di scrittori a lavorare nello stile giusto... nel mio stile. Fortunatamente siamo riusciti a ottenere una certa oscurità di fondo, quella giustapposizione fra il cupo e l’assurdo che volevo sin dall’inizio. È stato impegnativo, ma anche molto gratificante.
Andrea Maiellano
Questo mi riporta alla mente un vecchio detto: "you cannot exploit culture". posso solo immaginare quanto sia difficile far pensare altre persone nella stessa maniera in cui lo fai tu.
Leonard Boyarsky
Esattamente. La cultura, intesa come il modo di pensare e di esistere, non può essere semplicemente trasferita o sfruttata. Se qualcosa appartiene esclusivamente a te, è difficile trasmetterlo a qualcun altro che non hai mai visto prima. Quando lavori con un nuovo team, non devi solo insegnare come si lavora, ma come si pensa. Nei miei primi anni, ai tempi di Arcanum o Vampire, lavoravo con persone che condividevano in maniera naturale la mia sensibilità creativa, quindi non serviva parlarsi molto: ci capivamo al volo. Ma con The Outer Worlds, dove mi sono trovato a guidare un gruppo di scrittori che non avevano mai lavorato assieme a me, ho dovuto fermarmi un attimo e chiedermi: “come faccio a spiegare ciò che faccio... ciò che sono... il mio essere istintivo?”. È stata una sfida enorme, ma anche un’occasione per riflettere davvero sul mio metodo lavorativo e sul valore della collaborazione culturale all’interno di un team creativo. Ti fa capire molto su come trasmettere un'eredità.
Andrea Maiellano
Mi sono sempre chiesto una cosa: come si gestisce il fatto che ogni giocatore può interagire, e reagire, in modo diverso? Nei vostri giochi sembra sempre possibile fare qualunque cosa, con miliardi di potenziali reazioni, tutte prese in considerazione a monte e il solo pensare alla mole di lavoro dietro al considerare tutte queste casuali, pressoché infinite, mi fa, letteralmente, esplodere il cervello.
Leonard Boyarsky
(ride) È vero, ed è proprio questo il bello. La nostra domanda standard, in fase di design, è sempre la stessa: “Cosa succede se uccidi quel tizio?”. Partiamo sempre definendo le scelte più drastiche e le loro conseguenze in ogni punto della storia. Poi stabilizziamo i parametri, ma spesso dobbiamo tornare indietro e cambiare i dialoghi per evitare che certe domande non abbiano senso con il progredire della trama. Non vogliamo impedire al giocatore di dire, o fare, certe cose, ma piuttosto guidarlo in modo naturale. C’è molta iterazione. Anche dopo settimane di lavoro, appena scrivi una nuova conversazione salta fuori un problema imprevisto legato a una potenziale decisione che si potrebbe prendere ore prima nell'avventura. E anche a sviluppo avanzato trovi ancora NPC che non reagiscono correttamente a eventi passati. Non esiste una formula magica: bisogna continuare a correggere, testare e rifinire. È un processo, come hai detto tu, infinito quanto le variabili possibili.
Andrea Maiellano
Prima che mi si frigga il cervello pensando a questa cosa, passiamo ad altro. Tra tutte le cose che avete aggiunto in questo sequel, qual è quella che volevate introdurre già nel primo capitolo ma che allora non siete riusciti a implementare per motivi di tempo o budget?
Leonard Boyarsky
(ride) In realtà sono due in particolare. La prima è la possibilità di arrampicarsi e trovare passaggi alternativi per espandere le possibilità di approccio ai giocatori che apprezzano lo stealth. Volevamo già nel primo capitolo condotti, grate e vie secondarie, ma non abbiamo potuto inserirle per mille ragioni diverse. La seconda è un dispositivo, in stile Dishonored, che permette di guardare attraverso i muri e vedere le ronde compiute dai nemici. Anche questo è uno strumento pensato per chi gioca in modo furtivo, ma si può sfruttare per molteplici approcci diversi. Aver finalmente incluso queste feature, mescolandolo a dovere con la rinnovata profondità delle quest e la reattività generale del mondo di gioco, mi rende molto felice.
Andrea Maiellano
Toglimi una curiosità: questa volta siate riusciti a inserire davvero tutto ciò che avevate in mente?
Leonard Boyarsky
Eh... è sempre una domanda difficile, perché in un gioco del genere c’è sempre qualcosa che va tagliato in corso d'opera. Ci sono state side quest, o piccoli dettagli nella storia principale, che non sono arrivati al traguardo. Complessivamente, però, potrei dire di sì: credo che in questo capitolo siamo riusciti a realizzare tutte le idee che originariamente avevamo in mente. Abbiamo dovuto ridimensionare un po’ quello che avevamo in mente in termini di reattività del mondo di gioco, e varietà dei nemici, ma la visione che avevamo fin dall’inizio del primo The Outer Worlds è stata finalmente completata. Ed è una sensazione fantastica.
Andrea Maiellano
Quindi mi stai dicendo che potrebbe non esserci spazio per un eventuale terzo capitolo? O ci ritroveremo fra qualche anno per parlarne?
Leonard Boyarsky
(sorride) Spero proprio di sì. In tutta onestà, fin dall’inizio avevamo in mente una meta-storia che attraversa più giochi. Quindi sì, so già dove dovrebbe andare a parare il prossimo capitolo... nel caso decidessimo di farlo.
Andrea Maiellano
Durante lo sviluppo di The Outer Worlds 2, c’è stato un momento in cui qualcosa è arrivato come un fulmine a ciel sereno e avete deciso: “Fermate tutto, dobbiamo inserirlo nel gioco”?
Leonard Boyarsky
In effetti sì, anche se all’inizio sembrava proprio il contrario, ovvero avevamo troppe idee e dovevamo tagliare. Circa un anno e mezzo fa, però, qualcuno nel team ha avuto un’intuizione: all’inizio c’era solo un rift nel cielo, ma poi abbiamo pensato che il giocatore potesse aprirne più di una e farne uscire delle cose. L’idea ci è piaciuta subito. Ho modificato parte della lore per integrarla, e da lì si è sviluppato un intero sistema di gameplay legato alla manipolazione di questi rift. È sorprendente quanto bene sia venuto, considerando quanto tardi l’abbiamo introdotto. Se l’avessimo pensato prima, lo avremmo sicuramente inserito già dalle prime ore di gioco.
Andrea Maiellano
Ho una curiosità da chiederti: quante persone hanno lavorato al gioco e per quanto tempo è stato effettivamente in sviluppo?
Leonard Boyarsky
Dunque, il team interno contava fra le 100 e le 180 persone, non siamo mai arrivati a 200, ma abbiamo fatto largo uso dell'outsourcing. Stabilire, invece, quanto sia durato lo sviluppo è più complesso. Posso dirti che i primi lavori sono cominciati esattamente dopo il rilascio del primo capitolo nel 2019, forse addirittura un pochino prima. Nei primi mesi, però, eravamo un gruppo molto piccolo che lavorava più che altro su brevi demo e prototipi di idee che avevamo tralasciato. La produzione vera e propria è iniziata solo più tardi, nella seconda metà del 2020, in piena pandemia. Quindi sì, si potrebbe dire che ci lavoriamo da quando è uscito il primo The Outer Worlds, anche se la piena produzione è arrivata solo un annetto dopo.
Andrea Maiellano
C’è stato un momento durante lo sviluppo in cui tutto si è bloccato o qualcosa è andato terribilmente storto?
Leonard Boyarsky
(ride) Non questa volta, fortunatamente. In passato ci è successo spesso, ma con The Outer Worlds no. Solo tanti, tantissimi piccoli problemi, quelli di routine per intenderci. Ogni settimana ci chiedevamo “cosa si è rotto stavolta nel gioco?”, lo cercavamo e lo sistemavamo... ma niente di drammatico.
Andrea Maiellano
Per concludere, se tra vent’anni qualcuno ti chiedesse di The Outer Worlds 2, quale sarebbe la cosa di cui saresti più orgoglioso? Quella che ti farebbe dire “Oh mio Dio, amo questa cosa”?
Leonard Boyarsky
(riflette per qualche secondo) È difficile sceglierne una sola. Sono maggiormente orgoglioso della profondità della storia, della reattività del mondo di gioco e del fatto che finalmente abbiamo portato The Outer Worlds dove volevamo. Sai, Fallout è stato l’unico gioco su cui ho rivestito il ruolo di Director e sapevo esattamente cosa volevo, e che cosa mi faceva andare fiero di quel progetto, addirittura prima di cominciare a lavorarci. Ma è un atteggiamento che attribuisco all’arroganza della gioventù. Ora è diverso: mi servono un paio d’anni per guardarmi indietro e capire davvero cosa amo di un progetto, cosa ha avuto risonanza con i giocatori e, soprattutto, con me. È il bello di questo tipo di produzioni, ognuno le vive in modo diverso, facendoti scoprire cose di cui essere orgoglioso anche ad anni dal loro rilascio... e sai una cosa? Forse è proprio questo, alla fine, ciò di cui vado più fiero.