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Recensione

Need For Speed Unbound | Recensione - Impara l'arte e non metterla da parte

Need For Speed Unbound si rifà il look e mostra una Criterion che vuole parlare ai giocatori della generazione Z, ma sarà abbastanza?

Avatar di Raffaele Giasi

a cura di Raffaele Giasi

Senior Editor

Immaginare un nuovo modo di vedere il mondo è qualcosa di assurdamente complicato. Non è semplice, infatti, stupire gli occhi del pubblico, specie se questo è ormai così assuefatto dai mondi digitali (e animati) da avere dimestichezza più o meno con la qualunque, sorprendendosi ormai molto di rado, se non in occasioni davvero rarissime, se non uniche.

Una rivoluzione, in questo senso, c'è stata qualche anno fa, e si è diffusa a cascata su diversi campi dell'animazione e dell'arte digitale in generale, ed il merito è stato, fondamentalmente, di una sola persona, ovvero di Albero Mielgo. Artista, regista, straordinario immaginatore di mondi colorati, ma spesso così complessi ed articolati da non poter essere indagati con una sola occhiata.

Premiato agli Oscar 2022 con il suo cortometraggio The Windshield Wiper (lo trovare sul Tubo, fatevi, una cortesia!), Mielgo è l'uomo a cui si deve l'ispirazione artistica di Spider-Man: Un Nuovo Universo, ovvero lo splendido film che pure si portò a casa un Oscar, anche e soprattutto grazie alla sua splendida caratterizzazione artistica, che fu in parte ispirata da Mielgo, anche se poi quest'ultimo si trovò a lasciare il progetto, per cause che qui non indagheremo.

Colori sparatissimi, luci al neon, personaggi spesso dallo stile volutamente spigoloso, ma immersi in contesti iper-realistici, sono solo alcuni dei tratti caratteristici di Mielgo che, grazie a Netflix ed al suo recente Jibaro (Love+Death+Robot, Stagione 3,  Ep.9), si è confermato ancora una volta un maestro nel tinteggiare nuovi modi di vedere il mondo e, in particolare, al mondo dell'animazione.

Ora, direte voi: “ma questa non era la recensione di Need For Speed Unbound”? Sì regà, è questa. Ma visto che il gioco è ormai bello che uscito e che, a causa di un ritardo nella ricezione del codice noi si è andati un po' lunghetti, facciamo che questa recensione la viriamo verso una direzione un po' diversa dal solito, che tanto ormai lo avrete capito che il gioco è abbastanza buono e vale la vostra attenzione.

E dunque...

Take me out to the Paradise Ci... ah no.

Sviluppato da Criterion Games, che torna alla serie dopo quasi 10 anni dall'ottimo “Rivals”, Need For Speed Unbound è un gioco che, anzitutto, ha una sua chiara identità ed anche una direzione. Il che, francamente, non è affatto da sottovalutare, specie se si considera il precedente Heat che, per quanto avesse dalla sua qualche buona idea (qui, per altro, riciclata un po' barbaramente), mancava di quella grazie che ci si aspetterebbe, oggi come oggi, da un titolo di corse.

In questo senso, Unbound, immette nel suo DNA due geni che ne hanno modificato, se non la struttura, quanto meno l'aspetto della serie Need  For Speed, rendendo questo titolo di corse un concentrato di eleganza e fascino.

Il primo è il gene di Criterion: un team di sviluppo che, se avete avuto la fortuna di vivere la splendida epoca di PlayStation 2, sicuramente conoscerete, poiché artefice di uno dei giochi di auto più amati ed osannati di sempre, ovvero Burnout. Velocità immane, schianti devastanti, ed anche tanta ma tanta adrenalina, sono alcuni dei tratti che contraddistinguono il gene Criterion, e che si ritrovano senza fatica in Unbound che, anzitutto, è un gioco di corse fatto e finito, in cui la velocità raggiunta è quasi sempre estrema, ed impasta piacevolmente le luci ed i colori dello schermo in un tunnel vorticante, contornato da un motion blur tale che  pare che le macchine schizzino a velocità  Mach.

Quando poi arriva lo schianto, SBAM!, la telecamera si sposa in modo creativo e cinematografico attorno alla carcassa, in quello che è un colpo di grazia che non ha grande impatto ludico (se non, ecco, quello di rallentarvi un pochino), ma che offre agli aficionados un tuffo al cuore, al ricordo di quello che era lo splendido combattimento su ruote messo in scena da Burnout e dai suoi “Takeover”.

Il secondo gene, invece, è quello con cui abbiamo aperto questa recensione. È il gene “Mielgo”, che per quanto mai coinvolto in alcun aspetto di questo gioco, ha comunque evidentemente contaminato la produzione, magari anche solo alla lontana, forse addirittura senza che il team artistico se ne rendesse conto (o magari sì?). Need For Speed Unbound, infatti, è anzitutto bellissimo da vedere, e quella che era la buona promessa fatta dai trailer di annuncio (per altro arrivati giusto un paio di mesi fa), si è sublimata in una direzione artistica impressionante, che rende questo titolo, di per sé, già imperdibile.

Sono diversi gli aspetti che, in tal senso, funzionano. Si parte, anzitutto, dal curioso binomio che sussiste tra le autovetture che, come anche la città, sono realizzate ad arte, con una grafica ai limiti del fotorealismo, anche in termini di dettagli; ed i vari piloti che, compreso il nostro, sono invece realizzati con uno stile in cell shading moderno e tagliente, ed i cuoi colori sono invece tutt'altro che realistici, e sono anzi sparati, tanto da sembrare vagamente luminescenti, se non proprio al neon.

In seconda istanza, Criterion ha deciso di inserire in questo gioco tutta una serie di effetti (che, volendo, potete anche disattivare... ma perché dovreste?!) che adornano la macchina praticamente qualsiasi cosa si faccia. Si passa dalle nuvole di fumo emesse dalle gomme, a dei veri e propri effetti artistici, come simboli, ali, cuori, fiammate, fulmini: tutti realizzati per richiamare alla street art e che, non a caso, si chiamano “TAG”.

Il risultato visivo è un po' quello che potreste aver apprezzato proprio in Spider-Man: Un Nuovo Universo o nel più recente Jibaro, entrambi con lo zampino del succitato Mielgo, in cui, in diversi momenti, attorno ai personaggi ed in conseguenza alle loro azioni, si  possono vedere graffiti, simboli, scarabocchi che servono a dare enfasi al momento o alle emozioni, ed in Unbound l'immaginario artistico messo in piedi dal Team ha praticamente lo stesso peso.

Attivate il NOS per vedere una scarica elettrica correre velocemente lungo la livrea, quasi come se  l'auto percepisse lo sforzo e le si contraesse i muscoli. Effettuale una sgommata e dalle ruote, oltre che un fumo colorato, si proietteranno dei piccoli simboli o delle spirali, ad enfatizzare il movimento rapido degli pneumatici. Effettuate un salto, ed attorno  alla macchina compariranno un paio d'ali, e via così per tutto il gioco, con un risultato che non è mai fastidioso o straniante ma, anzi, pone ancor più l'accento sulle automobili, sempre e comunque indiscusse protagoniste dell'azione.

Il risultato finale è pregevole, ed è evidente che il tutto sia stato creato ad uso e consumo della Generazione Z, da cui il gioco eredita un certo fascino per l'abbigliamento, la personalizzazione, il look, ma anche lo slang, anche se talvolta i risultati sono più (e involontariamente) parodistici che appaganti. Da segnalare, e poi parliamo di corse (giuro) anche lo spettacolare comparto acustico, che tra i rumori dei clacson, dei motori, delle sirene e della lamiere, offre anche una soundtrack cosmopolita ed eclettica, con artisti della scena hip-hop, dance e trap provenienti da tantissimi paesi, e con scelte non scontate come SCH, Terror JR, Diplo, Lous and the Yakuza e A$ap Rocky, per altro presente nel gioco anche con un avatar digitale.

Need For Speed Unbound... dove ti ho già visto?

Ora, se ci fermassimo qui, francamente, potremmo assegnare questo gioco un voto di tutto rispetto, ben oltre quel 7,0 che, come vedete, se ne sta in fondo alla pagina. Il punto è che se dal punto di vista artistico Unbound fa un lavorone, ponendosi una spanna sopra a qualsiasi prodotto della concorrenza (a patto che non si cerchi la pura simulazione, ovviamente), dal punto di vista ludico dispiace constatare che il titolo si comporta un po' pigramente, con un'esperienza di gioco complessiva che, in estrema sintesi, è poco meno di una versione migliorata del precedente (e bistrattato) Heat.

La cosa curiosa è che proprio Heat, per altro, era stato offerto gratuitamente appena  qualche mese fa agli utenti PlayStation tramite il programma Plus per cui, se come me avete avuto modo di giocare il precedente Need For Speed da poco, il senso di continuità vi sarà particolarmente evidente, se non proprio sgradevole.

Proponendosi come un racing open world (che anche basta Criterion, abbiamo già giocato Burnout Paradise in tutte le salse!) con diversi punti di interesse, e con una mappa variegata ma non particolarmente brillante, Unbound ci chiederà di correre in lungo e in largo, competendo in gare che avverranno tanto di giorno, quanto di notte. Come per Heat, infatti, la progressione è divisa in due momenti diversi: le gare di giorno, in cui l'allerta della polizia è generalmente più bassa, e mancano eventi capaci di raggranellare molto denaro, e le gare di notte, più pericolose, con più possibilità di attirare l'attenzione degli sbirri, ma anche decisamente più profittevoli.

Il ciclo, a differenza del precedente titolo, che concedeva libertà di scelta all'uscita dal nostro garage, è qui preimpostato dal gioco e segue una progressione naturale, dovuta anche a quella che è la trama, che ci chiederà di competere in diverse e numerose gare nell'arco di 4 settimane.

Mescolando slang, musica urban ed una buona dose di stereotipi familiari ereditati da Vin Diesel, Unbound ci metterà nei panni di un pilota novello nella città di Lakeshore, una metropoli fittizia, famosa per la sua passione per le corse clandestine, ed in cui la scena dei piloti è particolarmente vivace e colorata. Qui, proprio nelle prime battute di gioco, il nostro protagonista ed il suo capo, un attempato proprietario di un garage dalle umili origini, subiranno però un tradimento che li metterà sul lastrico, e che ci costringerà, un paio di anni dopo, a rimetterci in pista nel tentativo di una comune rivalsa.

Nomi, eventi, è tutto il contesto narrativo è così stereotipato da non lasciare alcun segno, ma almeno possiamo dire che il gioco ha il pregio di provare a dare una continuità narrativa al nostro correre e peregrinare che, insomma, considerato l'andazzo del genere è comunque qualcosa di positivo. Ritornati sulla scena delle corse, scopriremo quindi che per partecipare al “La Grand”, ovvero a quello che è il torneo dei tornei delle gare clandestine, per altro promosso proprio da chi ci ha traditi, dovremmo competere in una serie di gare, al fine di possedere, nell'arco di poche settimane, 4 diverse auto, di 4 diverse categorie, più una cospicua somma di denaro.

In questo senso, l'impostazione del ritmo di gioco, e del suo ciclo giorno/notte, segue quello che è lo schema delle settimane che effettivamente ci separano dai 4 main event che ci porteranno alla sfida finale, con degli obiettivi da raggiungere entro la fine della settimana, sia in termini di soldi che di performance della vettura, in quello che è un sistema non troppo complesso, ma comunque piacevolmente ritmato.

Il punto è che, a conti fatti, una blanda narrazione, ed un sistema di progressione che obbliga il giocatore a correre continuamente per accumulare soldi, fama e nuovi pezzi per l'auto, non sono sufficienti a staccarci dall'idea che questo non sia altro che un Heat 1.5, anche e soprattutto perché il tavoliere di gioco, ossia la città di Lakeshore, non offre praticamente mai alcun guizzo memorabile che la distingua dalla città precedente, tanto che tutto il piglio è esclusivamente demandato a velocità e direzione artistica, che non sarebbe neanche male se questo non fosse un gioco open world.

Certo, la città è davvero disseminata di collezionabili, e gode di un buon livello di interazione ambientale, così come di piccoli eventi secondari da completare, ma in fin dei conti è tutto stato già visto, e quello a cui si assiste è uno schema che, partendo proprio da Burnout Paradise, ovvero il più memorabile precursore del genere “corse open world”, sa oggi un po' di stantio e già visto, tanto da non permettere a questo Unbound di spiccare il volo il che, permettetemelo, fa anche un po' specie considerando che parliamo di Criterion da cui, almeno il sottoscritto, si sarebbe aspettato qualcosina in più.

Insomma: ok che non si può avere sempre una rivoluzione, come detto in apertura, ma trovare quelli che se si sono inventati le gare open world a ricopiare il loro stesso contesto open world, con parziali spruzzate del contesto open world altrui è, oggi come oggi, un po' stucchevole, specie se non hai alle spalle un qualcosa che spinga a voler rimanere ancorati all'esplorazione ed alla scoperta della mappa... o almeno qualcosa di cui ci freghi davvero qualcosa.

Questo, purtroppo finisce per ripercuotersi sull'intera esperienza ludica, entrando quasi in un loop  che, a volte, impedisce di godere al titolo per sessioni particolarmente lunghe, pena una certa noia.  Si parte dal garage, si sceglie una gara, la si raggiunge, magari si scappa dalla polizia e si passa alla successiva. Con anche lo smacco di dover, non di rado, correre sulle stesse piste già viste qualche  minuto prima, senza alcuna variazione, o semmai con variazioni davvero minime, sia perché ce lo chiede il gioco, sia perché i soldi ottenuti dalle gare, specie all'inizio, sono pochi, e davvero insufficienti a progredire velocemente nell'avanzamento alla vettura successiva.

Certo, più si è abili più il denaro utile sarà raccolto velocemente, magari saltandosi qualche corsa in vista del main event settimanale, ma il punto è che un gioco simile non può affidare la propria curva di divertimento ad un sistema che, senza troppi fronzoli, fornisce al giocatore ben poche variazioni, specie se poi quelle variazioni sono, in sintesi, dei cartelloni da sfondare o dei pezzi di street art da collezionare.

L'auto dei sogni

Ad essere, per fortuna, tutto fuorché noiosa è invece l'intera serie di opzioni utili alla personalizzazione della propria macchina e qui, indubbiamente, il gioco dà quasi il meglio di sé. Per quanto, infatti, il sistema sia pigramente ricopiato dal precedente Heat (anche i menù sono identici...), il sistema di personalizzazione dei veicoli è ampio e appagante, e vi permetterà di mettere mano alla vostra auto sotto una moltitudine di aspetti, che non vanno solo ad intaccare le prestazioni dell'auto ma, ovviamente, vi permetteranno di modificarne fortemente l'aspetto.

In un contesto di un titolo in cui la direzione artistica è forte, direzionata e precisa, c'era il rischio che le personalizzazioni delle auto passassero un po' in secondo piano, ma non è così e, anzi, oggi come oggi, proprio in virtù dell'effettistica che adorna il gioco, sembra si sia obbligati ad esagerare, ed a fare di più, come dimostra proprio il ricco editor di personalizzazione che, in soldoni, vi permetterà di creare il vostro bolide come preferite, potendo scegliere tra accessori, kit, spoiler, wrap di ogni tipo ed anche dettagli minuscoli e secondari come targa, luci, forma dei retrovisori o colore dei vetri!

Tutto quello che si può modificare nella realtà, si può modificare anche qui, con anche la possibilità di condividere le proprie creazioni con la community, affinché siano scaricate da  altri giocatori o, perché no, affinché le scarichiate voi, qualora siate pigri e non abbiate voglia di spendere ore ed ore nell'editor di gioco.

Bro che stile, bro!

Piccola chiosa  per gli avatar di gioco che, giacché parliamo di personalizzazioni, sono anch'essi ampiamente “customizzabili”. Lo stile grafico che li caratterizza è indovinato e piacevole, ed anche se le opzioni per la modifica delle caratteristiche fisiche non sono poi molte, il buon campionario di capi d'abbigliamento (Versace, Adidas, Napapijri, sono solo alcuni dei nomi che troverete qui) permette una personalizzazione abbastanza appagante a patto che, ovviamente, siate disposti a spendere qualche centone in vestiti e non in parti per la vostra vettura.

La cosa che però ci piace di questi avatar, oltre alla loro “asciuttezza” che va in controtendenza ai proclama di realismo inseguiti dal settore, è che oltre a personalità e carattere sono perfettamente immersi nel loro contesto, cosa di cui vi renderete conto anche grazie all'ottimo e coinvolgente doppiaggio italiano. Certo, ci sono stereotipi, e qualcuno ha visto davvero troppe volte la serie Fast & Furious, ma nel complesso funzionano, ed è anche piacevole sentirli punzecchiarsi nel bel mezzo delle corse, per quanto qualche linea di dialogo in più non avrebbe guastato.

Discorso agli antipodi per la polizia che, pur godendo di veicoli abbastanza caratterizzati, pecca sotto ogni altro punto di vista. Non che si parli di abbigliamento certo, ma quanto meno di “carattere” e intelligenza artificiale. Se i piloti del gioco, infatti, sono quanto meno abili nel metterci i bastoni tra le ruote, oltre nel perdersi in slang e dileggi, la polizia di Lakeshore è invece quanto mai povera, sia di linee di dialogo interessanti che di capacità di starci alle calcagna.

Salvo che non si venga inseguiti da un esercito, e dunque non si sia portato lo stato di allerta ai massimi livelli, le pattuglie sono sempre goffe e per nulla opprimento. Anche nel pieno delle gare rappresentano una seccatura solo ideologica e mai, realmente, pratica. L'IA andrebbe seriamente rivista, e portata almeno a livello dei piloti della competizione, anche se capiamo che, magari, non si è voluto spingere troppo su questo versante, onde evitare la frustrazione per i giocatori che amano gironzolare per la città. Mi sta bene che non si voglia frustrare i giocatori ma, insomma, se la volante davanti a me continua a schiantarsi da sola nel guard rail, magari una messa a punto gliela darei.

Meglio offline...

Prima di concludere un breve appunto sulla modalità online, che è presente e permette di gareggiare con un massimo di 16 giocatori su server che ripropongono l'intera mappa della città. Anzitutto va detto che una cosa un po' sgradevole, se non proprio insensata, è stata quella di dividere le esperienze online e offline. Si gioca, in sostanza, con due avatar diversi, che hanno macchine e portafogli diversi. Una cosa che non ha poi molto senso in un titolo che, come vi abbiamo detto, non solo vi farà spendere un mucchio di ore a fare corse molto simili per questioni di mero denaro, ma che vi impegnerà anche moltissime ore sul tuning e la personalizzazione.

Il gioco online, inoltre, è quanto di più pigro si potrebbe prospettare in un titolo simile. La mappa è solo diurna, sono assenti gli eventi notturni, non c'è alcuna volante della polizia e persino le gare sono le medesime del gioco offline. In sintesi a meno che non abbiate il bisogno di competere per forza contro altri giocatori in giro per il mondo, per mere questioni di ego, non c'è davvero poi molto altro da dire.

Sarebbe stato meglio, a giudizio di chi vi scrive, se quanto meno si fosse potuto utilizzare lo stesso avatar, con server limitati dal matchmaking e tarati sul valore della nostra vettura (un valore per altro presente nel sistema di gioco, e chiaramente espresso in punti, che dividono le auto in classi). Così come proposto il gioco online sembra che ci sia perché è costume per i titoli moderni, e non certo per la volontà di offrire un'esperienza davvero arricchente per l'utente.

Voto Recensione di Need For Speed Unbound - PS5


7

Voto Finale

Il Verdetto di Tom's Hardware

Pro

  • Direzione artistica eccezionale

  • Gli effetti animati aggiungono eleganza e stile alle vetture

  • Veloce, fluido e galvanizzante

  • Ottima personalizzazione delle auto e dei piloti

  • Ricco di attività secondarie ma...

Contro

  • Praticamente è Need for Speed Heat

  • IA della polizia inesistente

  • Mappa di gioco ampia, ma per nulla memorabile

  • Modalità multiplayer del tutto accessoria

  • ...tracciati e incarichi tendono a ripetersi un po' troppo

Commento

Need For Speed Unbound è indubbiamente un buon gioco, ma è triste constatare che avrebbe potuto essere di più. Criterion si affida, forse un po' pigramente, al seminato di Ghost Games, rimaneggiando quello che è lo scheletro (e poco più) del precedente Heat. Dopo 3 anni di sviluppo il risultato è quasi inspiegabile, ed anzi dispiace che un team come Criterion, che almeno un paio di volte ha riscritto le regole del gioco, oggi si trovi nella condizione di ricalcare il lavoro di chi lo ha preceduto (oltre che di rievocare parte del suo passato). Se Unbound avesse voluto osare di più, state pur certi che avremmo avuto per le mani un capolavoro. Così come ci è stato presentato questo Need For Speed è sì un buon titolo, ma non sarà quel salto epocale che molti si auspicavano dopo qualche anno di capitoli belli sì, ma mai memorabili. Forte di una direzione artistica grandiosa, e di alcune scelte che, per quanto meramente estetiche, sono già sufficienti a ri-galvanizzare i fan, Unbound aveva le carte in tavola per essere una pietra miliare per la serie, al pari di uscite rimaste scolpite nel cuore dei fan come il leggendario Underground. Insomma, bene Criterion, ma non benissimo.

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