Apple, privacy e giustizia USA: a chi date ragione?

Chi ha ragione e chi ha torto nella vicenda che oppone Apple alla magistratura USA su privacy e crittografia? Ne abbiamo discusso in redazione e abbiamo scoperto di avere pareri differenti. Ecco perché abbiamo deciso di scrivere un editoriale a più voci.

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a cura di Redazione Tom's Hardware

Ha ragione Apple oppure il giudice federale che ha ordinato alla multinazionale di sbloccare l'iPhone del responsabile della strage di San Bernardino? In redazione ci siamo interrogati a lungo su questa vicenda così delicata, in cui sono in gioco da una parte il diritto alla privacy (e la tutela di un segreto industriale) e dall'altra le esigenze di giustizia. I pareri sono discordanti e così abbiamo deciso di proporvi un editoriale collettivo, in cui ognuno di noi dichiara le sue ragioni. 

apple backdoor

Pino Brunothumbs down

No, Apple non mi convince. Sono sempre stato un sostenitore del diritto alla privacy contro le intrusioni non autorizzate dei servizi segreti – il caso Snowden docet – ma questa volta la richiesta di sbloccare l'iPhone del terrorista che ha ucciso 14 persone e ferito altre 22 ha avuto un corretto iter giudiziario. L'FBI ha interpellato il procuratore e la pubblica accusa ha chiesto il parere di un giudice federale.

In uno stato di diritto si fa così. Che poi Apple voglia difendere il suo segreto industriale e Google sia d'accordo con Tim Cook perché ha la stessa esigenza è comprensibile ma non condivisibile. L'iPhone del terrorista – e solo quello, non tutti gli iPhone – va sbloccato per far proseguire le indagini. Gli interessi di Apple, Google e delle altre multinazionali non possono prevalere su quelli dei cittadini.

Roberto Buonannothumbs up

La scelta di Apple è corretta e condivisibile. La privacy del cittadino, prima che del cliente, deve andare sempre al primo posto. La democrazia deve vincere sul terrorismo anche sul piano del mantenimento dei diritti acquisiti. La privacy è il tema chiave dell'era digitale, ricordiamocelo.

Andrea Ferrariothumbs up

Indubbiamente Apple sta cercando di usare la situazione a suo vantaggio, toccando il cuore dei cittadini e innalzandosi a difensore dei deboli. Qualcosa che funziona sempre o quasi, e che potrebbe addirittura trasformarsi in un miglioramento della sua immagine, guadagnando nuovi seguaci (la risposta di Google va nella stessa direzione). Qualsiasi sia l'approccio, genuino o meno nelle parole di Cook, non posso che concordare sulla linea intrapresa.

È lecito voler proteggere le proprie proprietà intellettuali e il business, e finché davanti a situazioni di questo tipo l'azienda si mette a disposizione per aprire le porte e aiutare le autorità - senza però consegnare le chiavi - non vedo la necessità di richieste più pretenziose.

Dario d'Eliathumbs up

La posizione di Tim Cook è netta e se fossi nei suoi panni farei lo stesso. Apple è un'azienda che non guadagna sul mercato della "privacy" quindi diventarne paladina è un valore aggiunto per il marketing dei suoi servizi e prodotti. Dopodiché non vuole fare eccezioni sulla sicurezza. Il (suo) messaggio è che la qualità della sua protezione è così alta che neanche il Governo o gli inquirenti possono violarla.

Ogni responsabilità ricade sui possessori dei dispositivi. E se un giudice o la polizia vuole indagare che lo faccia pure, confrontandosi però con alcuni limiti. Gli stessi che esistono in un normale interrogatorio. Apple non vuole scendere a compromessi, che si tratti di strategie commerciali o segreti industriali. Tollerare una "backdoor" sarebbe un costo di immagine incalcolabile. Concordo. Da cittadino però mi gela la stomaco sapere che un'indagine su gravi reati potrebbe subire duri contraccolpi. E allora che la politica intervenga. Apple ha il diritto di decidere su quel che è meglio per sé stessa e i suoi azionisti. I Governi hanno la responsabilità di proteggere i nostri diritti.

Manolo De Agostinithumbs medium

La vicenda è complessa e come tale il mio parere potrebbe evolvere nel corso del tempo, ma in questo momento non riesco a dare ragione a una o l'altra parte in modo netto. Il primo tema riguarda la fiducia nell'FBI: chi ci dice che la creazione di una backdoor non sia poi usata per altro? Il caso del datagate e lo spionaggio di massa non va dimenticato. Allo stesso tempo come non si può essere d'accordo con l'FBI che vuole scovare quanti più dati possibili per combattere il terrorismo?

Anche la posizione di Apple è legittima - ovviamente se non si hanno dei dubbi sul suo operato. Creare una backdoor esporrebbe gli utenti a problemi di privacy e possibile hacking. Ammorbidire la crittografia potrebbe fare più danni che benefici. A chi dare quindi ragione? Tenderei a darla ad Apple - che, ovviamente, gioca sulla situazione facendo passare il messaggio che l'iPhone è un prodotto a prova di FBI, furbastri - ma allo stesso tempo mi riservo del tempo per leggere più opinioni e interpretazioni al fine di arrivare a una posizione formata in merito.

Elena Re Garbagnatithumbs up

Anche se quella di Apple è una spudorata mossa di marketing, per una volta sto dalla sua parte. Prima del datagate avrei appoggiato l'FBI senza riserve. Oggi reputo che assicurare i terroristi alla giustizia sia prioritario e doveroso, tuttavia i programmi di intercettazione dell'NSA hanno messo in scacco la fiducia verso i governi, in primis quello statunitense.

Alla luce di quanto appreso con il caso Snowden, nessuno a mio avviso può oggi garantire oltre ogni ragionevole dubbio che una backdoor fatta da Apple per l'attentato di San Bernardino non verrà usata domani per origliare le mie telefonate o leggere di frodo le mie mail. La situazione è imbarazzante per tutte le parti in causa, ma purtroppo è una delle naturali conseguenze di una politica sconsiderata e irrispettosa dei cittadini, proseguita per anni.

Valerio Porcuthumbs up

Su questa vicenda sto con Apple senza mezzi termini, e con tutte le società che hanno preso la stessa posizione. Per loro è una questione di immagine, di marketing, questo è fin troppo ovvio. Ma resta il fatto che, come società, dobbiamo scegliere: da una parte fondamenta fatte di libertà individuali e rispetto della persona, con uno sguardo al futuro.

Dall'altra politiche di "sicurezza" che sfociano nello stato di polizia, nella sorveglianza globale, in governi e autorità che alimentano la paura; ma io rifiuto di vivere nella paura, in quella paura che alimenta allarmismi e risposte violente. E se si parla di crittografia, una via di mezzo non c'è: scelgo il rispetto di tutti i cittadini e di tutte le libertà individuali.

Giancarlo Calzettathumbs down

Si può davvero liquidare la richiesta di indagare su di un pluriassassino con la scusa che "bisogna proteggere la privacy dei nostri clienti"? Il diritto alla privacy è davvero più importante di quello alla giustizia? Tanti se messi in fila (se sviluppiamo, se ci scappa di mano, se finisce in mani sbagliate) sono davvero una risposta appropriata da dare a chi vuole sapere chi è perché ha ucciso i suoi cari? La sorveglianza di massa è una cosa, ma una indagine legittima è tutta un'altra.

Roberto Cacciathumbs up

Nonostante alcune mosse di Apple possano essere opinabili, o eticamente discutibili, in questo caso specifico do ragione all'azienda della mela. Ciò che chiedono i giudici potrebbe compromettere la sicurezza di un dispositivo usato da milioni di utenti tutti i giorni, e mettere a repentaglio i dati sensibili e la privacy di cittadini che con il terrorismo non hanno nulla a che fare. Dare ragione ai giudici significherebbe fare un passo indietro a livello di libertà personale e di diritti umani.

Elena Toccithumbs up

Credo nelle buone intenzioni dell'ente investigativo di polizia federale degli Stati Uniti e l'ho appoggiato in altre occasioni, ma chiedere ad Apple di mettere in piedi una backdoor per i suoi prodotti non credo sia giusto. Questa istanza può minare gravemente la libertà e la privacy dei cittadini.

Alessandro Creathumbs down

La questione appare molto complessa, non solo da un punto di vista tecnico ma anche etico. Sostanzialmente non si può non essere d'accordo quando si sostiene che restringere le libertà personali in nome di una maggior sicurezza sia sinonimo di resa e rinuncia dinanzi alle minacce da parte della nostra cultura che su questi valori si è fondata.

Tuttavia qui non sembra esserci in gioco questo aspetto ma molto più banalmente la possibilità di indagare più a fondo su chi un crimine è già assodato che l'abbia commesso. La posizione espressa da Apple, Google e altre aziende, benché comprensibilmente volta a difendere le proprietà intellettuali e a trasmettere un'immagine che incontra il plauso della maggior parte dei consumatori sembra quindi forse un po' forzata e pretestuosa.