Dal 1° ottobre 2025 scatterà un provvedimento storico per la mobilità urbana del Nord Italia: il divieto di circolazione per tutte le auto diesel Euro 5, immatricolate tra il 2011 e il 2015, nelle città con popolazione superiore a 30.000 abitanti. La misura, prevista dal decreto ministeriale 121/2023 e recepita dalle Regioni del Bacino Padano, coinvolgerà più di un milione di veicoli e avrà ripercussioni profonde su mobilità, economia e qualità dell’aria. L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre in modo significativo le emissioni di ossidi di azoto (NOx) e particolato (PM10 e PM2,5), contrastando il persistere dei superamenti dei limiti imposti dalla normativa europea sulla qualità dell’aria.
La scelta di intervenire proprio sulle auto diesel Euro 5 non è casuale: si tratta di veicoli ancora molto diffusi nel parco circolante italiano, responsabili di emissioni nocive superiori ai livelli di guardia, soprattutto in ambito urbano. L’Italia, in particolare le regioni della Pianura Padana, è tra le aree europee con maggiore criticità per la qualità dell’aria, tanto da essere oggetto di procedure di infrazione da parte della Commissione UE.
Di conseguenza, il Governo, d’intesa con le Regioni, ha varato un pacchetto di misure che prevede divieti progressivi, incentivi al rinnovo, sistemi di deroga e un rafforzamento delle Zone a Traffico Limitato (ZTL) e delle Low Emission Zone (LEZ).
Qual è il contesto normativo?
Il cuore della normativa che introduce il blocco degli Euro 5 è il decreto ministeriale 121 del 22 novembre 2023, emanato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in attuazione dell’articolo 6 del Codice della Strada. Il provvedimento incarica le Regioni del Bacino Padano (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna) di adottare misure locali per garantire il rispetto dei limiti di qualità dell’aria, fissati a 40 µg/m³ per il PM10 e 200 µg/m³ come valore massimo giornaliero da non superare più di 35 volte l’anno. Nel corso degli ultimi anni, tali limiti sono stati superati più volte, esponendo lo Stato italiano a procedure di infrazione da parte della Corte di Giustizia UE.
Le misure adottate devono essere “di immediata efficacia e carattere permanente”, secondo le indicazioni del decreto. Per questo motivo le Regioni hanno scelto di concentrare l’azione sui veicoli diesel, che rappresentano una fonte significativa di ossidi di azoto e particolato. In particolare, le auto Euro 5, pur essendo conformi alle normative europee vigenti al momento della loro immatricolazione, emettono in condizioni reali livelli di NOx spesso tripli rispetto a quelli omologati in laboratorio. Inoltre, in presenza di traffico intenso e condizioni meteorologiche sfavorevoli (temperature basse e assenza di vento), l’accumulo di inquinanti alle basse quote si traduce in picchi di concentrazione che mettono a rischio la salute pubblica.
Perché colpire gli Euro 5?
Secondo i dati più recenti dell’ACI, l’età media delle automobili in circolazione in Italia supera i 13 anni, con un parco che conta oltre 18 milioni di veicoli Euro 4 o inferiori, pari al 44,5 % del totale. Gli Euro 5, immatricolati tra il 2011 e il 2015, costituiscono circa il 20 % del parco auto nazionale. In termini assoluti si parla di oltre 1,2 milioni di veicoli soggetti al divieto, concentrati soprattutto nelle aree urbane del Nord, per via della maggiore penetrazione del diesel nel mercato italiano.
La Lombardia è la regione più interessata, con stime che indicano circa 400.000 auto Euro 5 nei suoi centri urbani; seguono Veneto e Piemonte, con circa 350.000 veicoli ciascuna. Milano, Torino, Brescia, Bergamo, Verona, Padova e Venezia rientrano nelle città che dovranno applicare il blocco. Questo significa che, ogni giorno feriale, oltre un milione di cittadini si troveranno a dover ripensare la loro mobilità, tra smart working, car pooling, mezzi pubblici e possibili investimenti per il rinnovo del veicolo.
Come sarà il calendario delle restrizioni?
Le limitazioni entreranno in vigore dal 1° ottobre 2025 con un blocco operativo nei giorni feriali (dal lunedì al venerdì) nella fascia oraria 8:30‑18:30. Le giornate prefestive e festive resteranno escluse, così come il fine settimana. Dal 1° settembre 2026 l’orario di interdizione verrà esteso fino alle ore 20:00, mentre a partire dal 2027 le Regioni si riservano la facoltà di innalzare ulteriormente il numero di giorni soggetti a divieto, fino a includere eventuali fasi di emergenza, qualora i livelli di PM10 tornassero a superare i limiti di legge.
Oltre ai blocchi temporali, è prevista la possibilità di restrizioni “a bolle” per quartieri od aree specifiche in caso di evidenti criticità locali. In situazioni di elevata concentrazione di inquinanti – accertate tramite le reti di monitoraggio ARPA – i Comuni potranno anticipare l’inizio del blocco, estenderlo al sabato o inserire fasce orarie aggiuntive in fascia serale. L’intento è quello di rendere le misure flessibili e tempestive, aumentando l’efficacia nel contrastare le ondate di inquinamento.
Esistono alternative al blocco?
Per mitigare l’impatto sociale del divieto, la Regione Lombardia ha potenziato il sistema MoVe‑In, inizialmente previsto per le auto Euro 4, estendendolo alle Euro 5. Si tratta di una deroga “a consumo chilometrico”: il cittadino installa una scatola nera con GPS che monitora i chilometri percorsi all’interno delle ZTL e delle LEZ. Al superamento di una soglia annuale – differenziata per ciascuna area urbana – il divieto di circolare si applica automaticamente, senza attendere gli orari standard.
Il servizio prevede un canone fisso annuale e un numero di chilometri incluso; eventuali chilometri extra possono essere acquistati in pacchetti aggiuntivi. Inoltre, sono previste soglie maggiorate per i veicoli che percorrono tratte extraurbane o autostradali, incentivando spostamenti a lunga percorrenza e un uso più efficiente delle auto in ambito urbano. Il MoVe‑In è stato pensato per famiglie, professionisti e piccole imprese che non possono rinunciare all’auto, garantendo un margine di flessibilità in un quadro di restrizioni ben più rigido.
Le ZTL e le LEZ funzionano davvero?
L’esperienza di Milano con Area C (introdotta nel 2012) e Area B (dal 2019) ha mostrato come le ZTL possano ridurre sensibilmente le emissioni urbane. Nei primi quattro anni di Area C è stato registrato un calo del 19 % delle concentrazioni di PM10 e del 10 % di NOx, accompagnato da una riduzione del 22 % delle emissioni di CO₂. Area B, più estesa e con regole di accesso ancora più stringenti, ha ulteriormente abbattuto le polveri sottili, dimostrando l’efficacia di misure integrate su un intero bacino urbano.
A livello europeo spicca Londra con la sua Ultra Low Emission Zone (ULEZ), estesa dal 2021 all’intero territorio della Greater London Authority. I dati di Transport for London mostrano una riduzione del 27 % delle concentrazioni di NO₂ nel 2024 rispetto al 2019, insieme a un progressivo rinnovo del parco veicolare verso motori Euro 6 e veicoli elettrici. Anche città come Birmingham, Bath e Glasgow hanno ottenuto risultati analoghi, con cali compresi tra il 13 % e il 26 % delle principali polveri sottili grazie all’introduzione di LEZ e divieti specifici per i diesel più obsoleti.
Questi esempi dimostrano che, se accompagnate da un’offerta di trasporto pubblico efficiente e da incentivi all’elettrificazione, le misure sulle ZTL e LEZ portano a benefici tangibili in termini di salute pubblica e qualità dell’aria, pur richiedendo un periodo di adattamento per cittadini e imprese.
Quali sono le critiche e le opposizioni politiche?
Non sono mancate le reazioni contrarie. Sul fronte politico, alcuni esponenti di governo e delle opposizioni hanno definito il blocco “una misura punitiva contro le famiglie” e “un freno allo sviluppo economico”. Si parla di possibile emendamento al decreto infrastrutture per sospendere i divieti fino al 2027, mettendo in dubbio la compatibilità tra tutela ambientale e diritto alla mobilità. Il problema denunciato riguarda soprattutto le fasce di reddito medio‑basse, che spesso possiedono auto di seconda mano e difficilmente possono permettersi un veicolo Euro 6 o elettrico.
Anche le piccole imprese, operatori di artigianato e servizi porta a porta, temono di subire gravi conseguenze economiche. La spesa per adeguarsi alle normative – installazione del dispositivo MoVe‑In, acquisto di addizionali pacchetti chilometrici, rinnovo del veicolo – può rappresentare un costo non sostenibile senza adeguati incentivi statali e regionali. Tali critiche sollevano il tema della giustizia sociale nelle politiche ambientali e l’importanza di un pacchetto di supporto economico mirato.
Quali saranno le conseguenze economiche e sociali?
Il blocco degli Euro 5 è destinato a innescare un effetto domino sul mercato dell’auto. Da un lato, è previsto un aumento delle vendite di modelli Euro 6 e Euro 7, con una crescita delle immatricolazioni di veicoli ibridi ed elettrici spinta anche dagli incentivi statali e regionali. Dall’altro, molti proprietari di Euro 5 potrebbero rivolgersi al mercato dell’usato recente, con un potenziale aumento della domanda di veicoli fino a 10 anni di vita, di fatto spostando il problema delle emissioni su vetture potenzialmente comunque inquinanti.
Secondo uno studio di AutoScout24, l’accesso al credito rimane il principale ostacolo al ricambio del parco veicoli: le condizioni economiche difficili e l’inflazione hanno ridotto il potere d’acquisto delle famiglie, rallentando il turnover naturale delle auto. La conseguenza rischia di essere un aumento dei prezzi nel mercato dell’usato recente e un allungamento dell’età media dei veicoli tra chi non può rinnovare, con effetti negativi sulla sicurezza stradale oltre che sull’ambiente.
Dal punto di vista sociale, l’impatto più significativo riguarda la mobilità delle fasce vulnerabili: anziani senza mezzi alternativi, lavoratori con turni non compatibili con i servizi di trasporto pubblico e cittadini dei comuni limitrofi che trascorrono la giornata in città. Sarà quindi fondamentale predisporre soluzioni di mobilità integrata, come servizi di ride sharing convenzionati, promozione del car pooling, navette dedicate per lavoratori su turni e potenziamento delle linee serali e festive.
Come integrare blocchi e sostenibilità?
Il successo delle restrizioni dipenderà dalla capacità di costruire un ecosistema di mobilità sostenibile che vada oltre il semplice divieto. I Comuni, le Province e le Regioni dovranno investire in trasporto pubblico collettivo: tramvie, metropolitane e autobus elettrici o a idrogeno, con frequenze tali da garantire un servizio efficiente rispetto all’auto privata. Contemporaneamente, le reti ciclabili devono diventare una vera alternativa per piccoli spostamenti, con corsie protette, postazioni di bikesharing e parcheggi per biciclette al sicuro.
Gli incentivi all’elettrificazione – bonus per l’acquisto di auto elettriche, colonnine di ricarica diffusa, partenariati pubblico‑privati per infrastrutture di ricarica ultraveloce – rappresentano l’altro fronte imprescindibile. Solo così sarà possibile accompagnare i cittadini verso una mobilità più pulita, tutelando chi oggi non può permettersi un veicolo di ultima generazione e offrendo opzioni pratiche e sostenibili.
Il blocco dei diesel Euro 5 è una delle misure più ambiziose del nostro Paese per contrastare l’inquinamento urbano. Se correttamente accompagnato da piani di trasporto pubblico potenziato, incentivi all’elettrificazione e soluzioni di flessibilità come il MoVe‑In, potrà rappresentare un volano per la transizione verso città più vivibili e salubri. Tuttavia, l’equilibrio fra tutela ambientale e sostenibilità sociale rimane la principale sfida: solo un approccio integrato potrà rendere effettiva la riduzione delle emissioni senza lasciare indietro i cittadini. La vera misura del successo sarà non tanto lo stop alle auto inquinanti, ma la qualità dell’aria che respireremo domani.