Basta un nanofilo per una batteria agli ioni di litio

Un dispositivo composto da migliaia di nanofili potrebbe essere usato come fonte di energia ricaricabile per le future generazioni di prodotti nanoelettronici.

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a cura di Manolo De Agostini

Un'intera batteria agli ioni di litio in un singolo nanofilo. È ciò che è riuscito a fare il professor Pulickel Ajayan della Rice University. Si tratta ancora di una soluzione rudimentale, di un semplice dispositivo che immagazzina energia, ma se la ricerca sarà finanziata tra diversi decenni potremmo avere prodotti con batterie quasi invisibili.

I ricercatori del Rice Lab hanno creato due versioni di quella che hanno definito una soluzione ibrida tra batteria e supercondensatore. La prima - "a sandwich" - è dotata di un anodo in nickel/stagno, un elettrolita formato da ossido di polietilene e un catodo a strati formato da polianilina. 

È stata realizzata per dimostrare che gli ioni di litio sono in grado di muoversi in modo più efficiente dall'anodo all'elettrolita e poi al catodo, che conserva gli ioni in volumi e dà al dispositivo l'abilità di caricarsi e scaricarsi rapidamente.

La seconda versione integra le medesime capacità, ma in un singolo nanofilo. I ricercatori sono riusciti a inserire migliaia di nanofili, ognuno con un'ampiezza di 150 nanometri, all'interno di un'area di un centimetro.

Da diversi anni il professor Ajayan e il suo team lavorano sulla creazione di dispositivi basati su un solo nanofilo. Lo scorso dicembre i ricercatori hanno realizzato una nanobatteria tridimensionale.

Durante lo sviluppo di quel progetto sono riusciti a inserire (in verticale) insiemi di nanofili in nickel-stagno nel polimetilmetacrilato (PMMA, Plexiglas), materiale che ha svolto il ruolo di elettrolita e isolante. I ricercatori hanno "fatto crescere" nanofili attraverso un processo di elettrodeposizione in uno stampo di ossido di alluminio anodizzato (allumina) sopra un substrato in rame.

Hanno ampliato i pori di questo stampo grazie all'incisione chimica, in modo da creare un gap tra i fili e l'ossido di alluminio, e poi hanno versato il rivestimento di PMMA in modo stipare i fili in una guaina. Un processo di lavaggio chimico ha rimosso lo stampo e lasciato i nanofili all'interno dell'elettrolita.

In quella batteria, l'anodo in nickel-stagno era integrato, ma l'anodo doveva essere collegato dall'esterno. Secondo il professor Ajayan il nuovo processo introduce il catodo all'interno dei nanofili. Per arrivare a questo traguardo i ricercatori hanno usato l'ossido di polietilene come un elettrolita simile al "gel". Questa soluzione ha archiviato gli ioni di litio ed è servita come isolante elettrico tra i nanofili.

Un ibrido batteria/supercondensatore contiene migliaia di nanofili, ognuno dei quali è una batteria completamente funzionante.

Dopo molte prove ed errori, i ricercatori hanno stabilito che il catodo giusto era un polimero facilmente sintetizzabile conosciuto come polianilina (PANI). Coprendo i pori in ossido di alluminio allargati con ossido di polietilene sono riusciti a rivestire gli interni, richiudendo gli anodi e lasciando i tubi in cima in modo che i catodi di polianilina potessero essere coperti. Infine, ha completato il circuito un collettore di corrente in alluminio collocato sopra l'insieme di nanofili.

"L'idea è creare dispositivi con nanofili che archiviano energia con una distanza molto contenuta tra gli elettrodi", ha dichiarato Arava Leela Mohana Reddy, ricercatore della Rice University. "Questo influenza il comportamento elettrochimico del dispositivo. I nostri dispositivi potrebbero essere strumenti molto utili per sondare i fenomeni in nanoscala".

Le batterie sperimentali del team sono alte circa 50 micron, il diametro di un capello umano, quasi invisibili. Teoricamente i dispositivi di archiviazione energetica su nanofili possono essere lunghi e larghi fin quanto consente lo stampo, e questo li rende scalabili.

I dispositivi in nanofili hanno mostrato una buona capacità; i ricercatori stanno modificando i materiali per aumentare la loro capacità di caricarsi e scaricarsi ripetutamente, caratteristica che scema dopo circa 20 cicli.

"Molto che può essere fatto in termini di prestazioni, ottimizzando il polimero separatore, il suo spessore e vagliando differenti sistemi di elettrodi", ha concluso Sanketh Gowda, ricercatore del Rice Lab.