Caso Vivi Down: Google non può adottare filtri

La sentenza di appello del Caso Vivi Down conferma l'impossibilità per Google di adottare filtri. Non solo vi sono limiti di carattere tecnico ma anche rischi per il diritto alla libera espressione.

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a cura di Dario D'Elia

La sentenza del caso Vivi Down, che ha portato all'assoluzione dei dirigenti di Google, farà giurisprudenza sulle responsabilità dei service provider. La storia è risaputa: nel 2006 un gruppo di studenti decide di filmare insulti e vessazioni nei confronti di un disabile che frequenta lo stesso istituto tecnico. Dopo aver postato il filmato su Google Video, poi diventato YouTube, esplode il caso e si muove la Procura di Milano.

Nel primo processo del 2010 tre manager di Google vengono condannati a sei mesi di reclusione per violazione delle norme sulla privacy. A dicembre 2012 l'appello annulla la sentenza di primo grado e i manager vengono assolti perché "il fatto non sussiste".

Nessuna responsabilità per Google

''Assoluta soddisfazione, ma nessuna sorpresa; onestamente la condanna si basava sul nulla'', aveva commentato l'avvocato Giulia Bongiorno. "È una giusta conseguenza (perché) i controlli ci sono, ma non competono a Google […] non è stato riconosciuto cioè una sorta di maxi controllo, non c'è questo ulteriore obbligo, come per esempio per un direttore di un giornale".

Grande curiosità quindi per la sentenza, che è stata resa nota ieri pomeriggio. "Demandare a un Internet provider un dovere-potere di verifica preventiva appare una scelta da valutare con particolare attenzione in quanto non scevra da rischi poiché potrebbe finire per collidere contro forme di libera manifestazione del pensiero", si legge nel documento ufficiale.

"Va esclusa per il prestatore di servizi che fornisca hosting attivo la possibilità ipso facto di procedere a una efficace verifica preventiva di tutto il materiale immesso dagli utenti [...] tale comportamento non può essere ritenuto doveroso in quanto non esigibile per la complessità tecnica di un controllo automatico".

La questione di fondo è che l'adozione di un eventuale filtro preventivo, considerata la massa critica di dati, potrebbe incidere negativamente sulla stessa funzionalità della piattaforma.