L’esplosione del mobile in Italia ha dato una spinta all’uso di Internet, ma sul tema sicurezza il nostro paese è ancora in ritardo. A dirlo è uno studio illustrato la scorsa settimana a Milano in un incontro promosso da Affinion International e dalla American Chamber of Commerce in Italy.
I dati dell’Osservatorio Information & Security del Politecnico di Milano descrivono un paese sempre più connesso, in cui il settore dell’Information Technology vive (finalmente) una crescita a doppia cifra.

Una manna per le aziende del settore, che scontano però un ritardo clamoroso nell’adeguarsi sotto il profilo della sicurezza. I numeri sono impietosi: nel nostro paese gli investimenti nella sicurezza informatica segnano un misero +8%, mentre i dati relativi al cyber-crimine (+30%) parlano di una vera emergenza.
Il 2015 in Italia ha registrato 1012 incidenti informatici classificati come “gravi”. Nel mirino dei pirati informatici ci sono i servizi online e basati su cloud (+82% di attacchi) e le infrastrutture sensibili (+154% di attacchi) ma anche le minacce “convenzionali” sono in costante crescita.
Se il phishing ha segnato una crescita del 50%, la parte del leone la fanno i ransomware, la cui diffusione nel nostro paese ha raggiunto addirittura un +135%, un rischio a cui sarebbero esposte il 37% delle aziende.

Fatti i conti, a fronte di 850 milioni di euro spesi per la cyber-security, il danno complessivo alle aziende provocato dagli attacchi online ammonterebbe a 9 miliardi di euro l’anno.
Pochi soldi investiti? Forse. Spulciando il rapporto dell’osservatorio, però, il dato che salta agli occhi è quello di una scarsa attenzione per gli aspetti più “caldi” della sicurezza.

Scarsa attenzione anche per la crittografia dei dati (solo il 36% la organizza) e per la gestione dei dati su social e Web, con il 31% delle aziende che se ne preoccupa.
Ancora più grave, solo il 48% delle aziende ha delle policy per la gestione dei device mobili. Tradotto: in oltre la metà delle imprese italiane i dati sensibili transitano allegramente sugli smartphone privati dei dipendenti.
Non stupisce, quindi, che le aziende indichino nell’accesso in mobilità alle informazioni (47%) e nella presenza di device mobili personali (33%) due delle principali vulnerabilità.

Il vero “buco nero” però riguarda la formazione degli utenti. A confermarlo è il fatto che le aziende intervistate imputino gli incidenti più che altro a “comportamenti inconsapevoli” (78%) o alla “distrazione delle persone” (56%) che operano al loro interno.