Dal Politecnico di Torino ecco la batteria solare flessibile, che si ricarica anche con la luce artificiale

Oggi vi parliamo di un progetto del Politecnico di Torino particolarmente interessante, soprattutto in prospettiva degli sviluppi a cui sta andando incontro il mercato di smartphone e indossabili: una batteria flessibile in grado di ricaricarsi con la luce, solare ma anche artificiale, e di adattarsi a superfici di forma diversa.

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a cura di Alessandro Crea

Una batteria flessibile in grado di ricaricarsi con la luce, solare ma anche artificiale: non è fantascienza, ma il progetto del Politecnico di Torino di cui vi parleremo oggi. Sostenuto come sempre grazie all'iniziativa POC (Proof Of Concept) – messa a punto dal Politecnico proprio per facilitare l'arrivo sul mercato delle idee più interessanti e promettenti – il progetto si prefigge di realizzare un dispositivo in grado di sfruttare la luce, sia naturale che artificiale, e di convertirla in energia elettrica, impiegando soluzioni simili a quelle attualmente in uso sia in campo alimentare ("coffe bags", buste per la conservazione sotto vuoto, etc.) che in quello delle batterie stesse ("pouch cells").

Punto di partenza è infatti proprio il brevetto che propone di utilizzare la tecnica di sigillatura termoplastica in vuoto per applicazioni fotovoltaiche, in particolare per la realizzazione di celle solari di tipo "dye sensitized" o di Grätzel, composte solitamente da due vetri conduttori che fungono da elettrodi, separati da un materiale attivo e da una soluzione elettrolitica, caratterizzate da un'efficienza particolarmente elevata anche sotto radiazione non diretta e illuminazione d'interni.

Il dispositivo finale che è stato realizzato è dunque un prototipo di tipo integrato, comprendendo al proprio interno sia la parte di raccolta, formata da una o più celle solari, che di stoccaggio dell'energia, sotto forma di un supercondensatore (particolare tipo di condensatore in grado di immagazzinare molta più carica elettrica rispetto ai normali condensatori), ottenendo così una specie di pila che si ricarica sotto l’azione della luce naturale o artificiale, e che grazie alla flessibilità può essere adattata a superfici di forma diversa.

Com'è facile intuire si tratta di una soluzione assai interessante, soprattutto in prospettiva dei futuri sviluppi nel settore mobile, dove saranno sempre più necessarie batterie in grado di ricaricarsi costantemente, evitando così di bloccare il dispositivo in ricarica e di non poterlo quindi utilizzare. Allo stesso tempo inoltre come già sapete, già da qualche anno le aziende stanno puntando su smartphone pieghevoli e nel prossimo futuro molti altri dispositivi come TV, tablet e indossabili sfrutteranno sempre più a fondo tale caratteristica, necessitando così non solo di display flessibili, ma anche di batterie pieghevoli e arrotolabili.

Il progetto vero e proprio, quello cioè finanziato attraverso il POC e che è servito per mettere a punto un prototipo su cui poi lavorare per arrivare alla produzione su scala industriale, ha avuto una durata di un anno e due mesi ed ha visto il coinvolgimento di un team formato da due docenti e due dottorandi del DISAT (Dipartimento Scienza Applicata e Tecnologia): la professoressa associata Elena Maria Tresso, in qualità di responsabile del progetto, il ricercatore Andrea Lamberti e i due dottorandi Alessandro Pedico e Roberto Speranza.

Nella sua fase iniziale dunque il progetto ha avuto lo scopo di adattare la tecnica della sigillatura sotto vuoto alla realizzazione di celle solari, introducendo una zona trasparente che consentisse alla radiazione solare di passare attraverso l'involucro esterno, raggiungendo il materiale semiconduttore in maniera tale da fotogenerare un flusso di elettroni in grado di attraversare il circuito esterno e compiere lavoro su di un carico.

Il team ha quindi anzitutto studiato ed ottimizzato i materiali da impiegare per gli elettrodi, che devono garantire sia la flessibilità che la trasparenza, utilizzando griglie metalliche in titanio o acciaio, quelli destinati a svolgere funzione di elettrolita, che devono garantire una buona tenuta e per i quali si sono impiegate membrane in fibra di vetro per evitare perdite di liquido e per separare gli elettrodi, e infine i materiali per la sigillatura, in questo caso principalmente PET, materiale polimerico con buone proprietà meccaniche e di tenuta.

"Sul lungo termine si pensa alla realizzazione di un sistema portatile di alimentazione o anche di un dispositivo integrabile in sistemi elettronici più o meno complessi per applicazioni nella elettronica indossabile e nella alimentazione a distanza di dispositivi quali sensori, sistemi di allarme e di controllo", ci ha poi spiegato la professoressa Tresso.