Elettronica organica stampata, ecco i progressi italiani

La stampa di circuiti elettronici organici su substrati potrebbe rappresentare il futuro. I costi sono bassissimi e i potenziali campi d'uso sterminati. E l'Italia potrebbe essere protagonista, ancora una volta, grazie al lavoro di tre ricercatori.

Avatar di Manolo De Agostini

a cura di Manolo De Agostini

"Non siamo certamente gli unici a farlo, ma che io sappia siamo i primi in Italia". Così Giorgio Dell'Erba, dottorando all'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), spiega a Tom's Hardware il suo lavoro sulla "organic printed electronics", ovvero la stampa di interi circuiti elettronici organici su diversi substrati, come la "plastica" (PET e PEN) o la carta, ma potenzialmente anche un guscio d'uovo.

Dell'Erba sta lavorando con il collega Andrea Perinot presso il Center for Nano Science and Technology dell'Istituto Italiano di Tecnologia a Milano - sotto la supervisione del Team Leader del "Printed and Molecular Electronics Group", Mario Caironi, grazie al dottorato di ricerca che Politecnico e IIT promuovono ogni anno in collaborazione.

Giorgio Dell'Erba e Andrea Perinot

Per stampare dispositivi e circuiti elettronici organici si prevede l'uso di "materiali polimerici conduttori, semiconduttori e dielettrici che possono essere processati da soluzione, cioè disciolti in un solvente, in modo da diventare inchiostri utilizzabili nelle stampanti. Dopo la stampa, quando il disegno del circuito è stato impresso sul substrato, è possibile riconvertirli allo stato solido facendone evaporare il solvente", spiega Dell'Erba. Il risultato è un foglio flessibile di plastica o carta munito di un circuito elettronico altrettanto flessibile.

La stessa tipologia di inchiostri funzionali può essere utilizzata in tutte quelle tecniche di stampa a bassissimo costo adottate per le arti grafiche (stampanti inkjet, flexografiche rotative, gravure, etc…). "Il costo per unità di area è almeno 10.000 volte inferiore rispetto all'elettronica classica", afferma il ricercatore. Dato che stiamo parlando di carbonio, questa elettronica è assolutamente green, riciclabile come la plastica. "Inoltre l'uso di processi a bassa temperatura (inferiori a 150°C o ambiente, ndr) consente un'enorme riduzione dell'energia usata per la produzione", aggiunge Dell'Erba.

I punti deboli? Le prestazioni. Nulla a che vedere con la tecnologia a silicio monocristallino usata per la produzione attuale. "Siamo allo stesso livello del silicio amorfo con cui viene prodotta l'elettronica per l'indirizzamento attivo di matrici e display (come gli AMOLED o le TV OLED). La principale limitazione è nella frequenza di lavoro dei transistor, con valori record per dispositivi all-printed intorno ai 10 MHz, ma che si attesta generalmente su valori molto inferiori (10-100 kHz)", spiega Dell'Erba.

"Con uno sviluppo mirato delle architetture dei transistor", afferma il ricercatore, "sarà possibile fare grandi progressi". Già oggi ci sono applicazioni concrete che gioverebbero enormemente da questo tipo di elettronica. Un potenziale campo applicativo è quello dei display flessibili - non solo curvi, ma proprio flessibili - ma al momento le rese di produzione sono ancora insoddisfacenti. Poi c'è quello degli smart tag e la sensoristica distribuita. "Sensori/smart tag che siano usa e getta", interviene il collega Andrea Perinot, "sono economicamente sensati per alcune applicazioni, ma non per altre. Ad esempio, piazzare una smart tag su una scatola del latte o dei cereali richiederebbe di ridurre i costi di 10-100 volte rispetto agli RFID passivi attuali (che si aggirano intorno ai 20 centesimi di dollaro)".

"In pratica, non è mica detta l'ultima parola sul fatto che la sensoristica distribuita low-cost (ad esempio sui prodotti da supermercato) si farà con l'elettronica tradizionale, anzi!". "I due settori più promettenti sono quelli dell'elettronica indossabile", afferma Dell'Erba, "quindi stampare dispositivi elettronici che si possano adattare all'integrazione negli indumenti e soprattutto il settore pubblicitario – volantini, cartellonistica, eccetera".

Sarà possibile ad esempio stampare centinaia di metri di cartelloni pubblicitari flessibili, dotati di elettronica e quindi in grado di cambiare offerta in base all'ora e/o al giorno, con grandissimi risparmi per il settore – che fattura miliardi di euro ed è importantissimo. "La tecnologia che abbiamo sviluppato qui all'Istituto Italiano di Tecnologia ci permette di costruire circuiti logici e analogici complessi su substrati di plastica comune (PET o PEN) e di diversi spessori, da 200μm (lo spessore di un capello) fino a 1μm (100 volte meno dello spessore di un capello)", ci racconta Dell'Erba.

I tre ricercatori hanno stampato circuiti elettronici con successo su un substrato "spesso" 125 micron, ma stanno lavorando anche con un substrati alti un micron, meno di una pellicola trasparente da cucina - 25 micron. Il tutto è flessibile. "Se gli fai la piega rimane", spiega Dell'Erba, ma il materiale "può essere curvato e arrotolato. La resistenza del circuito dobbiamo ancora studiarla, ma le prove a diversi raggi di curvatura, anche minori di una penna, sono andate a buon fine".

Alcuni studi hanno dimostrato che l'elettronica organica flessibile può resistere per 10.000 cicli di piegatura con una perdita di prestazioni solo pari al 10%. Un'altra proprietà peculiare del processo sviluppato presso il CNST di Milano è la trasparenza: "i materiali che utilizziamo assorbono pochissimo nello spettro visibile, la trasparenza è del 90%. Siamo limitati solo dalla trasparenza del substrato", spiega il dottorando, "e speriamo che questa particolarità possa essere d'ispirazione alle creative menti dei designer".

Insomma, un potenziale enorme da mettere a frutto. La tecnologia non è brevettata, ma forse lo saranno alcuni passaggi. "Siamo in stretto contatto con una startup, che si sta formando proprio in questi giorni presso il nostro stesso centro, che intende produrre celle fotovoltaiche organiche tramite un processo di stampa rotativa flexografica", spiega il ricercatore, "questo ci permetterebbe di integrare una fonte rinnovabile di alimentazione sullo stesso substrato, utilizzando lo stesso processo di stampa".

Il desiderio sembra quindi quello di trasportare questa tecnologia dall'ambito di ricerca a quello di produzione, e Dell'Erba ammette come l'intenzione possa essere sia quella di creare una NewCo sia quella di "agganciare" qualche grande del settore elettronico. Una chiamata a Cupertino o a Seoul? Dell'Erba ride e rimane muto come un pesce.

Noi rimaniamo in attesa delle prime applicazioni commerciali. "Tempistiche è difficile darne, dipende dall'investimento dell'industria", aggiunge Dell'Erba. "Nel momento in cui qualcuno di grande deciderà d'investire, i tempi si accorceranno brutalmente. Le prime applicazioni potrebbero essere pronte in 3-5 anni con gli investimenti attuali, ma se qualcuno vi punterà, i tempi si potrebbero accorciare a 1-2 anni". Apple vuoi fare un iWatch da avvolgere al polso? In Italia c'è chi ti può dare una mano.