Equo compenso: da pagare se si acquista all'estero

Corte di Giustizia Europea ha stabilito che i venditori transnazionali possono essere costretti a pagare l'equo compenso alle rispettive società degli autori per conto dei clienti. Il rischio di recepimento di questa indicazione in Italia è minimo.

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a cura di Dario D'Elia

Corte di Giustizia Europea sostiene che l'equo compenso possa essere applicato anche agli acquisti transnazionali. In Italia, ad esempio, è risaputo che molti consumatori preferiscono comprare CD o DVD vergini in altri paesi europei per aggirare la cosiddetta tassa sull'elettronica. Ebbene, in una disputa legale tra il venditore tedesco Opus Supplies Deutschland e Stichting de Thuiskopie (la SIAE olandese, NdR), dopo vari livello di giudizio è stato richiesto il parere della Corte UE sulla legittimità del pagamento dell'equo compenso.

A chi tocca?

La Corte ha stabilito, sulla base della direttiva 2001/29/CE, che non solo è giusto l'equo compenso quale indennizzo per i detentori di copyright, ma che anche i commercianti di un altro paese possono essere obbligati a pagarlo, per conto dei clienti, agli organismi nazionali di riferimento.

Fine di un'epoca per tutti i consumatori italiani? No di certo. Perché se mai l'Italia decidesse di recepire questa indicazione sarebbe obbligata a sottostare a un'altra precisazione della Corte UE. Ovvero, che l'equo compenso può essere applicato esclusivamente a dispositivi e supporti destinati, e non solo idonei, alla registrazione di copie private.

E come è risaputo l'elenco stabilito dall'ex Ministro per i Beni e le Attività Culturali Sandro Bondi (Governo, più tasse su elettronica e supporti ottici) è decisamente più farcito, in contrasto con il parere della stessa Corte di Giustizia UE (La UE boccia l'equo compenso italiano, SIAE nei guai).

A questo punto attendiamo con ansia la nuova normativa (Addio tassa Bondi sulla tecnologia: arriva la UE), oppure no?