Facebook getta fango su Google, ma perde la faccia

Grazie a un blogger emerge la storia di quanto la competizione tra Facebook e Google sia elevata: l'azienda di Mark Zuckerberg ha assoldato un'agenzia PR per far sì che uscissero articoli critici contro Google sul tema della privacy.

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a cura di Manolo De Agostini

Facebook ha pagato un'azienda di pubbliche relazioni per screditare Google. Il social network di Mark Zuckerberg si è rivolto all'agenzia Burson-Marsteller con l'intento di mettere in cattiva luce a mezzo stampa la casa di Mountain View sul tema della privacy.

L'iniziativa è però stata resa pubblica da un blogger che collabora con USA Today ed è consulente della FTC. Dopo diverse pressioni, Facebook non ha potuto far altro che ammettere di aver assoldato l'agenzia, pur affermando di averlo fatto per valide ragioni.

La vicenda non è curiosa tanto per il fatto in sé, comune tra aziende che competono così duramente, quanto per l'ingenuità dimostrata nel condurre questa battaglia sotterranea. I fatti sono i seguenti. Due dipendenti di Burston hanno contattato alcuni blogger e redattori suggerendo la scrittura di articoli su Google e il tema della privacy, in particolare sull'uso non autorizzato dei dati, che poi sarebbero stato pubblicati su prestigiose testate.

Burson puntava il dito contro un servizio di Google chiamato Social Circle, che permette a una persona tramite Gmail non solo di seguire gli aggiornamenti online dei suoi amici, ma anche dei loro contatti (connessioni secondarie, le chiama Google). 

Secondo Facebook quel servizio infrange le norme sulla privacy e permette a Google di "costruire dossier personali su milioni di utenti, in flagrante violazione degli accordi di Google con la Federal Trade Commission".

Sfortuna vuole che Burson e Facebook abbiano incontrato Chris Soghoian, blogger che fa della privacy il suo cavallo di battaglia. Soghoian era infatti tra le persone contattate da Burson e, con il senno di poi, probabilmente la meno appropriata. Davanti a una simile richiesta il blogger ha subito chiesto all'agenzia PR per chi stesse lavorando, senza ottenere risposta. Per questo motivo, non ci ha pensato troppo e ha pubblicato lo scambio di email online (qui).

Il tam tam della Rete, si sa, mette alle strette e dopo i primi nomi l'attenzione si è concentrata su Facebook, a cui non è restato altro che confermare il suo rapporto con Burson e uscire allo scoperto con critiche ben precise alla rivale.

Un portavoce dell'azienda di Zuckerberg ha dichiarato che Burson non era stata assoldata per screditare Google, ma per portare alla luce tematiche preoccupanti: la prima è che Google sta facendo cose nel settore del social networking che aumentano i pericoli per la privacy. La seconda è che Facebook non ha gradito i tentativi di Google di usare i propri dati. Insomma, imputa alla rivale di avvalersi delle informazioni senza il permesso dei netizen.

Secondo il portavoce, Facebook non ha messo in piedi una vera e propria macchina del fango, ma si è basata su informazioni liberamente disponibili in Rete, verificabili da chiunque. Burson, invece, ha dichiarato che il cliente aveva chiesto di non essere nominato, aggiungendo che era "era giusto sollevare queste questioni, ma va riconosciuto che l'approccio non ha seguito le nostre procedure standard e va contro le politiche interne. Avremmo dovuto rifiutare un incarico a quelle condizioni".

Di certo un brutto scivolone per Facebook, che in fatto di privacy farebbe meglio a guardare in casa propria. L'agenzia Burson- Marsteller avrà invece sicuramente qualche problema in più ad attirare clienti. Google, che certamente non è esente da scivoloni sul tema, ne esce vincitrice. Facebook ha ottenuto l'esatto contrario di ciò che voleva. Forse è meglio lavorare con i fatti, che con le parole.