Google può alterare liberamente i risultati delle ricerche

Un giudice statunitense ha dato ragione a Google: il motore può decidere senza problemi chi deve stare sopra e chi sotto nei risultati di una ricerca. L’azienda ha sempre detto di agire in difesa della libertà di espressione e, per la prima volta, ha una sentenza in suo favore. Dobbiamo preoccuparci?

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a cura di Pino Bruno

C'è un giudice a San Francisco che dice, in sostanza, che Google può fare quel che gli pare. Cioè il colosso digitale può mostrare e organizzare i risultati di ricerca del suo motore online nell'ordine che preferisce. Siccome il primo emendamento della Costituzione americana garantisce anche la libertà di espressione, dice il magistrato, Google ha ampio margine di azione e discrezionalità nel posizionamento dei risultati. Cioè, Google non fa abuso di posizione dominante. È questa, in sostanza, la decisione del giudice Ernest H. Goldsmith della San Francisco Superior Court. La sentenza è del 13 novembre scorso ed è stata resa nota da Gigaom.com

La decisione del tribunale riguarda il caso sollevato da CoastNews: il sito sosteneva che Google mostrasse i suoi link in fondo ai risultati di ricerca sul web. Un posizionamento "ingiusto", secondo CoastNews, visto che le stesse news su altri motori online come Bing di Microsoft e Yahoo! apparivano invece al top dei risultati mostrati agli utenti. CoastNews si è anche spinta oltre: sosteneva pure che nel posizionamento 'basso' c'era l'intenzione di Google di "eliminare" CoastNews come potenziale concorrente.

Google ha risposto con una mozione che in gergo è indicata come "anti-SLAPP", cioè una strategia giuridica adottata per contestare rapidamente cause che cercano di soffocare la libertà di parola. Il giudice l'ha quindi accolta stabilendo che le richieste di CoastNews contro Google sono correlate a "un'attività costituzionalmente protetta".

È una sentenza destinata a fare rumore, perché sarà considerata un precedente in ogni causa giudiziaria analoga. Da sempre le piattaforme che aggregano contenuti lamentano l'eccesso di "discrezionalità" di Google nella gerarchia dei risultati delle ricerche online, a scapito di tutti i siti che competono con Big G. 

È vero, la decisione riguarda gli Stati Uniti, ma è certo che avrà strascichi nel resto del mondo. L'Unione Europea, ad esempio, dal 2010 cerca invano di mettere il sale sulla coda di Google, avviando indagini antitrust per valutare abusi di posizione dominante nel mercato della ricerca online e della gestione pubblicitaria.

Google adesso può gongolare e noi dobbiamo essere sempre più consapevoli, quando facciamo una ricerca, che non è soltanto un algoritmo a dettare i risultati, bensì gli interessi economici del colosso digitale. Che, a proposito, soltanto l'anno scorso e soltanto negli USA, ha speso ben 18,2 milioni di dollari in attività di lobbyng