La Fisica dei colori del Sole e del cielo

Come la rifrazione della luce e i centri diffusori concorrono a farci vedere il cielo azzurro e il Sole giallo.

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a cura di Sergio Cacciatori

universita insubria

La diffusione della luce è un fenomeno che tutti ben conosciamo. Consideriamo una giornata di sole con un bel cielo azzurro e qualche nuvoletta. La luce che arriva dal Sole colpisce l'atmosfera, composta da molecole che la costituiscono e che, per il moto perpetuo e per effetti termodinamici chiariti da Einstein (e ai quali dedicheremo una puntata a parte), ha una densità che varia continuamente su scale piccolissime.

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Foto: © chaoss / Depositphotos 

Laddove l'aria è più rarefatta le onde elettromagnetiche passano con maggiore facilità, mentre vengono frenate dalle regioni di densità maggiore. All'interno di tali regioni la luce non si muove con la sua usuale velocità nel vuoto

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ma ad una velocità inferiore, pari a v=c/n, dove n>1 è un coefficiente caratteristico del mezzo (l'aria densa) detto indice di rifrazione. Se ci mettiamo dal punto di vista della luce che arriva dal Sole, vedremo che allora essa urterà le molecole e le varie particelle di cui è fatta l'atmosfera (o "palline d'aria densa'' che siano, e che d'ora in avanti indistintamente chiameremo centri diffusori come si usa nel gergo scientifico), eventualmente rimbalzando di qua e di là, diffondendosi appunto in tutta l'atmosfera anziché proseguire direttamente verso la superficie terrestre. In che modo questo avviene?

Immaginiamo per un momento che un raggio di luce sia come un proiettile che giunge dal Sole fino a trovarsi in un mare di "sferette" che rappresentano i centri diffusori. Possiamo pensare a un centro diffusore come a una sfera di diametro D sospesa nel cielo. Avvicinandovisi, a un proiettile apparirà come un disco di uguale diametro e la probabilità di colpirlo sarà proporzionale all'area di tale disco: più è grande e più facilmente un proiettile sparato a caso può colpirlo. Ci viene da dire che, siccome l'area di un tale disco (cioè l'area della sezione trasversale del bersaglio) è

,

c'è da aspettarsi che tale probabilità sia dunque proporzionale ad A. Tuttavia non è così semplice, perché l'area efficace con cui un proiettile "vede'' un bersaglio non è semplicemente l'area della sezione trasversale del bersaglio.

Per chiarire questo fatto osserviamo prima di tutto che se il proiettile è perfettamente puntiforme, esso deve muoversi su una retta che disti dal centro del bersaglio almeno D/2 per non colpirlo.

Ma se, per esempio, anche il proiettile è una sfera di diametro D', per non colpire il bersaglio deve muoversi lungo una retta che disti dal bersaglio almeno .

La cosa si complica se proiettile e bersaglio non interagiscono solamente per contatto. Se ad esempio sono entrambi carichi elettricamente, il proiettile interagirà con il bersaglio anche senza toccarlo, se gli passa abbastanza vicino.

L'area efficace con la quale un proiettile "vede'' un bersaglio è detta sezione d'urto. Quello che abbiamo appena visto è che la sezione d'urto non dipende solo dalla geometria del bersaglio ma anche da quella del proiettile e dalla fisica che governa l'interazione tra i due. In generale, calcolare una sezione d'urto è tutt'altro che semplice, ma importante: è ad esempio quasi tutto quello che serve per capire gli esperimenti che vengono eseguiti al CERN. Ma non è del CERN che vogliamo ora occuparci, bensì del Sole e del cielo.

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Foto: © Zoooom / Depositphotos

Facciamo dunque l'ipotesi che quando la luce del Sole raggiunge l'atmosfera vede il cielo come un mare di molecole che per le fluttuazioni di densità si trasformano in centri di diffusione approssimabili a sferette di diametro D e indice di rifrazione n. Quanto un'onda elettromagnetica possa venire diffusa da una di tali sferette dipende dalla sua sezione d'urto. In generale questa dipende dalla geometria della sferetta (cioè dal suo diametro D), da quella del raggio incidente, cioè la sua lunghezza d'onda , e dalla fisica dell'interazione (codificata dall'indice di rifrazione n). Senza ulteriori ipotesi è molto complicato calcolare tale sezione d'urto, anche se si può fare (ed è stato in effetti risolto dal fisico tedesco Gustav Mie nel 1908), mentre nel caso di bersagli piccoli, per i quali

era stata calcolata dal fisico britannico John William Strutt III barone di Rayleigh. Nei due casi si parla rispettivamente di diffusione Mie e diffusione Rayleigh.

La luce emessa dal Sole è la sovrapposizione di varie onde elettromagnetiche di diverse lunghezze d'onda, che vanno dall'infrarosso all'ultravioletto. In particolare, quelle visibili all'occhio umano hanno una lunghezza d'onda che varia tra i 380nm (blu-violetto) e gli 800nm (rosso). Ricordiamo che i nanometri (nm) sono i miliardesimi di metro, per cui le lunghezze d'onda visibili sono di qualche frazione di micron.

Mediamente i centri diffusori, composti da molecole, sono molto più piccoli (decine di nm) e quindi ci troviamo nella situazione di diffusione Rayleigh. Mentre rimandiamo ad un'altra puntata il calcolo della sezione d'urto Rayleigh, ci limitiamo qui a riportarne il risultato finale che è quanto ci occorre per le considerazioni finali:

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Siccome , vediamo che tale sezione d'urto è piccola e, anzi, sempre più piccola quanto più la lunghezza d'onda cresce. Questo significa che le lunghezze d'onda più brevi hanno maggiore probabilità di urtare i centri diffusori e sparpagliarsi ovunque, mentre le lunghezze maggiori percorreranno spazi maggiori prima di farlo. Dato che le lunghezze visibili sono quelle minori, i colori blu-violacei sono i primi a diffondersi mostrandoci un cielo di tale colore.

Quando il Sole è basso sull'orizzonte la luce che arriva ai nostri occhi deve percorrere uno spazio maggiore nell'atmosfera che non quando il Sole è alto (dato che la attraversa tangenzialmente invece che perpendicolarmente). Se è sufficientemente lunga vedremo allora diffondersi anche la luce di lunghezza d'onda maggiore, corrispondente ai colori gialli e rossi, come può capitarci di vedere in certe albe e tramonti.

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Foto: © soleg / Depositphotos

Quando il cielo è blu, il Sole ci appare giallo (anche se evitiamo accuratamente di guardarlo direttamente!), ma sappiamo che quello non è il suo vero colore: alla luce che ci arriva direttamente dal Sole è stata infatti tolta quella diffusasi nel cielo a farcelo apparire blu. Qual è dunque il vero colore del Sole? Gli astronauti lo vedono uscendo dall'atmosfera, ma anche noi possiamo vederlo osservando qualcosa che invece di diffondere solo la luce blu, diffonda ugualmente tutte le frequenze del visibile.

Secondo la diffusione Mie (fatto intuitivo anche senza bisogno di conoscere le formule) tutte le frequenze vengono diffuse se i centri diffusori sono molto più grandi delle lunghezze d'onda (cioè in una situazione opposta a quella di Rayleigh). I cristalli di ghiaccio e le goccioline d'acqua di una nube hanno le dimensioni medie di qualche decina di micron (fino a 200 prima di precipitare) e sono quindi proprio i centri diffusori che cerchiamo: il bianco candore delle nubi è il vero colore del Sole, proprio come lo vedrebbe un astronauta!

Sergio Cacciatori è ricercatore e docente presso il dipartimento di Scienza e Alta Tecnologia dell'Università dell'Insubria. Si occupa essenzialmente di Fisica Teorica e Fisica Matematica. 


Tom's Consiglia

Mai guardare direttamente la luce del Sole! Se volete osservare la nostra stella, magari durante un'eclissi, usate sempre gli appositi visori o i più economici Occhiali per eclisse solare.