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a cura di Elena Re Garbagnati

Chi ha bisogno di una protesi è vittima di un trauma o di una grave patologia, e la speranza nell'adozione di questo supporto artificiale è di avvicinarsi il più possibile a una mobilità normale e naturale. Se da una parte è ancora un miraggio avere un arto protesico capace di restituire il 100 percento delle funzionalità di uno naturale, dall'altra i progressi sono enormi e la ricerca incalza.

Nel caso delle mani, gli aspetti critici sono molteplici: da una parte si aspira a poter afferrare gli oggetti, dall'altra però il senso del tatto è altrettanto importante. Pensate a quante informazioni raccogliamo ogni giorno toccando quello che ci sta attorno. Provate a immaginare che oggi nessuna di queste sensazioni è possibile con un arto protesico, e forse avrete un'idea della proporzione del problema.

Mano protesica 1

 Un passo avanti notevole è l'oggetto di una nuova ricerca pubblicata sulla rivista Neuron, ad opera di una cooperazione internazionale con l'Italia in prima fila. Alla ricerca hanno infatti partecipato i ricercatori della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, insieme ai colleghi del Policlinico Gemelli di Roma, della École Polytechnique  Fédérale  de  Lausanne (EPFL) e dell'Università di Friburgo. Lo studio è parte del progetto NEBIAS finanziato dalla Commissione Europea e coordinato dalla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, da due decenni in prima linea nello sviluppo di protesi per la mano.

Il coordinatore dello studio è stato Silvestro Micera, docente di Bioingegneria all'Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant'Anna, che ha il merito di avere sviluppato un codice in grado di trasmettere una varietà di percezioni tattili ai nervi del braccio amputato. È la prima volta che si registra un successo simile in questo campo, che di fatto consente di migliorare la sensibilità tattile e di recuperare parte della destrezza manuale in una protesi bidirezionale.

Per raggiungere questo traguardo è stato necessario un approccio interdisciplinare che coinvolge la neuroingegneria, la neurologia clinica e la robotica, mediante simulazioni matematiche del comportamento dei neuroni. La ricerca dal titolo "Biomimetic intraneural  sensory  feedback  enhances  sensation naturalness,  tactile  sensitivity  and  manual  dexterity  in  a  bidirectional  prosthesis" è quindi il progresso più importante nell'ottica di realizzare un giorno una protesi il più simile possibile a una mano naturale. Non solo, l'importanza di questo studio è che i modelli possono essere applicati a tutti i modelli di protesi, garantendo quindi una maggiore sensibilità delle percezioni ed efficacia dei movimenti.

Paolo Maria Rossini del Policlinico Gemelli sottolinea come "la nostra mano ci permette di esplorare l'ambiente circostante e di interagire con esso. Ci permette di colpire con forza o di accarezzare, di suonare una tastiera o di sollevare un pesantissimo bilanciere. Tutta questa varietà di azioni (e mille altre) è possibile anche grazie al feedback sensoriale che ogni movimento e contatto con un oggetto invia al nostro sistema nervoso. Perdere l'informazione sensoriale è come vivere in un mondo senza colori e senza contrasti di chiaro/scuro. Riacquisire la sensorialità è motivo, per una persona amputata, di sentirsi nuovamente 'padrone e signore' dell'ambiente che lo circonda".

mano protesica 2

L'arto protesico avanzato sviluppato con questa tecnica è stato indossato a titolo sperimentale da due pazienti. Una di essi, Loredana Puglisi, ha commentato che "per la prima volta ho percepito la protesi come un naturale prolungamento del mio corpo e non come una parte esterna". Un successo quindi, che speriamo porti presto a protesi commerciali accessibili da un ampio numero di pazienti.

Per dovere di cronaca, un'altra eccellenza italiana che sviluppa arti protesici è l'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), che poco tempo fa ha annunciato in collaborazione con INAIL la mano protesica Hannes.


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