L'insulto su Facebook è diffamazione anche senza fare nomi

La Corte di Cassazione ha stabilito che il reato di diffamazione può scattare anche se non si fa il nome specifico della vittima. È sufficiente un riferimento comprensibile.

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a cura di Dario D'Elia

Cari troll siete avvertiti: se ingiuriate qualcuno su Facebook o altri social network, anche senza fare nomi, rischiate una condanna per diffamazione. La Corte di Cassazione è stata molto chiara al riguardo, annullando l'assoluzione di un maresciallo capo della Guardia di Finanza. Aveva insultato un collega scrivendo di se stesso "attualmente defenestrato a causa dell'arrivo di in collega sommamente raccomandato e leccaculo".

Il tribunale di Roma l'aveva condannato a tre mesi di reclusione per diffamazione pluriaggravata. In secondo grado era stato assolto per insussistenza del fatto, dato che non aveva fatto il nome della vittima. Mancava quindi l'identificazione certa.

La Corte di Cassazione però ha accolto il ricorso del procuratore generale militare annullando l'ultima sentenza. In verità secondo i giudici Facebook, e i social network in genere, permettono alle frasi offensive di raggiungere più "soggetti indeterminati" e "chiunque, collega o conoscente dell'imputato, avrebbe potuto individuare la persona offesa".

L'insulto diffamante che corre online

L'errore del maresciallo è stato anche quello di lasciare il profilo completamente pubblico. "Le impostazioni di privacy della bacheca sono un dettaglio importante", ha spiegato Caterina Malavenda, avvocato esperto di diritto dell’informazione e del reato di diffamazione. "Se la bacheca è aperta e quindi accessibile a chiunque sia iscritto al social network, si può considerare Facebook un mezzo di comunicazione di massa, facendo scattare anche un'aggravante, perché appunto non limitata a destinatari specifici".

"Questa sentenza non mi stupisce affatto, in fondo i social network sono solo dei mezzi per di diffondere messaggi, che appunto in alcuni casi possono essere anche diffamatori. Twitter da questo punto di vista è anche più pericoloso rispetto a Facebook, perché con il meccanismo dei retweet consente una diffusione ancora più ampia, esponenziale".

Secondo l'avvocato Guido Scorza, avvocato esperto di diritto delle nuove tecnologie, insultare in forma anonima paradossalmente è meno rischioso nella vita reale. "Invece su Facebook bisogna fare particolare attenzione perché si agisce nell’ambito di una rete sociale limitata e molto spesso condivisa. Per un semplice calcolo statistico è molto probabile che alcuni dei miei amici siano amici anche del soggetto che viene offeso. Probabilmente, se il finanziere avesse detto le stesse cose in un bar, le persone in ascolto non avrebbero capito di chi stava parlando e le conseguenze sarebbero state meno gravi".

Vero Scorza, ma se al bar del paese qualcuno avesse lasciato intendere che il fornaio è cornuto, probabilmente il giorno dopo si sarebbe preso almeno due ceffoni. Quelli che non hanno preso a tempo debito migliaia di troll italiani dai rispettivi genitori.