Ma dov'è la profittabilità di YouTube?

Un'analista di IDC sostiene che le piattaforme come YouTube siano destinate a generare pochi profitti. Il pubblico è abituato alla gratuità e non tollera neanche la pubblicità.

Avatar di Dario D'Elia

a cura di Dario D'Elia

Un tempo si pensava che la popolarità fosse sufficiente per sostenere un qualsiasi progetto online. La bolla speculativa della new economy, esplosa fra il 2000 e il 2001, in qualche modo è riuscita a far maturare le dot.com, un po’ con la selezione naturale e un po’ con la riaffermazione di alcune regole, condivise dall’alta finanza. Ogni attività imprenditoriale per quanto innovativa, prima o poi è destinata a confrontarsi con il suo bilancio e la capacità di produrre profitto. Per questo motivo, alcuni analisti hanno iniziato ad interrogarsi sulla validità dei modelli economici adottati dalle nuove piattaforme gratuite online, come ad esempio YouTube.

Josh Martin, ricercatore di IDC, ha pubblicato all’inizio della settimana, un report che sembra inquadrare bene la situazione. A suo dire, YouTube – ma non solo probabilmente – avrà grandi difficoltà a spremere qualche profitto dalla sua attività di video-sharing. La motivazione principale, a base di questa tesi, è che il suo pubblico è ormai cresciuto con l’abitudine alla gratuità ed è contrario anche all’eventuale presenza di campagne pubblicitarie video – magari pre-riproduzione dei file.   

Per rendere YouTube compatibile con queste esigenze bisognerebbe fare una miriade di cambiamenti. La più grande difficoltà è certamente quella di cambiare la cultura dei suoi utenti, che allo stesso tempo l’hanno resa così famosa”, ha scritto Martin nel suo documento. La portavoce di YouTube, Julie Supan, ha declinato ogni commento al riguardo, ma ha voluto sottolineare che la sua dirigenza non ha permesso a Martin di approfondire le strategie di business che verranno adottate in futuro. Su tutte l’utilizzo progressivo di campagne pubblicitarie. Martin è convinto che questa sia l’unica strada possibile, anche se non è certo che possa raggiungere gli obiettivi sperati. Soluzioni ad abbonamento o contenuti premium a pagamento certamente non sarebbero compatibili con le abitudini dell’attuale audience.

La pubblicità potrebbe allontanare utenti. E poi quanto ci vorrà per l’avvento di uno o più competitor senza campagne?”, si è domandato Martin. Inoltre, non è detto che gli inserzionisti accettino di acquistare spazi pubblicitari che molto spesso potrebbero andare a finire vicino a contenuti video discutibili. YouTube non ha ancora una policy di controllo serrata sui file uploadati dagli utenti. Certamente ricorda che non è possibile postare clip protette da copyright, ma che cosa dire dei numerosi video violenti e di quelli che contengono nudità o sesso esplicito?    

Leggi altri articoli