Pechino blatera, Google si gode lo strappo

Prima risposta ufficiale da Pechino alle azioni di Google. Per ora sembra attendista.

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a cura di Valerio Porcu

Senior Editor

Il governo cinese, tramite il portavoce Wang Chen, ha dato la sua prima risposta alla sfida di Google. "Le aziende devono cooperare con il controllo di Stato su Internet", ha detto il rappresentante. La posta in gioco è delle più alte. Google minaccia di andarsene, stanco delle censure, degli attacchi informatici, e probabilmente anche di essere secondo al noto Baidu. 

La fortuna conta, anche nella guerra virtuale tra Google e Cina.

Wang, in cambio, ha ricordato che la Rete è piena di pericoli, come pornografia, attacchi digitali, frodi e "indiscrezioni" (qualsiasi cosa significhi), e che il governo e i media hanno "la responsabilità di formare l'opinione pubblica".

Nella dichiarazione non si menziona mai Google, né si parla degli attacchi che hanno colpito Google e altre 30 aziende - sempre a danno di attivisti nel campo della politica e dei diritti civili.

La scelta di Google porta i riflettori su una questione che tutti conoscono, e di cui nessuno parla volentieri: ogni azienda che vuole lavorare in Cina deve adattarsi alla volontà politica, alla censura e ai capricci del governo. Senza eccezioni.

Google aveva paura che togliersi il cerotto fosse troppo doloroso.

Google però ha passato il punto di non ritorno. In questo momento ha rinunciato alla censura di Stato. L'azienda non può fare marcia indietro, e nemmeno il governo di Pechino: l'uscita di Google dal mercato cinese consentirebbe di non perdere la faccia.

D'altra parte, sia Pechino che Google avrebbero tutti gli interessi a ricucire questo strappo. Difficile, se non impossibile, prevedere come andrà a finire. Ci sono in gioco questioni di principio, etica, morale, denaro e interessi politici, intrecciati in modi oltremodo complessi.