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a cura di Dario D'Elia

L'ok del Garante delle Comunicazioni al progetto di separazione della rete Telecom "è una pietra miliare, importante per noi per raggiungere la deadline di finalizzare il processo entro fine anno e lanciare la Netco a inizio gennaio".  Così si è espresso l'AD di TIM Amos Genish poche ore fa in occasione della presentazione della relazione dell'Organo di Vigilanza AGCOM.

Ieri infatti il Consiglio dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha confermato l'ammissibilità del progetto, nel rispetto delle norme europee. Si tratta di un primo passo verso la  "separazione legale della rete di accesso", ma "ogni valutazione relativa alla idoneità della proposta di migliorare le condizioni di concorrenza" è rinviata alla fine della consultazione pubblica nazionale che si terrà nei prossimi mesi.

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A tutti gli attori del settore, dalle telco alle associazioni dei consumatori, verrà proposto "uno schema unitario di provvedimento di analisi del mercato dell'accesso che include il progetto di separazione della rete TIM contenente i rimedi relativi al ciclo regolatorio 2018 - 2021".

In sintesi è tutto rimandato e il dibattito politico sull'argomento non sarà di certo secondario, anzi. Nei prossimi mesi bisognerà capire non solo quale asset definitivo verrà proposto, ma anche se il Governo tramite la Cassa Depositi e Prestiti sarà della partita.

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Al momento vi sono due indirizzi: Vivendi è sempre stata dell'idea di mantenere totalmente il controllo e la proprietà della newco, mentre la cordata capitanata dal Fondo Elliott propende per una public company -nulla a che vedere con una società pubblica, sia inteso - ad azionariato diffuso.

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La seconda ipotesi aprirebbe la strada a una potenziale fusione con Open Fiber e il coinvolgimento di CdP. In pratica nascerebbe un'unica grande società della rete, aperta al mercato e specializzata solo nel settore all'ingrosso. In questo modo TIM, agli occhi della nuova realtà, diventerebbe un cliente come gli altri e la neutralità infrastrutturale sarebbe totalmente garantita in ogni senso.

"Siamo preoccupati del costante calo dei prezzi annuali all'ingrosso di accesso che a noi non sempre sembra tenga conto del costo effettivo e del rischio", ha sottolineato Genish. Un problema per la sostenibilità della futura società della rete. "Netco è l'unico operatore dominante nelle infrastrutture e lo resterà per i prossimi 8-10 anni con tutto il rispetto per i concorrenti. Dobbiamo essere sicuri che abbia le risorse per posare la fibra dov'è necessario nei prossimi 10 anni", ha aggiunto. Per il dirigente bisognerebbe definire un nuovo modello tariffario.

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Le diverse compagini politiche, nel tempo, si sono espresse positivamente sull'ipotesi di una società nazionale della rete - la cosiddetta Netco - ma la discriminante come tutti ben sanno è il valore da attribuire alle infrastrutture di TIM. Vi sono diverse stime che vanno dai 10 ai 15 miliardi di euro a seconda che si consideri l'intera rete o fino alle centrali o fino ai cabinet. Insomma, le variabili non sono poche, così come le previsioni sul valore del fiber-to-the-cabinet - per altro già escluso dal bouquet dei finanziamenti europei.

L'idea di una rete nazionale statale o pseudo-tale è affascinante e probabilmente efficiente in prospettiva, ma avrà un costo non indifferente. E soprattutto, per come si sta giocando la partita dei 4.500 esuberi in Telecom, rischia di farsi carico anche del destino di migliaia di lavoratori.