Universo Oscuro, prove astrofisiche della materia mancante

Una breve storia delle componenti più sfuggenti e misteriose dell'Universo, tra teorie e osservazioni.

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a cura di Lorenzo Pizzuti

Questo contenuto è il primo di una serie di quattro articoli che andranno nell'insieme a guidarci alla scoperta di Materia ed Energia oscura, il "dark universe". Partiremo oggi con le evidenze della materia mancante, per passare poi nelle prossime puntate alle evidenze cosmologiche della Materia Oscura, e arrivare poi all'Energia Oscura. L'appuntamento è ogni martedì, non mancate!

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Foto: © sakkmesterke / Depositphotos

L'Universo nasconde ancora moltissimi segreti. Le questioni riguardanti la sua formazione, la sua struttura e la natura delle sue componenti sono tutt'altro che risolte e alimentano un fervore palpabile nella comunità scientifica. Attraverso tecnologie che sfiorano la fantascienza e mezzi sempre più avanzati si cercano risposte nelle profondità del Cosmo, ma spesso si finisce solo per generare nuovi dubbi inattesi in un calderone di incertezze così vasto da far venire l'acquolina in bocca a ogni cosmologo che si rispetti (faccio notare che, per propria indole, gli scienziati sono alquanto masochisti e trovano delizia nell'affrontare problemi più complessi possibile).

Nell'arco di circa un secolo una mole incredibile di dati osservativi, ottenuti con precisione via via crescente esplorando ogni angolo del cielo, ha permesso di delineare quello che viene definito il Modello Standard della cosmologia, un edificio estremamente articolato costruito nel tempo per spiegare le evidenze delle osservazioni: il modello CDM. Ed è qui che nasce il problema. Per poter "funzionare", per riuscire a illustrare correttamente il quadro dipinto dai dati, questo modello ha bisogno di introdurre qualcosa. Qualcosa di apparentemente assurdo e quasi contro-intuitivo, qualcosa di invisibile, elusivo, di cui possiamo solo percepire gli effetti; un Lato Oscuro del cosmo che emerge come un'ombra, ma che risulta così perfettamente allineato alle osservazioni da essere, almeno fino ad oggi, la migliore spiegazione per riprodurre il comportamento dell'Universo.

Questo "qualcosa" è costituito da due parti: da un lato abbiamo una forma di materia di composizione sconosciuta e totalmente diversa dalla nostra, che non interagisce con quest'ultima e che non emette alcun tipo di radiazione, ma che al contempo risente della gravità. Dall'altro un'entità ancora più misteriosa, un'energia dalle caratteristiche esotiche che permea lo Spazio e che continua ad aumentare in quantità, in modo da mantenere la sua densità costante in ogni parte del Cosmo, sebbene esso sia in espansione.

Per rendere l'idea pensiamo a una serie di puntini disegnati sulla superficie di un palloncino sgonfio. Consideriamo un quadratino di due centimetri di lato e contiamo quanti punti ci cadono dentro, diciamo 6. Poi iniziamo a gonfiare il palloncino; dopo un po' prendiamo lo stesso quadratino di due centimetri ed eseguiamo nuovamente il conteggio. Ovviamente adesso il numero che otterremo sarà diminuito, poiché i punti si saranno distribuiti su un'area più grande; in termini tecnici, si dice che la densità di punti in quella zona è diminuita. L'energia di cui sto parlando, invece, fa qualcosa di sostanzialmente diverso: se andassimo a contare i "puntini" all'interno del nostro quadrato man mano che il palloncino si espande, troveremmo che il loro numero rimane sempre lo stesso. E sarebbe identico in ogni zona del palloncino, ad ogni istante. In pratica è come se la suddetta energia generasse continuamente copie di se stessa conservando la densità sempre allo stesso valore!

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Le componenti supplementari introdotte dal modello CDM, proprio per il loro carattere "inafferrabile", sono state ribattezzate Materia Oscura ed Energia Oscura; due quantità che non appartengono alla Fisica "ordinaria", e mettono in discussione la nostra attuale comprensione della realtà poiché non rientrano in nessuna classificazione finora nota.

Di per sé "aggiungere" ingredienti sconosciuti al nostro "mix scientifico" non costituirebbe un problema; quasi ogni giorno una ricerca produce qualche nuovo risultato, più o meno bizzarro. Generalmente, quello che si cerca di fare è tentare di spiegare la novità in funzione della teoria che l'ha introdotta, come estensione o caso particolare di modelli preesistenti. L'estensione porta a un raffinamento, aggiustamento o a volte stravolgimento della teoria stessa, permettendo alla scienza di avanzare ancora. Ma in questa situazione le cose sono ben diverse.

Il vero dilemma, la sorpresa più sconcertante, risulta il rendersi conto che rispetto a Materia ed Energia Oscura, siamo noi il "caso particolare"!

Tutto quello che si conosce, la materia che compone gli esseri viventi, i pianeti, le stelle, le galassie, la radiazione diffusa nell'Universo, ogni particella o antiparticella che può essere prodotta dagli acceleratori sulla Terra o da eventi ancora più energetici come nuclei galattici attivi ed esplosioni di Supernovae... Tutto questo non è altro che una frazione miserabile dell'intero contenuto del Cosmo.   Quanto? Nient'altro che il 4-5%.  L'enorme, invisibile fetta restante sono loro: Materia Oscura, che ricopre il 25% del totale ed Energia Oscura, l'assoluto Signore dell'Universo con una percentuale vincente del 70%.

Un'affermazione senza dubbio impressionante e quasi ironica: l'Universo conosciuto associabile a uno "scarto", o forse un'eccezione del più vasto Universo Oscuro... povera umanità! Dapprima convinta di essere il centro del Cosmo, ora ridotta ad un rimasuglio della sua frazione più piccola!

Giunti a questo punto, però, potrebbe nascere spontanea una domanda: da dove sono state ricavate queste percentuali? Come facciamo a conoscere in che quantità e in che proporzione sono presenti grandezze fisiche la cui natura è totalmente ignota?

La risposta ci guiderà come leitmotiv nel viaggio attraverso la storia della cosmologia, dalle prime evidenze alle più recenti teorie, per ricostruire insieme il puzzle del modello CDM e spingerci appena più in là, verso le nuove frontiere della ricerca.

La Materia Oscura: le origini

Il nostro itinerario si sviluppa partendo dal lontano 1933, quando l'astronomo svizzero Fritz Zwicky, professore al California Institute of Technology, stimò la massa totale dell'Ammasso della Chioma (Coma Cluster), un enorme ammasso di galassie situato a circa 322 milioni di anni luce da noi. Zwicky osservò gli spettri (ovvero la distribuzione in frequenza) della luce proveniente dalle galassie per stimare la loro velocità. Infatti, a seconda che una sorgente si avvicini o si allontani da noi, la radiazione che essa emette viene spostata rispettivamente a frequenze più alte o più basse, fenomeno noto come effetto Doppler. In questo modo, misurando l'entità di tale spostamento, si può ricavare la velocità relativa di ciascuna galassia e la sua direzione.

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Ammasso della Chioma. Credits: NASA/JPL-Caltech/GSFC/SDSS

Le velocità delle singole galassie possono essere combinate e collegate al campo gravitazionale, e quindi alla massa totale che lo genera, attraverso un teorema della Fisica classica detto "Teorema del Viriale", molto usato in astronomia. Con questa analisi relativamente semplice si riesce dunque ad ottenere il valore della massa di un ammasso di galassie. Zwicky confrontò il risultato stimato dalle sue osservazioni con il valore della "massa luminosa", cioè quello che si ottiene sommando semplicemente le componenti visibili (le galassie in questo caso) supponendo che esse siano costituite da un numero ragionevole di stelle grandi come il Sole (per il quale conosciamo abbastanza bene sia la luminosità che la massa).

Sorpresa delle sorprese, i due risultati non coincidevano; anzi, tenendo conto anche della radiazione emessa dal gas caldo diffuso nell'ammasso (Intra Cluster Medium), la massa luminosa sembrava essere circa il 10% di quella ricavata dallo studio¹ della dinamica delle galassie, come se queste ultime si muovessero sotto l'azione di una materia mancante, invisibile ma tale da costituire il 90% dell'ammasso!

Zwicky ribattezzò il costituente aggiuntivo "Dark Matter" (Materia Oscura).

Le Curve di Rotazione

Circa mezzo secolo dopo, nel 1983, una ricerca pubblicata su Scientific American² mostrò nuove evidenze a favore dell'evanescente massa misteriosa, questa volta su scala galattica piuttosto che cosmologica. Lo studio, condotto dall'astronoma Vera Rubin al Carnegie Institution of Washington, prendeva in esame le curve di rotazione di un campione di 60 galassie a spirale, basandosi sui risultati abbastanza curiosi di una precedente analisi effettuata sulla singola galassia di Andromeda assieme al collega Kent Ford.

Ma cosa s'intende per curva di rotazione? Essenzialmente un grafico che ci dice come la velocità orbitale delle stelle e del gas nelle galassie cambia in funzione della distanza dal centro.

Si può vedere, con pochi semplici passaggi algebrici, che questa velocità cresce all'aumentare della massa racchiusa entro il raggio a cui si trova la stella e diminuisce all'aumentare del raggio stesso.

Considerando come massa totale per la galassia la somma delle masse di tutte le stelle e del gas in essa contenuto, allora il profilo della curva di rotazione dovrebbe crescere fino a raggiungere un massimo (per la galassia M33, riportata in figura, questo si troverebbe a circa 10000 anni luce dal centro) e poi diminuire man mano che ci si allontana.

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Quello che Rubin e Ford trovarono fu invece un grafico che, invece di abbassarsi, mostrava un andamento costante della velocità anche per grandi distanze dal centro galattico. In pratica, in modo simile a quanto ricavato da Zwicky per l'ammasso della Chioma, le stelle sembravano muoversi per la presenza di una massa molto maggiore di quella prodotta dalla materia "ordinaria". Non solo, la proporzione tra massa invisibile e luminosa risultava incredibilmente somigliante al valore di Zwicky sebbene le scale di indagine fossero almeno 1000 volte più piccole (dai milioni alle migliaia di anni luce).

Lo scorso settembre tuttavia, un'analisi effettuata da Stacy S. McGaugh, ricercatore alla Case Western Reserve University, e dai suoi collaboratori, ha posto un interrogativo ulteriore sulla questione della Materia Oscura nelle galassie a spirale.

Analizzando le curve di rotazione in un campione di 153 oggetti selezionati dal database SPARC (Spitzer Photometry and Accurate Rotation Curves), McGaugh e colleghi hanno ricavato una relazione di proporzionalità tra l'accelerazione di gravità che subiscono le stelle e il gas osservata nelle galassie e la stessa quantità ma calcolata assumendo la presenza della sola materia ordinaria. Questa correlazione, sebbene ottenuta attraverso delle assunzioni abbastanza forti, mostra che sarebbe possibile riprodurre i dati osservativi senza invocare il contributo della Materia Oscura.

Ciò non implica necessariamente che la Materia Oscura non esista, come invece si vociferava subito dopo la presentazione dei risultati, ma semplicemente che la dinamica e le interazioni dell'elusiva componente mancante potrebbero essere molto più complicate di quanto possiamo immaginare. La ricerca, pubblicata su Physical Review Letters, costituisce senza dubbio un punto di partenza verso una nuova direzione, aiutandoci a comprendere meglio un fenomeno la cui vera natura appare ancora oggi sconosciuta. Per ulteriori dettagli, l'articolo originale di McGaugh et al. è consultabile qui.

Il lensing gravitazionale

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Effetto di strong lensing nell'ammasso MACS 1206. La linea luminosa sulla destra rappresenta la luce di una sorgente retrostante deviata dal campo gravitazionale

Una delle più interessanti conseguenze della Teoria della Relatività Generale di Einstein riguarda il fatto che anche la luce viene deviata dalla presenza di un campo gravitazionale; oggetti massivi deformano i raggi luminosi emessi dalle sorgenti retrostanti, distorcendo e in alcuni casi amplificando l'immagine osservata. Tale fenomeno, noto come lensing gravitazionale, è particolarmente evidente in prossimità di grandi concentrazioni di materia, come gli ammassi di galassie.

In questo caso esiste una regione entro la quale l'effetto di deformazione è estremamente intenso (strong lensing) e produce un'intensificazione notevole della sorgente, immagini multiple di un singolo oggetto e persino giganteschi archi luminosi di indubbia bellezza. La prima evidenza osservativa di più copie dello stesso oggetto prodotte da una lente gravitazionale risale al 1979, quando un gruppo di ricercatori guidati dall'astronomo inglese Dannis Walsh scovò due sorgenti luminose molto simili in intensità e distanti 5.6 secondi d'arco nel cielo. La coppia, soprannominata "I quasar gemelli", venne poi identificata come due differenti immagini della medesima sorgente, generate dalla deformazione della luce causata da una vicina concentrazione di massa.

Allontanandosi dalla regione di strong lensing la deflessione si fa via via più debole (weak lensing) e si manifesta con una leggera distorsione degli oggetti che ne altera lievemente la forma in quelli che vengono chiamati "arclets".

L'intensità e la distribuzione delle immagini riflette la corrispondente distribuzione di materia che realizza l'effetto di lensing. Diversi algoritmi sono stati sviluppati negli anni per ricavare la massa delle lenti gravitazionali, uno dei più famosi è il metodo di Kaiser & Squires del 1993.

Ancora una volta, la quantità di materia che si ottiene tramite queste analisi risulta molto maggiore della quantità di materia visibile, e la proporzione tra le due è straordinariamente simile a quella ricavata dallo studio dinamico della velocità delle galassie. Sarebbe proprio il caso di dire "Coincidenze?...Io non credo" (cit.). Due diversi modi di osservare il cielo conducono alla stessa evidenza: la materia predominante nell'Universo si trova sotto forma di una componente Oscura i cui unici effetti rivelabili sono quelli gravitazionali. Ma di cosa può essere fatta? Quali sono le proprietà che ci aspettiamo possa avere?

Una delle prime idee per spiegare il mistero della massa mancante, se non altro al livello galattico, fu il supporre che essa fosse costituita, almeno per una buona parte, da oggetti astrofisici convenzionali ma con scarsa emissione di radiazione, quali pianeti, nane brune, stelle di neutroni e buchi neri. Questo insieme di candidati venne catalogato con il nome di MACHOs, acronimo di MAssive Compact Halo Objects: tutto ciò che, seppur composto di materia ordinaria, risultasse invisibile alle osservazioni o difficilmente individuabile per via della bassissima luminosità. Per stanarli si pensò allora di sfruttare proprio il lensing. Oggetti così piccoli non riescono a deformare la luce con la stessa intensità di un ammasso di galassie, ma possono pur sempre produrre una leggerissima modifica in principio osservabile, fenomeno noto come microlensing.

All'inizio degli anni Novanta vennero avviate due campagne osservative alla ricerca dei MACHOs nella nostra galassia, ma i risultati ottenuti non furono affatto confortanti: su milioni di stelle osservate solo una ventina mostravano segnali di microlensing! Ciò escluse che i MACHOs potessero essere la fonte principale della materia introvabile. Si faceva sempre più vivida la possibilità di un'origine esotica, qualcosa di totalmente differente dalle particelle finora conosciute.

Abbiamo visto come dall'analisi delle galassie e degli ammassi di galassie sia emersa la necessità di introdurre una materia aggiuntiva per poter descrivere gli strani risultati delle osservazioni. Utilizzando metodi diversi, differenti ricerche hanno condotto negli anni alle stesse conclusioni, seppure la natura della componente mancante rimanga ancora un mistero. Se queste "evidenze" non vi avessero del tutto convinto, nel secondo capitolo ci muoveremo nel mondo della cosmologia, dove altre prove molto forti attendono di essere rivelate; districandoci tra le teorie più comuni e studiate, cercheremo inoltre di rispondere alla domanda più critica: di cosa può essere fatta la Materia Oscura?

 

¹ F. Zwicky, "Spectral displacement of extra galactic nebulae", Helv. Phys. Acta. 6, 110-127 (1933)

² V. Rubin, "Dark matter in spiral galaxies," Scientific American. 248 96-108 (1983)

Lorenzo Pizzuti è laureato in Fisica presso l'Università degli Studi di Perugia e diplomato in pianoforte presso il conservatorio Briccialdi di Terni, è attualmente iscritto al primo anno del dottorato di ricerca in Fisica presso l'Università di Trieste. Lavora in cosmologia all'Osservatorio Astronomico diTrieste (OATS-INAF) principalmente su modifiche della gravità. La sua ricerca prende in esame gli ammassi di galassie, per "leggere" attraverso l'analisi del moto delle galassie e della luce se la gravità si comporta come Einstein ha teorizzato oppure se qualcosa di diverso accade. Ha una prima pubblicazione sulla rivista scientifica JCAP. Oltre all'ambito accademico, è attivo nella divulgazione scientifica,  ha partecipato e vinto la selezione nazionale del concorso "FameLab" nel 2016 e si è classificato tra i primi 12 alla finale mondiale. Siamo felici di annunciarvi che collabora con Tom's Hardware per la produzione di contenuti scientifici.