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Bugatti Automobili SpA, la storia di un breve successo italiano

In provincia di Modena, visibile dall'autostrada, resiste ancora il complesso industriale che un tempo fu la sede della Bugatti Automobili SpA.

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Avatar di Francesco Daghini

a cura di Francesco Daghini

Pubblicato il 06/12/2020 alle 20:00

Lungo l’autostrada del Brennero, all’altezza di Campogalliano in provincia di Modena, sorge un imponente complesso industriale che rappresenta un importante tassello della storia delle automobili in Italia: la Bugatti Automobili SpA. Inaugurata il 15 settembre del 1990 in occasione del compleanno di Ettore Bugatti, questa fabbrica rappresenta il punto più alto dell’espansione del marchio sotto la guida di Romano Artioli, imprenditore italiano che fece fortuna esportando auto Ferrari in Germania. L’obiettivo di Artioli era chiaro: riportare Bugatti sulla scena internazionale, realizzando una nuova spettacolare supercar.

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Per farlo, fu necessaria una fabbrica degna di questo marchio, la fabbrica che oggi giace tristemente abbandonata in provincia di Modena. Il posizionamento fu incredibilmente strategico: nonostante la sede centrale di Bugatti fino a quel momento fosse stata a Molsheim, nel nord-est della Francia, Artioli decise di spostare la produzione in una zona che tutt’oggi vede un’altissima concentrazione di aziende produttrici di supercar. Ferrari, Lamborghini e Maserati infatti si trovano tutte relativamente vicine, il che rendeva più semplice l’approvvigionamento di materiali, ma soprattutto rese più facile l’assunzione di lavoratori esperti nel settore.

Quando si pensa alle linee produttive, si pensa a casermoni grigi, illuminati da tristi luci al neon, ma in Bugatti non fu mai così.

Artioli aveva una visione molto moderna del lavoro, sicuramente diversa rispetto a quella tipica degli anni ’90. Circa 240 persone furono assunte per lavorare alla Bugatti, con l’obiettivo di creare una grande famiglia e non solo un’azienda. La costruzione del complesso fu affidata al cugino di Artioli, Giampaolo Benedini: ne uscì un capolavoro, una linea di produzione estremamente luminosa e ben progettata – grazie alla presenza di imponenti finestre che riempiono anche oggi i capannoni di luce naturale – e degli uffici dall’aspetto futuristico. C’è persino una pista dove testare le auto: per l’epoca, si trattava di una delle fabbriche più moderne in Italia, se non addirittura al mondo.

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Oggi il complesso è quasi completamente abbandonato, ma viene comunque aperto al pubblico – su richiesta – da Enrico Pavesi, la cui famiglia ha forti legami con la Bugatti Automobili SpA. La storia di Enrico si lega in maniera indissolubile con quella di Bugatti, dato che i suoi genitori si sono conosciuti lavorando nella fabbrica durante gli anni ’90.

Entrare nella fabbrica è come fare un salto indietro nel tempo; negli uffici rimangono infatti tanti resti delle attrezzature dell’epoca, come i grossi computer con schermo a tubo catodico, i fax, i calendari dell'epoca ancora in giro.

Per farvi capire quanto la visione di Artioli fosse così avanti rispetto ai tempi voglio farvi due esempi che a mio avviso sono significativi: Bugatti fu tra le prime a realizzare all’interno del proprio polo industriale un’ambiente dedicato al test delle emissioni inquinanti nel 1992, ben prima che l’Unione Europea lo rendesse obbligatorio nel 1995. Inoltre, la fabbrica Bugatti fu anche la prima a organizzare dei tour guidati al suo interno, con largo anticipo rispetto alla concorrenza.

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Photo: Ken Saito

La nuova fabbrica fu presto pronta alla realizzazione della EB110, un’auto che riscosse un enorme successo in tutto il mondo, andando sold-out sul mercato giapponese, e finendo in garage di nomi importanti come il Sultano del Brunei, Ralph Lauren e Michael Schumacher. Nel 1994, secondo quanto riporta Bloomberg, Bugatti raccolse 44 milioni di dollari vendendo la EB110.

Inizialmente progettata da Marcello Gandini, l’auto fu poi modificata nell’estetica dal cugino di Artioli, Benedini, che modificò i finestrini, lo spoiler posteriore e i sedili, irritando Gandini al punto da portarlo a rinnegare il suo lavoro sulla EB110; la visione originale dell’auto, come immaginata da Gandini, fu poi proposta sotto il nome di EB110 SS, una versione più cruda e cattiva di quella classica. Quest’ultima monta un motore da 550 cavalli, mentre la SS arriva fino a 611 cavalli, con una velocità massima di 216 mph pari a 347 km/h. Il 23 maggio 1993, la EB110 SS fece segnare il record del mondo di velocità, 220 miglia orarie pari a 354 km/h, grazie al motore V12 da 3.5 litri con 4 turbine progettato da Paolo Stanzani.

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Il successo della EB110 permise a Bugatti di crescere, acquistando da General Motors il marchio Lotus Car - utile a mettere un piede sul mercato americano sfruttando la rete di vendita Lotus per proporre anche la EB110. In quello stesso periodo in Lotus era in sviluppo una piccola auto sportiva molto leggera, il cui nome in codice era inizialmente “M111” e poi diventò “Lotus E”, fino al giorno in cui Artioli non fu ispirato dalla sua nipotina a chiamare l’auto Lotus Elise.

Ben presto Bugatti iniziò a produrre una seconda auto, la EB112. Stavolta l’obiettivo era molto ambizioso, per andare a pari era necessario produrre almeno 350 auto all’anno: purtroppo non andò così, e dopo aver prodotto appena 3 esemplari – finiti a Torino, in Svizzera, e a Monaco – l’azienda cominciò ad avere difficoltà a causa degli scontri tra Artioli e il project manager dell’epoca, Nicola Materazzi.

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Materazzi individuò dei problemi sulla EB112 poco prima che quest’ultima fosse pronta per la vendita, e allo stesso tempo Artioli si trovò a dover litigare con diversi fornitori della zona che si rifiutavano di lavorare con Bugatti a causa di pressioni subite da altre aziende della zona: questi due aspetti segnarono l’inizio della fine per Bugatti, che chiuse ufficialmente i battenti nel 1995 dopo aver realizzato 139 esemplari di EB110, di cui 33 SS, e solo 3 EB112.

Il tribunale di Modena distribuì gli asset di Bugatti Automobili SpA, e Volkswagen divenne proprietaria del marchio; Artioli offrì a VW la possibilità di utilizzare gratuitamente la fabbrica, le tecnologie e gli operai specializzati della sede italiana, ma il colosso tedesco aveva altri piani, e molto presto riportò Bugatti a Molsheim. La fabbrica non fu mai più utilizzata, dopo essere stata venduta a una ditta produttrice di arredamento che però fallì prima di potersi trasferire.

Oltre alle visite guidate da Enrico Pavesi, il complesso è utilizzato anche per raduni di automobili, e di recente è stato visitato anche da Stephan Winkelmann, presidente della Bugatti Automobiles SAS, a riconoscimento dell’importante valore storico del posto. Ancora oggi, a quasi 30 anni di distanza, la visione di Romano Artioli ha dell’incredibile, nonostante il finale tragico, ed è importante che si continui a raccontare la storia di Bugatti in Italia.

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Fonte dell'articolo: jalopnik.com

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