Il gigante industriale tedesco mostra segni di cedimento strutturale che vanno oltre le normali fluttuazioni cicliche dell'economia. La società di revisione EY ha documentato una contrazione dell'occupazione manifatturiera che assume proporzioni drammatiche: oltre 100.000 posti di lavoro sono svaniti nell'arco di dodici mesi, con il settore automobilistico che da solo rappresenta quasi la metà di questa emorragia occupazionale. Per un Paese che ancora oggi ricava un quinto della propria ricchezza nazionale dalle quattro ruote, questi numeri assumono il carattere di un vero e proprio shock sistemico.
L'analisi condotta sui dati dell'Ufficio statistico federale rivela che al 31 marzo scorso l'industria tedesca impiegava 5,46 milioni di persone, registrando un calo dell'1,8% su base annua. Ma è il confronto con i livelli pre-pandemia a restituire la portata reale della crisi: sono 217.000 i posti perduti rispetto al 2020, cifra che sale a 240.000 se si considera il picco storico del 2018, quando gli addetti sfioravano i 5,7 milioni. Il comparto automobilistico ha subito il colpo più duro, con 45.400 lavoratori usciti nell'ultimo anno soltanto, equivalenti al 6% dell'intera forza lavoro del settore.
La geografia occupazionale dell'automotive tedesco si è ridisegnata in modo radicale negli ultimi anni. Dai quasi 900.000 addetti del periodo pre-pandemico si è passati agli attuali 734.000, una contrazione di oltre 150.000 unità che testimonia una trasformazione profonda del tessuto industriale nazionale. Le proiezioni per i prossimi mesi non offrono sollievo: EY prevede la possibile perdita di altre 70.000 posizioni entro fine anno, concentrate prevalentemente nella meccanica e nell'industria automobilistica.
La crisi attuale ha messo in luce le fragilità strutturali del modello economico costruito durante i sedici anni di governo Merkel. L'eccessiva dipendenza dalle esportazioni, l'impennata dei costi energetici dovuta all'abbandono del nucleare e alla precedente dipendenza dal gas russo, insieme a una burocrazia sempre più opprimente, hanno creato un cocktail tossico per la competitività industriale. A questi fattori si aggiunge il deterioramento delle infrastrutture, conseguenza di un rigore di bilancio spinto fino a livelli che molti economisti definiscono patologici.
Il vincolo costituzionale del "freno al debito" (Schuldenbremse) è diventato il simbolo di questa rigidità fiscale che ha limitato gli investimenti pubblici per anni. Non a caso, l'attuale governo ha aperto alla possibilità di una sua riforma, riconoscendo implicitamente che il dogma dell'austerità potrebbe aver contribuito al declino industriale del Paese.
Tuttavia, non tutti gli analisti condividono una visione apocalittica del futuro industriale tedesco. Alcuni sottolineano che settori tradizionalmente forti come la chimica e la farmaceutica mantengono una sostanziale tenuta, mentre altri richiamano la capacità storica della Germania di reinventarsi nei momenti di crisi più profonda. Il successo dell'era Merkel, del resto, affonda le radici nell'Agenda 2010 di Gerhard Schröder, il pacchetto di riforme che all'inizio del millennio riuscì a trasformare quello che allora veniva definito "il grande malato d'Europa" nella sua locomotiva economica.
L'Associazione tedesca dell'industria automobilistica (VDA) ha lanciato un appello urgente alla classe politica, chiedendo interventi immediati per arginare l'erosione della competitività nazionale. La risposta è arrivata dalla coalizione guidata dal neocancelliere Friedrich Merz, che ha presentato quello che molti definiscono un "bazooka economico": un piano di investimenti pubblici da mille miliardi di euro accompagnato dalla riforma del freno al debito costituzionale.
Questo cambio di paradigma rappresenta una svolta epocale per un Paese che ha fatto dell'ortodossia fiscale il proprio marchio distintivo. Gli investimenti programmati dovrebbero concentrarsi su digitalizzazione, transizione energetica e modernizzazione delle infrastrutture, settori considerati cruciali per rilanciare la competitività industriale tedesca nel contesto globale.
La sfida è complessa e i tempi stringenti. Mentre altri competitor internazionali accelerano su innovazione e sostenibilità, la Germania si trova a dover recuperare terreno perduto combattendo contemporaneamente su più fronti: dalla riconversione dell'industria automobilistica verso l'elettrico alla ridefinizione del proprio mix energetico, passando per la semplificazione burocratica e il rilancio degli investimenti pubblici. Il futuro del modello industriale tedesco si gioca nei prossimi mesi, in una partita che avrà ripercussioni sull'intera economia europea.