L'implementazione dell'intelligenza artificiale nelle aziende italiane non è mai una materia semplice. Si tratta di un cambiamento culturale profondo che richiede un approccio strutturato e personalizzato alla formazione, capace di adattarsi alle diverse esigenze dei reparti aziendali e dei livelli dirigenziali. La sfida principale non consiste tanto nell'installare ChatGPT sui computer dell'ufficio, quanto nel costruire una mentalità critica che permetta di sfruttare al meglio queste tecnologie senza caderne vittima.
La formazione aziendale sull'IA si articola principalmente attraverso due modalità complementari. L'approccio verticale prevede un'immersione completa nei processi aziendali specifici, dove i formatori analizzano le attività quotidiane di ciascun dipartimento per individuare dove e come l'intelligenza artificiale possa migliorare la produttività. L'approccio orizzontale offre invece una visione più ampia delle potenzialità economiche e sociali di queste tecnologie, evidenziando come gli strumenti di AI non si muovano per settori industriali ma per funzioni aziendali comuni a tutte le imprese.
Una peculiarità interessante emerge quando si analizza la trasversalità dell'AI rispetto alle strutture organizzative tradizionali. Che si tratti di un'azienda farmaceutica, metalmeccanica o del settore automotive, i dipartimenti come marketing, finanza, amministrazione e risorse umane condividono processi simili che possono beneficiare delle stesse soluzioni di intelligenza artificiale. Questo approccio permette di sviluppare competenze trasferibili che superano i confini dei singoli settori merceologici.
Nel campo del marketing, per esempio, l'introduzione dell'IA parte necessariamente dalla comprensione dei flussi di lavoro esistenti. Prima di implementare qualsiasi strumento, è fondamentale mappare come vengono prodotte le campagne pubblicitarie, dalla strategia iniziale alla creazione degli asset creativi fino alla pianificazione media. Solo dopo questa analisi diventa possibile integrare chatbot specializzati che fungano da interlocutori aggiuntivi per i team creativi, offrendo prospettive alternative durante le sessioni di brainstorming.
Come spiega Mario di Girolamo di Busha AI, il nodo critico della formazione riguarda la gestione dei limiti intrinseci delle AI generative. "Le allucinazioni e i bias rappresentano problemi strutturali che non possono essere eliminati ma solo mitigati attraverso una consapevolezza costante". Le allucinazioni si verificano quando il sistema produce informazioni plausibili ma false, mentre i bias derivano dal fatto che questi modelli sono addestrati sullo scibile umano, ereditandone tutti i pregiudizi sistemici. Un esempio lampante riguarda la selezione del personale: se un'IA viene addestrata su curriculum storici di posizioni tradizionalmente occupate da uomini, tenderà a favorire candidati maschili indipendentemente dal merito.
La vera sfida pedagogica consiste nell'insegnare alle persone a dubitare sistematicamente degli output dell'intelligenza artificiale. Gli strumenti di AI generativa producono risultati che appaiono convincenti e ben confezionati, proprio perché si basano su un'architettura stocastica che calcola la probabilità delle risposte. Quando un modello analizza l'immagine di un gatto, internamente potrebbe determinare una probabilità del 70% che sia un gatto e del 30% che sia un cane, ma restituirà una risposta netta: "Questo è un gatto". La macchina lavora con margini di incertezza che gli utenti umani raramente percepiscono.
Per superare questo ostacolo cognitivo, i formatori mostrano gli studi condotti da aziende come Anthropic sul funzionamento interno dei Large Language Models. Quando i partecipanti ai corsi comprendono di interagire con una macchina e non con un'intelligenza simile a quella umana, "scatta una presa di coscienza fondamentale". Tuttavia, questo approccio presenta un limite: funziona efficacemente durante le sessioni di formazione in presenza, ma nove aziende su dieci arrivano a questi corsi già affascinate dall'effetto "wow" della tecnologia, senza una reale comprensione dei suoi meccanismi.
Mantenere l'abitudine alla verifica rappresenta un'ulteriore sfida nel tempo. È relativamente semplice convincere qualcuno a controllare i risultati per un mese, ma la tendenza naturale porta a rilassare progressivamente questa vigilanza. La soluzione adottata prevede un approccio dall'alto verso il basso: formando prima il livello manageriale e poi gli operativi, si innesca uno shift culturale che trasforma il controllo degli output in un'abitudine aziendale consolidata, simile a qualsiasi altra procedura standard.
L'evoluzione degli strumenti facilita questo processo: le nuove funzionalità come la "deep research" permettono di risalire alle fonti delle informazioni fornite dall'AI, rendendo la verifica più accessibile. Il vero rischio, però, è rappresentato dalla tentazione di affidarsi completamente agli output dell'intelligenza artificiale per attività strategiche, dimenticando che questi strumenti dovrebbero rimanere supporti aggiuntivi per il ragionamento umano. Il caso di Deloitte Australia, costretta a risarcire il governo per un documento errato prodotto con l'AI, illustra perfettamente questa problematica: in un report di 400 pagine con l'80% di informazioni corrette, individuare il 20% di contenuti falsi diventa un'impresa titanica.
Esiste tuttavia una distinzione fondamentale tra attività che richiedono pensiero critico e compiti ripetitivi a basso valore aggiunto. "Se un'intelligenza artificiale riesce a sostituire completamente il lavoro di qualcuno, probabilmente quella persona non stava svolgendo un'attività particolarmente strategica". Le mansioni ripetitive che non richiedono programmazione, prioritizzazione o creatività rappresentano i candidati ideali per l'automazione, liberando risorse umane per compiti più complessi. Questo scenario apre necessariamente la questione dell'upskilling e del reskilling professionale.
Per i dirigenti di alto livello, le esigenze formative assumono contorni differenti. "I manager che gestiscono portafogli miliardari o guidano multinazionali necessitano di un approccio sartoriale, spesso strutturato in incontri one-to-one bisettimanali o settimanali". Questi programmi non si limitano a riassumere le ultime novità tecnologiche, ma instaurano un dialogo bidirezionale dove formatori e dirigenti si assegnano reciprocamente compiti specifici. L'obiettivo è duplice: mantenere i decision maker aggiornati su un panorama tecnologico in rapidissima evoluzione e aiutarli a identificare opportunità di applicazione concrete nel loro specifico ambito di responsabilità.
La velocità di innovazione nel campo dell'intelligenza artificiale rende impossibile per chi ricopre posizioni apicali seguire autonomamente tutti gli sviluppi. Il lancio di nuovi modelli come Gemini 3 con capacità avanzate di generazione di immagini o strumenti di programmazione come Claude Code può rappresentare un vantaggio competitivo significativo, ma solo se i vertici aziendali comprendono tempestivamente le implicazioni strategiche di queste innovazioni. La formazione diventa quindi un ponte essenziale tra l'evoluzione tecnologica e le decisioni strategiche aziendali, garantendo che le scelte vengano prese con piena consapevolezza delle possibilità offerte dagli strumenti più recenti.