La narrazione dominante sull'intelligenza artificiale ci ha abituati a immaginare un futuro in cui algoritmi onniscienti trasformano istantaneamente i processi aziendali. La realtà, tuttavia, è molto più frammentata e, per certi versi, ironica. Mentre i consigli di amministrazione discutono di strategie data-driven e investimenti milionari in GenAI, chi sta realmente integrando questi strumenti nel flusso di lavoro quotidiano? Sorprendentemente, sono gli stagisti.
Secondo un'analisi recente riportata dal Wall Street Journal, c'è uno scollamento evidente tra chi potrebbe beneficiare dell'IA (i professionisti senior con esperienza per validare gli output) e chi la usa davvero. I dati di Workhelix su un gigante farmaceutico mostrano infatti che la "disponibilità a sperimentare" è inversamente proporzionale all'anzianità aziendale. Siamo di fronte a una rivoluzione che parte dal basso, guidata da una generazione che vede nell'IA non una minaccia, ma un leva necessaria per colmare il gap di esperienza.
Il Paradosso di Solow 2.0
Questo scenario ci riporta prepotentemente al 1987 e al celebre Paradosso di Solow: "Si vede l'era dei computer ovunque, tranne che nelle statistiche sulla produttività". Oggi accade lo stesso. McKinsey rileva che, sebbene molte aziende abbiano avviato progetti pilota, solo una su venti ha integrato l'IA in modo talmente profondo da generare un impatto significativo sugli utili.
Il problema non è la tecnologia, ma l'organizzazione. Fornire accesso a ChatGPT Enterprise o a Copilot non basta se i processi restano analogici. È qui che entra in gioco la leadership. Il caso di LogicMonitor è emblematico: per superare l'inerzia, la dirigenza ha dovuto imporre una direttiva esplicita di sperimentazione. Il risultato? Il 96% dei dipendenti ora utilizza l'IA, e sono stati creati oltre 1.600 chatbot personalizzati per ottimizzare tutto, dalla preparazione delle vendite all'analisi legale. Senza una governance forte che incentivi il rischio calcolato, l'IA resta un giocattolo costoso nelle mani di pochi appassionati.
Tra applicabilità e sostituzione: l'equivoco di Microsoft
Un recente studio di Microsoft Research aveva acceso il dibattito posizionando storici e scrittori in cima alla lista delle professioni più esposte all'IA. Tuttavia, come hanno chiarito successivamente i ricercatori, c'è una differenza sostanziale tra applicabilità e sostituzione.
L'alta applicabilità indica dove l'IA può agire da "copilota", gestendo sottotask ripetitivi o di sintesi, liberando il professionista per attività a maggior valore aggiunto. Il database O*NET, utilizzato per queste mappature, non cattura le sfumature del giudizio etico, dell'empatia o della comprensione contestuale profonda, che restano prerogative squisitamente umane.
La sfida per le aziende italiane, e in particolare per le PMI, non è decidere se adottare l'IA, ma come orchestrare questo cambiamento culturale. Se lasciamo che l'adozione sia guidata solo dall'entusiasmo disordinato dei neoassunti o bloccata dallo scetticismo dei senior, rischiamo di creare un ambiente di lavoro a due velocità, inefficiente e conflittuale.
Dobbiamo comunque occuparci del rischio di una profonda crisi occupazionale. Ma nell’immediato è capire come bilanciare queste diverse tendenze e trovare il modo di usare questa tecnologia nel nostro lavoro quotidiano, aumentando i benefici senza aumentare di pari passo i problemi.