Archive 81 - Universi Alternativi, i misteri del passato

Archive 81 - Universi Alternativi: su Netflix passato e presente entrano in contatto in questa nuova serie.

Avatar di Manuel Enrico

a cura di Manuel Enrico

Scavare nel passato non sempre si rivela un’idea felice, considerato che, come ci hanno più volte insegnato cinema e serie tv, certi segreti andrebbero lasciati alle nostre spalle. A ribadire questo concetto è la nuova serie Netflix Original, Archive 81 – Universi Alternativi, al cui centro abbiamo proprio una particolare indagine nel passato. Una serie dalla complessa identità, capace di passare dal thriller al paranormale, inserendosi all’interno di una tradizione narrativa che ha fatto della graffiante indagine nel sovrannaturale e nei segreti a lungo taciuto la propria ragion d’essere. Il servizio streaming di Reed Hastings ha già, nel proprio catalogo, una serie di produzioni che si basano su questo spunto, dalla serie tedesca Dark all’horror transalpino Marianne, giusto per citare due titoli a tema.

Se vogliamo ampliare il discorso, invece, potremmo andare più indietro del tempo, dove si trovano anche le radici stilistiche di Archive 81 – Universi Alternativi. L’idea di serializzare il paranormale e intrecciarlo alla nostra quotidianità risale ai primi esperimenti seriali, con la celebre The Twilight Zone, capostipite di un concept che si è evoluto arrivando a generare cult del piccolo schermo come X-Files o stimolando la fantasia di registi che hanno visto in questa modalità di racconto a scatole cinesi una vis narrativa appagante. E qui, si ritorna a quel piccolo fenomeno che fu all’epoca il primo The Blair Witch Project.

Archive 81 - Universi Alternativi, inquietanti verità dal passato

Può sembrare curioso che questi titoli vengano relazionati a Archive 81 – Universi Alternativi, ma la produzione di Netflix si appoggia proprio agli archetipi narrativi delle opere citate, non solo per un oramai rodato meccanismo di citazionismo nostalgico, apertamente confessato nella serie, ma anche nella costruzione della complessa trama di questi otto episodi. Un’architettura narrativa che vuole strizzare l’occhio a un immaginario ansiogeno moderno, vicino al creepypasta, giocando su un rapporto con la passione del protagonista per il vintage che si colloca all’interno dei quel meccanismo della nostalgia che negli ultimi tempi ci ha riportata nella Matrice con Matrix Resurrections.

Dan Turner (Mamoudu Athie) è un giovane newyorkese che lavora presso il Museum of Moving Image, specializzato nel recupero e valorizzazione di testimonianze audiovisive. Il campo in cui Dan eccelle è il recupero e restauro dei vecchi nastri magnetici, come le VHS,  una specializzazione che lo porta a entrare in contatto con una strana associazione, che lo ingaggia per un lavoro particolare: restaurare una serie di videocasette rovinate durante un incendio. Un incarico che Dan inizialmente vorrebbe rifiutare, considerato che da bambino perse la propria famiglia nel rogo della loro abitazione, ma infine la proposta di lavorare in un posto isolato dove poter recuperare una parvenza di normalità dopo un brutto esaurimento nervoso lo spinge ad accettare. Complice la curiosità suscitata in lui dalla segretezza che avvolge questo incarico, che si unisce al fatto che il suo datore di lavoro sembra conoscere particolarmente bene la sua vita e il suo tragico passato.

Giunto sul suo nuovo luogo di lavoro, Dan scopre che non ci sono connessione internet e che nemmeno i cellulari prendono, gli unici contatto con il mondo esterno avvengono tramite una vecchia linea fissa. Durante il recupero delle videocassette risalenti ai primi anni ‘90, Dan scopre che sono realizzate da Melody Pendras (Dina Shihabi), che per il proprio dottorando stava svolgendo un’indagine video realtiva al caso di un palazzo dell’East Village, che riteneva essere al centro di una leggenda urbana relativa alla presenza di oscure vicende. Secondo le informazioni in possesso di Dan, Melody sarebbe morta durante il rogo dello stesso palazzo, ma restaurando questi nastri scopre una verità incredibile: la ragazza era in cura presso il padre di Dan.

Una scoperta che proietta Dan in un’indagine sempre più personale, che lo porta ad addentrarsi in un mistero inquietante che scava profondamente nel suo passato.

Archive 81 – Universi Alternativi, pur cercando di ritagliarsi una propria identità, non manca di far trasparire una certa attinenza ai classici del genere. Una scelta stilistica deliberata, che viene rinforzata con una serie di battute e palesi citazioni a cult del calibro di Shining, costruendo un background che avvolge lo spettatore grazie a una familiarità con la vena emotiva della serie, basando il tutto su una passione per il vintage. Una natura che è definita dalla presenza di nomi noti, come la showrunner Rebecca Sonnenshine (The Boys), regista anche del primo episodio, che ha firmato la sceneggiatura insieme al veterano del cinema horror Paul Harris Boardman (Liberaci dal Male, L’esorcismo di Emily Rose). A dare ulteriore spessore è la presenza nel ruolo di produttore esecutivo di James Wan, regista con all’attivo diverse pellicole horror come Saw o The Conjuring, cui si è recentemente aggiunto Malignant.

Questo think tank artistico ha una certa esperienza in tema di horror emozionale, in cui a trasmettere il senso di angoscioso pericolo sono le tensioni emotive dei personaggi. Un telaio narrativo complesso, giocato su due piani temporali inizialmente solo tangenti, con un parallelismo legato al lavoro di Dan, che ci apre una finestra sul passato di Melody, creando i presupposti di questa intricata storia. Premesse intriganti che non sempre trovano piena concretezza, con una caratterizzazione dei personaggi che in alcuni momenti sembra perdere di focus, quasi che la trama non abbia sufficiente coraggio per spingersi in particolari direzioni, preferendo rimanere all’interno di un meccanismo narrativo sufficientemente rodato.

Un segreto avvolto nel tempo

Stilisticamente, alcune scelte sono perfette per far emergere alcuni tratti specifici di Archive 81 – Universi Alternativi. Ogni episodio inizia con una sorta di trailer di vecchi film horror realizzati negli anni ’90, una sorta di inno al found footage che è alla base della narrativa della serie. Una concezione che si sposa anche con la dinamica con cui viene introdotto il piano temporale di Melody, partendo da una visione delle registrazioni, un punto di vista distaccato, salvo poi addentrarsi all’interno della vita della giovane, coinvolgendo lo spettatore. Se nei primi episodi si cerca un certo equilibrio tra la vita di Dan e di Melody, creando una sinergia emotiva graffiante e cupa tra i due, in breve il passato assume maggior importanza, lasciando poco spazio a Dan, che sembra mancare di approfondimento. Un distacco percepibile anche visivamente, con una fotografia tendente alle tinte giallastre nel passato che lasciano spazio a toni più freddi e oscuri nel presente, perfetti per dare un senso di claustrofobica inquietudine alla pressante ricerca di Dan.

A reggere il peso di questa complessa trama sono Mamoudu Athie e Dina Shihabi, perfetti nel dare vita ai loro personaggi. Coinvolti in questa narrazione dal ritmo lento ma inesorabile, i due interpreti reiscono a creare una spettacolare alchimia, che sana alcune complicazioni narrative. Va riconosciuto a Archive 81- Universi Alternativi l'avere voluto cercare un nuovo modo di raccontare l'horror, emotivo più che visivo, in cui divere suggestioni trovano spazio, complice la regia affidata a differenti registi che interpretano a modo proprio gli elementi centrali della serie, preservandone la natura ma al contempo offrendone differenti incaranzioni. Ne risulta una natura unica, inconfondibile, ma capace di lanciarsi in guizzi estetici personali, aggirando il pericolo di una piattezza narrativa.

Impeccabile l’uso della colonna sonora e degli effetti sonori per trasmettere il sentore di graffiante irrealtà di questa vicenda. In Archive 81 – Universi Alternativi la musica è profonda, cupa, ritmica, pensata per acuire le sensazioni dei protagonisti, capace di trasformare anche il silenzio in una voce angosciante.

Pur mostrando un certo fascino, Archive 81 – Universi Alternativi sembra peccare di poca convinzione. La sceneggiatura sembra essere viziata da un’eccessiva, convoluta voglia di aggiungere quanti più cliché del genere, non riuscendo a trovare un punto di equilibrio, lasciando che la trama sia senza una definizione completa, salutando lo spettatore alla fine della serie con una sensazione di incompletezza. Il finale aperto di Archive 81 – Universi Alternativi potrebbe lasciare aperte la possibilità a una seconda stagione, occasione perfetta per concludere questa curiosa vicenda.