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Principi di esistenzialismo, Pixar si mette in cattedra

Pixar si dimostra scrupolosa interpretatrice e impavida pioniera nell'affrontare il delicato tema del senso della vita.

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Avatar di Francesco Fauci

a cura di Francesco Fauci

Pubblicato il 24/01/2021 alle 08:30 - Aggiornato il 09/08/2022 alle 13:48

Il termine scopo deriva dal greco skopéō, osservare attentamente. Lo troviamo spesso come elemento di parole composte, come teleskopos ("che vede lontano") o proscopos ("esploratore"). In comune, la costante accezione a qualcosa di lontano, di altro, da individuare e da raggiungere. Dalle colonne del Partenone ai viaggi parabolici di SpaceX, è naturale come, ancora oggi, quando si parla di senso della vita, il concetto di scopo sia intrinsecamente legato a un obiettivo esterno. Ma è necessariamente così?

Era il lontano 1998 quando il giovane neolaureato Pixar presentava al mondo uno dei suoi primi progetti di ricerca sul tema, dal titolo A Bug's Life. Come ogni anno, in vista dell'inverno in arrivo, le cavallette impongono un pesante tributo in viveri alla colonia di formiche. Tra queste c'è Flik, giovane puro di cuore e geniale inventore, che a causa della sua sbadataggine viene spesso isolato dai suoi simili. Dopo l'ennesimo involontario pasticcio, Flik si offre per cercare altri insetti e combattere le cavallette, al fine di espiare le sue colpe. Così, radunata un'improbabile e variegata squadra di vendicatori, sarà proprio la perseveranza di Flik nel suo sogno di essere grande inventore a costituire il primo passo della rivolta: un finto uccello, costruito con rami e foglie, che dovrà essere sollevato in cielo per spaventare le temutissime cavallette.

Ho solo 24 ore di vita, non le sprecherò certo qui!

Senza cedere a spoiler sul finale per i pochi che ancora non avessero visto la pellicola, troviamo allo stato embrionale una riflessione destinata a diventare punto cardine delle future produzioni: avere la fiducia di ascoltarsi e il coraggio di farlo, perseguendo i propri scopi indipendentemente da qualsivoglia pressione sociale.

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Topi chef e Regine nubili

Anno 2007: cambiano gli ingredienti, ma non la sostanza. Con oltre 600 milioni di dollari di incassi, Ratatouille conquista i palati di pubblico e critica. Remy è un piccolo topolino dall'olfatto straordinario con un sogno più grande di lui: diventare cuoco. Ad aiutarlo in questa folle impresa Linguini, sguattero ingenuo e maldestro dal cuore immenso. Insieme saranno tenuti ad affrontare il caustico giudizio del temibile Anton Ego, fermamente arroccato nella sua convinzione che non tutti possano cucinare. Ed è in questo momento che l'antagonista sveste i panni del solitario e taciturno critico enogastronomico, per assumere quelli di un nemico molto più infido e diffuso, il pregiudizio. Proprio quel pregiudizio di cui, volenti o nolenti, siamo intrisi, che blocca le scelte in partenza, le nostre e quelle degli altri. La ricetta per superarlo? Molto fegato, un pizzico di sventatezza e tanta collaborazione. Fortuna q.b.

Non tutti possono diventare grandi artisti, ma un grande artista può celarsi in chiunque

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Passano gli anni e Pixar non si ferma, riuscendo puntualmente nel difficile compito di intercettare il cambiamento della società civile e delle sue problematiche. Nel 2012 esce The Brave: protagonista la principessa Merida, ragazza che, come molti, è incanalata in una vita non sua, fatta di riverenze, matrimoni combinati e pranzi di corte. Lei ama cavalcare, il vento tra i suoi proverbiali capelli rossi e tirare con l'arco. Così, coraggiosamente, in maniera testarda e anche sbagliando, decide di rinnegare la tradizione, di rompere le catene scatenando l'ira materna. È una storia di sana ribellione, e per questo salva in pieno la traduzione italiana del titolo. Sana perché difficile, sana perché universale, soprattutto quando si parla di dinamiche familiari. Mostra ai figli che non è sbagliato essere diversi e ai genitori che è giusto accettare, anche qualora si tratti di affidare il destino di un regno a una figlia senza marito.

Io gareggerò per ottenere la mia mano!

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Musica e morte

Con Coco (2017) l'ormai affermato professor Pixar continua a conquistare cervello e cuore del grande pubblico. La pellicola prende spunto dal Día de los muertos per raccontare la storia di Miguel, aspirante musicista cresciuto in una famiglia in cui la musica è bandita da generazioni. Stanco di sottostare al divieto, il ragazzino si trova costretto a rubare una chitarra da un tomba, venendo improvvisamente catapultato nel regno delle anime. Lì incontra i suoi familiari defunti, e scopre di avere poco tempo per tornare nel mondo dei vivi e non rimanere per sempre intrappolato  in quella dimensione. Vero e proprio film di transizione,  Coco riprende tematiche del passato ed anticipa quelle che vedremo in futuro.

Ritroviamo la ribellione, ma sotto una luce diversa. Non è più la paura dell'ignoto, di uscire dagli schemi, quella che ci blocca. La prospettiva viene ribaltata, e ora il mostro da sconfiggere diviene la paura del noto, di ripetere gli stessi errori del passato, delle colpe dei padri che si ripercuotono sui figli. La famiglia di Miguel, infatti, è paradossalmente progressista: è Miguel, invece, il conservatore. Vengono inoltre inseriti nuovi, reagenti perfetti della miscela esplosiva che sarà, qualche anno dopo, Soul. Parliamo della musica, con il suo potere salvifico, e della morte, realtà da accettare con compassione, perché "nessuno muore sulla Terra finché vive nel cuore di chi resta". Ed ecco che la realizzazione del sogno del protagonista assume una dimensione più ampia rispetto al "semplice"  perseguimento del senso della vita: diviene strumento di risoluzione di dinamiche familiari, perché la felicità del singolo è la felicità del gruppo.

Credo che siamo l'unica famiglia in Messico a odiare la musica, e a loro va bene così ma io non sono come il resto della famiglia

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Il gran finale

Pensate a quando state guardando un bellissimo spettacolo pirotecnico: la testa rimbomba, avete gli occhi colmi di meraviglia, ma in cuor vostro sapete che ognuno aspetta la chiusura, il gran finale, che lascerà tutti a bocca aperta. Ecco, ci siamo. Non ci dilungheremo a riassumere Soul (2020), che abbiamo già recensito qui, ma cercherò di concentrare la riflessione al tema da noi trattato, quello dello scopo, del senso della vita. Finora ci è stato detto che la ragione della nostra esistenza risiede nel realizzare il proprio sogno, nell'ascoltare il proprio demone socratico, indipendentemente da ogni ostacolo che famiglia e società ci frappongano. E sia ben chiaro, questo è un meraviglioso traguardo: se vuoi ballare, balla; se vuoi scrivere, scrivi; se vuoi coltivare, coltiva. Oggi, diversamente alle generazioni passate, noi abbiamo effettivamente questa possibilità. Ma qual è il contraltare di tutto questo?

A ben vedere, la libertà di realizzarci porta con sé un immane fardello latente: il dovere, verso noi stessi, di farlo. Diventiamo gli unici responsabili della nostra felicità, non potendo più additare cause esterne che ci abbiano impedito di essere come volevamo essere. Non abbiamo  più scuse. E se non riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo? E peggio ancora, se una volta raggiunto l'obiettivo non dovesse essere come immaginato? Se, molto semplicemente, ci fossimo sbagliati? Il rischio è rimanere schiacciati da questa colossale responsabilità. Ed è proprio in questo momento che arriva Pixar con Soul, che ci regala ossigeno, ci tranquillizza, ci abbraccia. Questa citazione, a nostro parere, ha una portata deflagrante.

"La scintilla non è lo scopo di una persona. Oh, voi mentori e le vostre passioni, i vostri scopi, il senso della vita.. così basici"

Improvvisamente una boccata d'aria, e viene messa in discussione la contemporaneità in cui siamo immersi: lo scopo non è più qualcosa di esterno, di lontano, da raggiungere lottando con tutte le nostre forze. E' qualcosa di interno, di primordiale, che abbiamo dentro dalla nascita e che abbiamo l'unico compito di non dimenticare. È la voglia di vivere.

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