Il divin codino: recensione del film Netflix sulla vita di Roberto Baggio

Il divin codino è il nuovo film biografico di Netflix basato sulla figura del calciatore Roberto Baggio. Ecco la nostra recensione.

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a cura di Simone Soranna

Il 26 maggio arriva su Netflix uno dei film più attesi dagli amanti del calcio: Il divin codino. Diretto da Letizia Lamartire e tratto dalla biografia di Raffaele Nappi, il film racconta buona parte della vita di Roberto Baggio, dalla sua infanzia sino ai titoli di coda (che corrispondono ai titoli di chiusura del film) della sua carriera. Tuttavia, dei circa 22 anni di vita compressi in un'ora e mezza da Il divin codino, la scelta narrativa del film è quella di focalizzarsi quasi esclusivamente sui mondiali del 1994 e su quel maledetto rigore sbagliato da Baggio proprio in finale, contro il Brasile.

Il divin codino: Inferno e Paradiso

Sicuramente, l'aspetto più interessante de Il divin codino è la sua dimensione spirituale. Sia ben inteso, Roberto Baggio si è convertito alla religione buddista sin da ragazzo (come il film mette bene in scena), quindi toccare un simile tema all'interno di un film biografico dedicato a una delle icone del calcio italiano non solo non è affatto fuori posto, ma sarebbe stato probabilmente sorprendente il contrario. Eppure, la regia di Letizia Lamartire (che molti già conosceranno dato che ha diretto diversi episodi della serie Baby, sempre su Netflix) prova a tematizzare questo aspetto facendo proprio i conti con l'aura divina del campione.

Il divin codino viviseziona il corpo del protagonista. Si concentra sui suoi piedi, sui suoi capelli, sui suoi occhi. Baggio viene rappresentato come una sorta di Messia, un mito irraggiungibile capace di ispirare milioni di appassionati in tutto il mondo. Proprio come una qualsiasi divinità, anche il calciatore ha un forte seguito, è destinato a creare delle aspettative e lasciarsi schiacciare dall'insostenibile responsabilità che un Paese intero gli sta delegando. Tuttavia, prima di essere un dio, Roberto Baggio è stato un discepolo, un umano. Un ragazzo comune, con la passione per il pallone, un rapporto da risolvere con il padre scontroso e il sogno di vincere la Coppa del Mondo battendo in finale proprio il Brasile. Per raggiungere il suo scopo, il divin codino è disposto a tutto e si affida anche alla grazia delle sue divinità.

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La finale dei mondiali del '94 diventa così centrale per Il divin codino perché rappresenta il paradiso e l'inferno vissuti dal calciatore: il massimo dei propri sogni che si trasforma in un incubo senza fine. Nel momento in cui Roberto Baggio poteva diventare in un dio in tutto e per tutto, crolla umanamente e si mostra con tutte le sue fragilità. Quel rigore, che è parte integrante della Storia del nostro calcio, sarà la sua ossessione per tutta la vita. Solamente la famiglia, il buddismo e il sostegno dei tifosi di tutta Italia riusciranno ad aiutare il dio caduto nel risollevarsi e uscire da un tunnel psicologicamente troppo profondo dal quale poter emergere da soli.

Poco sport, tanto cuore

Come si può quindi evincere dalle parole sinora riportate, Il divin codino non è un film sportivo. Certo, l'ambientazione narrativa è ovviamente quella e il progetto prova a dare uno spaccato di cronaca agonistica di quegli anni portando in scena numerosi allenatori e volti noti che hanno intrecciato il cammino di Baggio (si va da Sacchi a Mazzone, passando per Trapattoni, Maldini, Costacurta...). Eppure non siamo di fronte a un'operazione cronachistica come in parte fu Mi chiamo Francesco Totti, il documentario di Alex Infascelli vincitore del David di Donatello. Non siamo nemmeno dalle parti della narrazione epica e appassionata di Federico Buffa. Il divin codino è piuttosto un dramma, un film introspettivo che racconta appunto un'ossessione e tutte le conseguenze che essa si porta inevitabilmente dietro.

Proprio per questo, i momenti più riusciti del film sono quelli di stampo emotivo, girati tra le mura domestiche del campione, mentre fa i conti con la moglie, i figli e i suoi genitori. Il rapporto tra Roberto e suo padre, soprattutto, è probabilmente la componente di maggiore impatto de Il divin codino. Letizia Lamartire è brava nel descrivere il loro legame come una ferita ancora aperta ma che tende a una cucitura sentita e duratura. Roberto e suo padre hanno caratteri molto simili e, per questo motivo, tendono ad allontanarsi. Ciò che li unisce però sarà in grado di valicare il tempo e soprattutto l'orgoglio che a lungo li ha tenuto separati.

Quello che invece funziona meno all'interno nell'economia del film è proprio la sua vena più cronachistica. Dato che Il divin codino non vuole fare i conti con l'epicità sportiva del racconto, quando la regista conduce il progetto lungo quei binari il film mostra il fianco alle insidie più problematiche. I personaggi di contorno sono solo abbozzati e spesso sembrano delle caricature macchiettistiche più che delle maschere in grado di influenzare il percorso del protagonista. Stesso dicasi per le sequenze sportive, girate in sottrazione (probabilmente a causa del budget) e che rischiano così di risultare troppo frettolose e senza un vero peso specifico all'interno del dramma di Baggio.

Conclusioni

Il divin codino si prefigge un obiettivo ben preciso: dimostrare come nella vita di Baggio, ma anche in quella di tutti noi, lo scopo ultimo è il viaggio, non la meta. Così come il giocatore ha imparato ad avere vinto la sua gara più importante, quella della vita, perdendo la finale dei mondiali, tutti possiamo prendere spunto dalla sua parabola per smetterla di essere ossessionati dai nostri scopi. La regista riesce a delineare bene questo tema ma non riesce a convincere quando invece la narrazione si sposta sullo sport e la sua epica. Così, il film funziona ma solo per metà, divenendo un lungometraggio più concettuale del previsto e meno emotivo di quanto avremmo sperato.