Lost in Space Stagione 3, recensione: la conclusione dell'avventura della famiglia Robinson

Lost in Space Stagione 3: la serie arriva al suo finale, mostrando l'ultimo capitolo dell'avventura della famiglia Robinson

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a cura di Manuel Enrico

Come abbiamo visto nella nostra anteprima pochi giorni fa, un altro pezzo della fantascienza di Netflix arriva alla sua conclusione. Dopo averi tenuto in sospeso per la sorte della famiglia Robinson, Lost in Space è infatti giunto al termine di questo viaggio cosmico, rivisitazione in chiave moderna di un classico della sci-fi televisiva., Un remake, di quelli tanto in voga negli ultimi anni, che ha saputo come adeguare il concept di una storia tradizionale, nata negli anni ’50, alle nuove suggestioni della serialità contemporanea, non solo in termini produttivi ma anche narrativi. Passaggio costruito pazientemente in tre stagioni, in cui abbiamo seguito i Robinson e gli altri coloni umani affrontare una vera e propria odissea spaziale per giungere alla loro nuova casa su Alpha Centauri.

Paragonata ad altre produzioni del genere, Lost in Space non ha mai avuto la pretesa di esser un cult. Privo della profondità di The Expanse o delle connotazioni filosofiche di Battlestar Galactica, la serie di Netflix si è affidata a un approccio narrativo più avventuroso e vivace, in cui si percepiscono caratteristiche tradizionali del genere, intrecciandole a temi che sono diventati più centrali nella recente produzione seriale. Una natura che ha consentito a Lost in Space di diventare una serie familiare, che proprio raccontando la storia di un nucleo famigliare riesce a offrire diverse sensazioni, capaci di solleticare la sensibilità di adulti e adolescenti in egual misura.

Lost in Space Stagione 3: la fine dell'avventura della famiglia Robinson

A bene vedere, Lost in Space punta specialmente alla sensibilità di una demografica adolescenziale. Pur dando sufficiente risalto alle figure adulte, come Maurine (Molly Parker), John (Toby Stephens) e Smith (Parker Posey), è il triumvirato composto dai giovani Robinson, Will, Judy e Penny, a scandire le tempistiche di questa avventura spaziale. Laddove gli adulti sono concentrati nel proprio ruolo di guide e protettori, i giovani protagonisti sono i veri beneficiari di questi eventi incredibili, una crescita emotiva che li rende particolarmente vicini agli spettatori. Non solo grandi scontri con perfidi robot e una continua ricerca di casa, ma anche la scoperta di una forza interiore che consenta loro di muovere i propri passi autonomamente, oltre la sicurezza della propria famiglia.

Come per le precedenti stagioni, anche l’ultimo capitolo di Lost in Space mostra inzialmente una separazione tra i giovani protagonisti, guidati dai tre ragazzi Robinson, e i membri più adulti della spedizione umana. Questa separazione dei due gruppi umani consente alla serie di muoversi su due piani narrativi caratterizzati da due linguaggi diversi, in cui il gruppo di giovani sopravvissuti risulta valorizzato da una tipica dinamica da teen drama, che viene ben intrecciata al contesto sci-fi generale della serie.

La lotta per la sopravvivenza lascia spazio all’emergere di amori e delle conseguenti gelosie, ben affrontate dalla sceneggiatura, che non perde di lucidità nel ricordare allo spettatore la missione principale. Il momento del ricongiungimento della famiglia Robinson porta a un’unione delle diverse visioni narrative, coincidente con una consapevolezza di tutti i protagonisti del proprio ruolo all’interno della propria famiglia.

D’altronde, il concetto di famiglia, della sua importanza e della sua forza, è centrale in Lost in Space. Nelle sue difficoltà, nei suoi momenti più tesi fatti di incomprensioni e ricerca di comprensione, ma anche come rifugio e occasione di redenzione. Riuscire a contestualizzare questa ricchezza di temi, eco dell’emotività dello spettatore, non era semplice, soprattutto calando il tutto in un’avventura dal ritmo frenetico. Per due stagioni abbiamo seguito questa famiglia imperfetta cercare tra le stelle non solamente una nuova casa, ma anche un nuovo equilibrio in cui accogliere anche altri esseri. Biologici o meccanici, che siano.

La terza stagione di Lost in Space ha quindi avuto il compito di chiudere questo capitolo della vita della famiglia Robinson. Dopo aver finalmente trovato il modo di raggiungere Alpha Centauri, nonostante la minaccia delle forme di vita sintetiche, i Robinson e gli altri coloni si ritrovano infine a dover fronteggiare i loro avversari sintetici, intenzionati a porre fine alla vita biologica. La battaglia per la sopravvivenza della razza umana diventa il perno su cui ruota l’ultima stagione di Lost in Space.

Una resa dei conti finali che viene raccontata con un piglio rapido, a volte eccessivamente. Gli eventi si susseguono sin troppo rapidamente, con dei colpi di scena forzati che servono a imprimere ulteriore dinamismo a una trama già sufficientemente accelerata. Divisa in otto episodi, la terza stagione di Lost in Space ha il duro compito di riunire prima la famiglia Robinson in modo da riportarla al fianco del resto dei coloni (arco narrativo sviluppato nei primi quattro episodi) e infine mostrarci la strenua difesa di Alpha Centauri dall’assalto dei perfidi robot. La prima metà della stagione svolge egregiamente il suo ruolo, introducendo anche la figura del vero padre di Judy Robinson, ma le premesse mostrate in questi quattro episodi mancano di trovare una degna caratterizzazione nella seconda parte della stagione, che risulta quasi un finale forzato.

Un finale poco convincente e retorico

Lost in Space, specialmente nella seconda stagione, aveva cercato di dare maggior strutturare alla trama orizzontale della serie, ma alcuni dei più interessanti dettagli mostrati non trovano una degna realizzazione all’interno di un finale di serie che sembra essere concepito come una sfrenata giostra di esplosioni e situazioni forzatamente melense in cui si chiede allo spettatore di accettare spiegazioni puerili e stucchevoli. La particolarità del rapporto tra Robot e Will, uno dei fulcri della serie, viene sbrigativamente utilizzato come deus ex machina per salvare la colonia umana su Alpha Centauri dalla distruzione, con una serie di scene che vanno a ledere anche alcuni dei momenti salienti delle precedenti stagioni.

Il finale di Lost in Space, da promettente, si rivela un momento retorico e poco convincente, che preferisce appellarsi ai buoni sentimenti per un lieto fine stucchevole, anziché osare e prendersi il giusto tempo per mostrare una conclusione convincente e meno fiabesca. Anche le scelte registiche, con movimenti di camera banali e costruzione di scene sin troppo artificiose per trasmettere una reale emotività, mancano di creare una sinergia con lo spettatore. La sensazione è che si sia voluto lasciare in disparte la solidità della storia per arrivare sbrigativamente alla conclusione di una serie che avrebbe giovato, probabilmente, di altri due episodi per potere chiudere al meglio ogni linea narrativa.